““Insomma, mi avete visto qui, mentre limonavo con Marco? Mi avete vista qui, dimmelo tu, Vittorio, che mi sembri un ragazzo più serio, Ciccio si prende…”
Meno male che stava finendo agosto, stavo pensando quel giorno, meno male;
ancora pochi giorni e saremmo ritornati a casa, a Udine; era stato un mese schifosamente noioso, pensavo, e schifosamente schifoso, pensavo; era cominciato bene, quel mese di agosto, pensavo, con Marco, il ragazzo dell’altro bagno, che veniva a prendermi, facevamo il bagno, andavamo alla spiaggia libera, facevamo l’amore tra le dune; mi aveva anche portato a casa sua, quando i suoi non c’erano; e poi mi aveva detto che sarei stata la sua ragazza per tutta l’estate, e io gli avevo creduto; e invece, da un giorno all’altro, senza nemmeno dirmelo, era scomparso.
“Come, non lo sai?”, mi dicevano quegli stronzi dei suoi amici. “Se n’è andato in Costa Azzurra, a fare le vacanze con la fidanzata; ma non t’ha detto niente? Proprio un bastardo, Marco” e lo dicevano con un sorrisetto, non capivo se di commiserazione per la ragazzina cretina che gli aveva creduto, oppure di invidia per il bastardo, capace di mentire senza pudore, o per tutt’e due le cose, insieme. E pensare che gli avevo dato tutto, a Marco, ma proprio tutto, a quel bastardo: mi aveva goduto da tutte le parti, di sopra e di sotto, davanti e di dietro, senza ritegno: “sei la mia ragazza”, diceva, “quindi possiamo fare tutto quello che ci piace, e piace anche a te, vero?” Certo che mi piaceva, brutto porco bastardo che non sei altro, ma c’è modo e modo di approfittare di una più giovane di te, e il tuo è stato davvero un modo sporco; per non parlare della figura di emme che avevo fatto con mia madre:
“Come mai non viene più Marco? Non vi vedete più? Già finito, il grande amore?”
Per un po’ avevo risposto alzando le spalle, facendo finta di niente, poi alla fine gliel’ho detto:
“Ci siamo lasciati e basta, non voglio più vederlo; e comunque lui è andato via”.
Ed è vero, proprio vero, non voglio più vederlo, quel porco maledetto e bastardo.
E intanto ero lì, a contare i giorni che mancavano alle mie cose, ci mancava solo quello.
E a contare i giorni che mancavano al ritorno a casa: a questo stavo pensando anche quel mattino di fine agosto.
Ciccio, dall’ombrellone a fianco, continuava a guardarmi e a fissare le mie tette: invece degli occhi, sembrava che avesse due raggi laser, ti bucavano il costume e ti entravano nel corpo, i suoi sguardi: sempre a guardare, sempre a guardare lì, ma non si stanca mai di guardare le tette? Forse vuole impararle a memoria, per poi farsi le seghe quando torna a casa, così pensavo io.
Quel mattino c’era con lui anche Vittorio, un bel ragazzo, della mia età, serio, riservato, parla sempre pochissimo, anche al bar quando ci vediamo con tutti gli altri ragazzi e ragazze che passano l’estate, come me, a Bellaria.
Ad un tratto Ciccio mi chiamò:
“Margherita, ti va di fare una passeggiata lungo la spiaggia con me e Vittorio? Poi facciamo anche il bagno, lì sulla spiaggia libera; se ti va, vieni con noi, che ci facciamo un po’ compagnia”.
“Sì, vai Margherita”, intervenne mia madre, “vai anche tu, che ti fa bene camminare e chiacchierare, invece di startene qui tutta sola, e in silenzio”.
“Va bene” risposi io, alzandomi; ci andavo perché c’era anche Vittorio, che mi piace proprio come ragazzo; Ciccio non è brutto, ma è davvero troppo piccolo, per me. Che diamine, ero la ragazza di uno di 22 anni, figuriamoci se posso andare in giro con un ragazzino più piccolo di me!
Lui era tutto gasato; fingeva di prendermi per mano, poi la toglieva, saltava sul bagnasciuga schizzandomi, poi mi chiedeva scusa e mi asciugava le caviglie e i polpacci che aveva bagnato; poi mi sporcava con la sabbia asciutta e di nuovo mi ripuliva le gambe e me le asciugava e per asciugarle me le risporcava; insomma Ciccio era proprio divertente, dai.
Ad un tratto mi chiese: “ma non ti vedi più con Marco? Meno male“ aggiunse poi, prima che io rispondessi, “così almeno puoi stare con noi”.
“No, è andato via, quel porco bastardo”.
“Che parole!” intervenne Vittorio “ma se vi volevate così bene!”.
“Lascia perdere, Vittorio; forse sono stata una stupida a credere che uno così grande potesse perder tempo con una ragazzina come me, se non per fare i suoi porci comodi; mi ha solo ingannata ed usata, nient’altro. Meno male davvero, come dice Ciccio, meno male che se n’è andato via, così almeno ho capito che non mi devo fidare di certa gente”.
Intanto ci eravamo avvicinati alla zona dove andavano le coppiette, tra le dune, a fare l’amore, e dove eravamo andati anche io e Marco.
“Non ci pensare, Margherita. Tu sei carina, piaci moltissimo a me e a Vittorio; è da tanto che ti seguiamo con gli occhi, non ti perdiamo mai di vista, qui sulla spiaggia e al bar del centro, vero Vittorio?” e poco dopo aggiunse “è qui che ti abbiamo vista con lui” e additava esattamente il punto dove ci nascondevamo io e Marco.
“Qui una volta avete fatto di quelle robe, tu e lui! Dei numeri tremendi, vero, Vittorio?”
“Zitto, dai, mica siamo dei guardoni, noi!”. Ma intanto mi sorridevano con allegria e simpatia; Ciccio addirittura mi stava accarezzando il braccio, mi diventava sempre più simpatico.
“Scusa sai, se siamo così sinceri e spontanei, ma noi siamo fatti così; di noi ti puoi fidare, stai tranquilla”.
“Insomma, mi avete visto qui, mentre limonavo con Marco? Mi avete vista qui, dimmelo tu, Vittorio, che mi sembri un ragazzo più serio, Ciccio si prende troppe confidenze con me”, ma intanto che parlavo così, fingevo di dargli uno schiaffetto, che poi diventava una carezza sul volto.
Ciccio mi prese la mano e me la baciò teneramente: “Scusa se mi permetto di dire certe cose, Margheritina bella, prometto che non lo faccio più” e intanto ridevamo tutti e tre.
“Forse limonare non è proprio il termine giusto” disse serio serio Vittorio; a me sembrava un’altra cosa, diciamo un altro numero”.
“Ah si! E cosa ti sembrava, brutto spione?”.
“Ma che spione e spione! Passavamo di qui, perché di qua si va al nostro rifugio segreto” rispose per lui, Ciccio. “Comunque non sembrava proprio limonare”.
“Ah no! E cosi ti sembrava, ragazzino scostumato e guardone? Cosa ne sai, tu?”.
“Boh, io sono troppo piccolo, per queste cose, ma a me sembrava piuttosto un’altra roba, non limonare, ma una cosa che si chiama .. aspetta, .. aspetta, che non mi viene in mente il nome, ah .. ecco, ci sono, è una cosa che comincia con pom e finisce con pino, credo che si chiami così, ma forse mi sbaglio, sai sono piccolo io” così rispondeva lui, finto serio, e scoppiammo tutti e tre a ridere, come scemi.
“Sei proprio un ragazzaccio e non capisco, Vittorio, come fai ad andare in giro con uno così, tu che sei un ragazzo serio!”
“Insomma, ci caschi sempre, Margherita! Vittorio si dà arie da persona seria, tutto per bene, ma quel giorno lui aveva in mano la macchina fotografica, e sapessi che servizio fotografico che t’ha fatto, il ragazzo serio che dici tu: roba hard, sai, mica storie”, così mi diceva Ciccio.
“Non è vero, non gli credere” aggiunse Vittorio.
“Ecco, vedi questo è il nostro rifugio segreto” Ciccio mi stava indicando un capanno.
Eravamo arrivati al centro della palude, dietro la spiaggia, dove d’era una siepe, gruppi di cespugli di canne e, dietro, un capanno da caccia.
Vittorio ha aperto, e siamo entrati nel capanno; Ciccio mi ha fatto sedere al tavolino, ha acceso una radiolina, ha cercato una musica gradevole, poi mi ha offerto un bicchiere di coca e una minerale, ma non avevo sete, insomma era tutto cerimonioso, come il maggiordomo di una casa signorile.
“Bello, qui” dissi io, stavo bene, con quei due ragazzi, mi davano gioia, e glielo dissi “siete proprio simpatici e carini, tutti e due”. Intanto Ciccio aveva tirato fuori un registratore e un cd, un mix di successi americani e italiani, i pezzi più in voga quell’estate.
“Ma dove sono quelle foto che hai fatto?” chiesi a Vittorio.
“Non lo so, ne ho fatta solo una, o forse due; magari le ho anche stracciate, non pensarci; è una storia brutta, la tua, e ormai è anche una storia finita, con quello lì, inutile stare a pensarci ancora, meglio pensare a noi, adesso” e si avvicinava con la sua faccia alla mia e accennava a voler ballare cheeck-to-cheeck con me.
“Meno male che è finita” diceva Ciccio, che intanto mi stava accarezzando dolcemente le spalle; non so cosa mi stesse succedendo, ma l’atmosfera, la musica, le carezze di Ciccio, il fatto che Vittorio mi piacesse proprio, insomma dopo un poco ci stavamo baciando sulla bocca, io e Vittorio, e intanto Ciccio non finiva di accarezzarmi; ha due mani fatate, calde ma non sudate, dolci, affettuose, intense, quel ragazzino, insomma una gioia per la pelle e anche un piacere per il corpo; quando mi passava le sue mani sulla pelle mi sentivo bene, sentivo che gli piacevo, sentivo che a me piaceva quel tocco, mi sentivo bene. Vittorio si era un attimo staccato, mi offriva una sigaretta, ma io non fumo, e intanto Ciccio mi chiese, dolcemente “posso baciarti anch’io?”
“Certo, Ciccio” gli risposi io, “certo che puoi”; fu un bacio bellissimo, che mi lasciò senza fiato, non mi accorsi nemmeno che mi stata toccando le tette, prima da sopra, poi da sotto il costume; d’un tratto mi staccai da lui, perché le bretelle del reggiseno stringevano troppo e mi facevano male, e lui, premuroso: “Scusa, forse non dovevo toccarti lì, ti ho fatto male?”.
“No, non è quello, è che mi stringe il costume e mi fa male”.
“Non preoccuparti, adesso te lo tolgo io” e me lo sfilava e intanto toccava, stringeva, baciava, pizzicava i capezzoli, insomma un’autentica tempesta di dolcezza e di sensualità.
“Accipicchia, ma quante mani hai, Ciccio?”.
“Tante, ma è per abbracciarti meglio, disse la nonnina di cappuccetto rosso” e intanto mi baciava e mi leccava il seno.
“E che lingua lunga hai”?
“E’ per leccarti meglio, disse la nonnina; ma adesso ti faccio un lavorino con la lingua, che la nonnina non sapeva fare e comunque non c’era scritto nella favola di cappuccetto rosso”.
Si abbassò e cominciò a leccarmi la pancia e poi, scostando il costume, anche più sotto, sempre più sotto, e – devo confessarlo – mi piaceva molto, era proprio bravo con la lingua.
“Oh Vittorio” sospiravo “ma dove sei? Non vedi cosa mi sta facendo”?
“Mi sembra che se la cavi benissimo, non ha bisogno di aiuto e forse nemmeno tu”; si era avvicinato e mi stava toccando il sedere, con le mani nel costume.
Insomma, dopo nemmeno dieci minuti che eravamo lì, mi ritrovai con Ciccio che stava leccando con passione la mia sorellina, una cosa con i fiocchi, chissà dove aveva imparato a fare certe cose, intanto Vittorio me l’aveva messo in mano e, con i gesti, mi faceva capire il suo desiderio di un servizietto orale. “Hai proprio un bell’arnese, grosso, largo e duro” pensavo, senza dirglielo però, intanto che glielo stringevo tra le mani.
Insomma, ho fatto l’amore con tutti e due, uno alla volta e poi insieme, e poi ancora uno alla volta e poi ancora insieme, e poi ancora, e poi ancora; insomma quei due ragazzini ci sapevano fare molto di più di Marco, che pensava solo a godere lui; quei due si preoccupavano molto di più di far godere me, che di godere loro.
“Oh, mettimelo ancora dentro” dicevo a Vittorio, quando lui usciva.
“No, aspetta, che sto venendo” rispondeva lui.
“Oh, scusa, peccato però” dicevo io, allora Ciccio staccava le mani dal mio sedere e mi prendeva lui, con il suo cosino, più piccolo di quello di Vittorio, ma sempre in tiro.
“Ragazzi, siete favolosi”.
“Anche tu, Margherita”, mi diceva Ciccio, mentre mi prendeva, sempre dolcemente, sempre scatenato con le mani e la bocca e il cosino, mai fermo, un autentico vulcano in eruzione.
“Stai attento, non venire dentro”, gli dicevo.
“Ma certo, ma per chi mi hai preso?” ed anche con lui ci fu un altro orgasmo.
Poi ci stancammo e ci staccammo e venne il momento della tenerezza, tutti e tre abbracciati sul pagliericcio, ansimanti, bagnati di sudore, anche un poco sporchi, ma felici, e con le continue carezze di Ciccio e i baci e abbracci di tutti e due, così appassionati per me; non mi vergogno a dirlo, mi hanno fatto provare tre o quattro orgasmi in meno di un’ora, e continuavo ad averne voglia.
“Margherita, ti amiamo” mi disse ad un tratto Ciccio “questa è una dichiarazione ufficiale: io e Vittorio ti amiamo, vero Vittorio?” e lui annuiva “e ti chiediamo di diventare la nostra ragazza fissa, per il resto dell’estate, se tu ci stai”.
“Nostra ragazza? E cosa vuol dire? Siete in due, non uno solo!”.
“Certo” rispondeva lui serio serio, ma intanto i suoi occhi, come fessure, mi sorridevano di felicità, “vuol dire che usciamo insieme, stiamo sulla spiaggia insieme, facciamo il bagno insieme, andiamo al bar insieme al pomeriggio e la sera, quando i nostri ci lasciano, andiamo al cinema insieme, mangiamo la pizza insieme e, quando lo vuoi anche tu, facciamo l’amore insieme. Non vogliamo più avere nessun’altra ragazza, ma solo te, solo Margherita la dolce”.
“Caspita” dissi io “ma è proprio una dichiarazione in piena regola!”.
“Sì” aggiunse Vittorio, che si era alzato e aveva preso delle carte dal tavolo “e comunque, quale che sia la tua risposta, noi queste due foto qui le stracciamo, perché ci dà fastidio vederle”; non potevo vederle bene, data la distanza e la poca luce, ma mi sembrò di capire che erano le foto che mi aveva fatto mentre facevo quelle cose con Marco.
“Allora, accetti la nostra dichiarazione?” chiedeva Ciccio.
Risposi molto sinceramente: “è una pazzia, ragazzi, lo so che è una pazzia, e lo sapete anche voi, come si fa a fare la ragazza di due ragazzi e non di uno solo? E’ una pazzia, ma la accetto con gioia, sarò la vostra ragazza, la fidanzatina di Ciccio” lo baciai sulla bocca e gli diedi una carezzina sul pisello, ormai a riposo ed ancora sporco di seme “e la fidanzatina di Vittorio.” e diedi a lui lo stesso bacio e la stessa carezzina sul suo arnese, che già si stava riprendendo.
”E devo dire che mi dispiace molto, mi dispiace davvero molto che questa pazzia duri solo per poco, perché tra dieci giorni tornerò a casa, peccato che questa pazzia non me l’abbiate chiesta prima, peccato non aver fatto questa pazzia quindici giorni fa, o un mese fa”.
I giorni finali di quelle vacanze, tra la fine d’agosto e i primi di settembre, io li ricorderò finché campo: mi hanno ricompensato di tutte le tristezze e le delusioni del mese prima; non so quante volte abbiamo fatto l’amore, noi tre; c’era sempre uno dei due che mi desiderava e, quasi sempre, mi desideravano tutti e due. Ma non solo quello; facevamo coppia fissa tutto il giorno, all’ombrellone, in giro per la spiaggia, al bar nel pomeriggio, in giro per il paese, la sera, quelle due volte che i miei mi hanno fatto uscire la sera; facevamo coppia fissa (ma si può dire coppia, quando si è in tre?) sempre a parlare, a ridere, ma anche seriamente, a scherzare ma anche a raccontarci le cose; facevamo coppia fissa, solo che non eravamo una coppia, eravamo un terzetto.
E poi i giochi di sesso, sesso stupendo con quei due, come non ho mai più provato. Un giorno Ciccio, quel birichino, ci stupì tutti e due:
“E adesso, tu, Margherita la dolce, proverai la doppia penetrazione” eravamo appena entrati nel capanno, stavamo bevendo una coca con tre cannucce e intanto Vittorio mi stava toccando lì in basso.
Nemmeno Vittorio sapeva cosa fosse la doppia penetrazione, Ciccio ci raccontò che l’aveva visto in un giornale porno di suo fratello, insomma mi fece sdraiare sopra Vittorio e, mentre Vittorio mi infilava il suo arnese nella passerina, Ciccio da dietro mi infilò il suo nel sedere; l’avevo già fatto con Marco, più di una volta, ma quel porco non era capace, e mi aveva fatto solo un gran male, e basta, e poi gli bruciava anche a lui, stupido bastardo incapace; invece, con Ciccio non sentii dolore perché lui, bravissimo come sempre, mi aveva toccato, baciato, leccato, bagnato di saliva il buchino, ci aveva infilato il dito, spingendo la saliva dentro, insomma non faceva male quando entrava, era solo e sempre un grande piacere, un piacere intenso, che mi partiva dal sedere, mi attraversava il ventre, lo stomaco, la schiena, le spalle, la nuca, la testa che Ciccio, infaticabile, toccava, lisciava, stringeva, pizzicava dolcemente, accarezzava e ancora ancora, un piacere che continuava davanti, dove Vittorio mi succhiava le tette e con il suo grosso arnese mi prendeva e mi toccava e mi baciava; inutile dirlo, anche quella volta ci furono orgasmi a ripetizione.
Ma non fu solo sesso, anche se ce ne fu tanto; comunque non solo sesso; ci furono anche i giorni in cui ero indisposta (per fortuna, aggiungo) e nonostante l’astinenza anche in quei giorni furono carini, affettuosi, intimamente solidali con il mio mal di pancia; le carezze di Ciccio, i baci di Vittorio, le loro bonarie prese in giro furono il mio conforto e consolazione.
Il giorno della mia partenza volli in qualche modo ricambiare le loro gentilezze; non era passata la mia indisposizione, avevo ancora un po’ di nausea, ma un vero succhiotto in piena regola glielo volli concedere, se lo meritavano; naturalmente Ciccio mi spiegava come dovevo fare, allargare bene la bocca, non chiudere mai i denti, succhiare quando lui lo spingeva dentro, rilasciare quando usciva, stringere con le mascelle, non con i denti, passare la lingua tutto intorno, insomma faceva l’esperto ed il perfezionista perfino in quel genere di cose: chissà come faceva a sapere tutte le cose del sesso, comunque insegnamenti utili, perché poi chi è stato con me mi ha riconosciuto una grande abilità in quei lavoretti.
Non li ho più visti, né Ciccio, né Vittorio; c’eravamo scritti qualche mail, i primi tempi, poi le cose di tutti i giorni, la scuola, le nuove storie, non solo le mie, anche Vittorio mi aveva detto che si era fatto la ragazza, ci avevano distratto; per di più, l’anno successivo i miei decisero di andare in Sicilia e quindi niente più Bellaria, niente più Ciccio, l’amatore, niente più Vittorio, il trapano Black & Decker, come lo chiamavamo, nulla, però li ricordo ancora, nonostante siano passati diversi anni; ora ho un ragazzo, mio coetaneo, di ventitre anni, che non sa nulla di quell’estate e di quella storia, però le cose che mi ha insegnato Ciccio le sta apprezzando anche lui; non posso fare a meno di pensare che il merito delle soddisfazioni delle gioie e del piacere che sono capace di dargli adesso, il merito di tutto questo è anche di un ragazzino, un minorenne, di nome Francesco, che noi chiamavamo Ciccio.
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