“Aveva visto che il bimbo stava dormendo…”
Sabato pomeriggio. La solita noia di andare a fare la spesa per
la settimana, la solita routine. Nessuno che mi accompagnasse. Non conoscevo molta gente: mi ero appena trasferito nel centro Italia. Una grande casa in campagna, non troppo distante dal mare, lasciatami da una vecchia zia che non aveva altri eredi se non me.
Un posto idilliaco, una noia mortale. Avevo preso un cane per farmi compagnia, ma certo non era come avere compagnia umana. Non era la stessa cosa. Non lavoravo al momento, perché la vecchia zia mi aveva lasciato anche un discreto gruzzolo, e stavo approfittando di quei soldi per mettere a posto la casa, malmessa anche se molto affascinante..
Ero assorto nei miei pensieri, quando lo sentii. Urlava a una donna molto giovane e la picchiava in faccia e sulle spalle, fino a quando ricevette un sonoro ceffone e la smise di urlare per cominciare a piangere. Tutti si giravano, ma nessuno faceva niente. Lei era nera come il carbone. Lui, un piccolo despota, nero come il carbone pure lui, in braccio a lei. Presumibilmente suo figlio, che stava manifestando il suo disaccordo continuando a tirarle schiaffi in faccia mentre piangeva rumorosamente.
Ai piedi di lei stavano alcune cose sicuramente prese al supermercato. Mi avvicinai, raccolsi quelle poche cose.
“Queste devono essere sue, signora.” Dissi, porgendogliele.
Un poco di pane, del latte, della frutta.
Lei mi guardò con occhi vacui e mi rispose con un forte accento francese.
“Grazie” e allungò la mano per prendere ciò che le porgevo.
Il bambino continuava a strillare come un dannato. Ci trovavamo davanti allo scaffale delle caramelle. Lei, visibilmente, non sapeva cosa fare.
“Ha bisogno d’aiuto?”
Non mi rispose. Una lacrima scese, solitaria, dai suoi occhi.
“Venga, dia queste cose a me, l’accompagno di fuori”
Misi le sue cose nel carrello insieme alle mie. Lei mi seguì come un automa. Fiera e, allo stesso tempo, distrutta.
Pagai alla cassa. Uscimmo e, una volta nel posteggio le chiesi ancora una volta se aveva bisogno d’aiuto. Abbassando gli occhi e parlando piano, mi chiese se potevo accompagnarla a casa. “Sono stanca, e la casa è distante.”
“Vieni con me”, le dissi.
Nel posteggio, caricai la spesa nel bagagliaio della macchina e la feci salire, insieme al suo bambino, che non piangeva più.
“Aspetta un attimo”
Andai all’edicola, a prendere le sigarette che avevo dimenticato. Presi anche delle caramelle.
“Queste sono per te” dissi al piccolo despota “ma devi lasciarne un po’ anche per la mamma se ne vuole. Capito?” poi, rivolto a lei “Mi fai vedere la strada per portarti a casa?”
Lei fece di sì col capo. Avviai la macchina e seguii le sue istruzioni, mezze in italiano e mezze in francese. Alla fine mi ritrovai in una stradina di campagna che riconobbi. Non era molto distante da casa mia. La ragazza e il figlio vivevano in una casupola mezza diroccata, in mezzo al nulla.
“Sei gentile” mi disse “Vuoi entrare a bere un po’ d’acqua?
Per la prima volta la guardai davvero. Era malmessa, ma era bellissima. La pelle d’ebano, un corpo perfetto, due occhi neri come la pece, i capelli ricci tipici degli africani. Le misi una mano sul braccio dicendole:
“Grazie, anche tu sei gentile.”
Mi sorrise, con quelle sue labbra carnose e, scendendo dalla macchina, si avviò verso casa con il suo sacchetto. Rimasi lì, come un idiota, ad ammirare quel corpo che si muoveva sinuoso come un serpente. Le sue forme sembravano disegnate dal migliore degli artisti. Sotto il vestito leggero si intravedevano le curve del suo corpo.
Lei si girò e mi fece cenno con la mano di seguirla. Spensi la macchina, uscii e la seguii dentro casa. L’ambiente era molto modesto, ma pulito. Il bimbo stava ancora mangiando le caramelle che avevo preso, e stava lasciando sua madre in pace.
“Devo pagarti la spesa” mi disse tirando fuori da una tasca del vestito una banconota.
“Lascia stare” le dissi “non c’è problema. Tieni quei soldi per la prossima volta, così potrai comprare ancora qualche caramella al tuo bambino”:
“Grazie. Avevo ragione a dire che sei gentile” e mi diede un bacio sulla guancia, avvicinandosi a me. Il contatto del suo seno sul mio petto mi provocò un’erezione istantanea.
“Posso andare in bagno?”
“”Certo. Quella porta.”
Andai, sistemandomi e tornai subito di là. Quando tornai, due bicchieri d’acqua stavano sul tavolo. Me ne porse uno e prese l’altro per lei.
“Ho solo questo da offrirti. Mi spiace”
“La bevo volentieri. Fa molto caldo”
“È vero. Ti dispiace se vado a fare una doccia? Fa molto caldo… tu siediti pure se vuoi. Torno subito”
“Vai pure. Ti aspetterò.”
In bagno, aveva lasciato la porta socchiusa. Mentre sentivo l’acqua scendere, sbirciai con la coda dell’occhio. Si stava sfilando il vestito. Potevo vedere solo qualche pezzettino di pelle, ma ancora una volta mi stavo eccitando molto. Vidi con chiarezza, perché ormai mi ero girato verso la porta, il momento in cui si stava sfilando le mutandine. Lo scroscio dell’acqua cessò, lei stava uscendo dalla doccia e di nuovo sbirciai. Le gocce d’acqua sulla sua pelle la rendevano ancora più bella. Il bambino intanto si era addormentato per terra, sdraiato su una coperta.
Uscendo dal bagno, indossava solo una maglietta, a piedi nudi.
“Mi sento più fresca. Voi fare anche tu una doccia?” Mi chiese “Così ti puoi rinfrescare un po’” Mentre parlava si era avvicinata a me. Io la guardavo da capo a piedi. Non riuscivo a dire una parola.
“Sei diventato muto?”
“no …” balbettai “ho ancora la parola … ma …. Ti guardavo … sei bellissima…”
“Grazie … e tu sei la prima persona che mi ha trattato in modo gentile”
Detto questo, mi prese per mano e mi condusse verso il bagno. Aveva visto che il bimbo stava dormendo. Mi fece entrare.
“Ti prendo un asciugamano”
Aspettai che arrivasse, socchiusi la porta come aveva fatto lei, mi spogliai ed entrai sotto la doccia. Mentre mi lavavo la sentii che diceva: “Posso entrare un attimo? Devo prendere una cosa”
“Sono completamente nudo …”
“Fa niente” ed entrò. La mia eccitazione stava ritornando, prepotente.
“Anche tu sei bello.” Mi disse. Mi girai. E lei vide com’ero eccitato.
“Quanto tempo che non faccio l’amore …” E, così dicendo, si sfilò la maglietta dalla testa, rimanendo completamente nuda. Vene verso di me, appoggiandosi completamente al mio corpo. Stavo letteralmente scoppiando. Mi stava baciando e una mano scese ad armeggiare con il mio amico. Mi toccava delicatamente, quasi avesse paura di romperlo. Io mi muovevo ritmicamente, avanti e indietro, come se la stessi scopando. Mi feci strada con una mano in mezzo alle sue cosce, che lei allargò un poco per facilitarmi, mentre con l’altra le carezzavo i seni. Le nostre bocche e le nostre lingue erano unite in un bacio profondo. La sua passera era completamente bagnata. Era eccitatissima anche lei. La girai facendole appoggiare le mani al muro. Lei sporse il culo verso di me. Puntai la cappella direttamente verso quel lago di piacere, giocai un po’ con le grandi labbra e non ebbi nemmeno il tempo di spingere in avanti, perché spinse lei all’indietro facendo scomparire il mio cazzo dentro le sue viscere. Gemeva e si muoveva, avanti e indietro. Io rispondevo al suo ritmo, penetrandola completamente e assaporando quel momento. La sua figa era un lago di lava incandescente. Non ci mise molto a venire, in silenzio, per non svegliare il bambino. Io mi muovevo furiosamente. Ero quasi al culmine. “Sto venendo” dissi. Lei si sfilò da me. Si girò, si inginocchiò e finì quello che aveva cominciato con la bocca. Avvolgeva completamente la cappella con le sue labbra, mentre lavorava di lingua con maestria e mi segava con una mano. Pochi colpi e le riversai in gola tutto il mio piacere. Lei tenne tutto in bocca, e mentre continuava a ripulirmi deglutì tutto.
La feci alzare. Avevo il cazzo ancora duro. La toccavo dappertutto e lei faceva altrettanto. Non eravamo ancora sazi.
“Inculami … voglio sentirti di dietro … per favore …”
Non me lo faci ripetere. La girai di nuovo, presi un po’ di sapone bagnato e le spalmai il buchetto. Poi feci lo stesso sul mio cazzo e mi misi in posizione. Ero timoroso di farle male, così spingevo adagio.
“Mettilo tutto, mettilo tutto … sfondami il culo … ti prego …”
Con un colpo secco lo infilai fino in fondo. Lei dette un urlo. Si stava sditalinando. Io la pompavo facendo sbattere le mie palle sulle sue natiche, mentre con le mani gliele aprivo per entrare ancora più a fondo in quella seconda caverna. Il sapone stava facendo il suo dovere. Lei ansimava, gemeva, mi diceva di non smettere. Io continuavo a muovermi come un ossesso. Avevo preso in mano le sue tette e le stringevo. I suo capezzoli erano duri come il marmo. Mentre la inculavo lei si toccava: era venuta ancora, e ancora e poi ancora.
Io mi sentivo sempre più vicino all’apice.
“ti riempio di sborra….” dissi
“siiiii siiiii … riempimi tutto il culo”
In quel preciso istante venni copiosamente inondandole gli intestini di sborra calda, e lei si scosse nuovamente, in un ennesimo orgasmo.
Sfilai il cazzo dal culo delicatamente. Rivoli di sborra colavano per le sue cosce. Il mio cazzo si era ammosciato, ma non contento cominciai a toccarle il clitoride, sempre più velocemente, fino a quando venne di nuovo, colando umori che si mescolavano alla mia sborra.
“Basta … ti prego … sono senza fiato … vieni, facciamo un’altra doccia … insieme …”
Un’occhiata al bambino, che dormiva ancora alla grande e un’altra doccia. Carezze insaponate su tutto il corpo, baci, toccatine e palpatine, e poi asciugarsi a vicenda.
Uscimmo dal bagno in silenzio e andammo direttamente fuori casa. Fuori faceva caldo così ci mettemmo all’ombra di un vecchio albero lì vicino.
“Abbiamo fatto l’amore, e non so nemmeno come ti chiami e da dove vieni …”
“Mi chiamo Lucie … sono africana…”
“Un bellissimo nome il tuo. Io mi chiamo Paolo… e che sei africana si vede. Ma di dove esattamente?”
“dalla Costa d’Avorio … mi manca molto il mio paese … anche se sono qui da poco”
“ti credo… da quanto tempo sei arrivata qui in Italia?”
“Da cinque mesi …”
“E come mai se posso chiederti sei venuta qui?”
“È una storia triste … io sono figlia di una famiglia che una volta era benestante. C’era anche una cugina che viveva con noi. I miei genitori hanno perso tutto … i militari … ma avevano ancora un po’ di soldi e ci hanno fatto venire qui, in Italia, me e Annette, mia cugina.
Pensavano che avremmo trovato una vita migliore, e invece adesso siamo qui come clandestine, tutte e due. Io faccio la babysitter a quel piccolo mostriciattolo la di fuori, e Annette lavora in campagna. Abbiamo pochi soldi e dobbiamo pagare molto di affitto per abitare qui …”
Mentre mi raccontava, il suo volto si rattristava.
“Mi spiace molto Lucie” le dissi “io a dire la verità pensavo che il piccolo fosse figlio tuo … come si chiama?”
“Antoine” fu la usa risposta
“Paolo” esordì “vorrei che rimanessi a cena, ma c’è molto poco qui … non ho quasi niente da offrirti”
La guardai, le passai una mano sulla guancia carezzandola.
“Per quello non c’è problema: c’è la spesa in macchina … se ti va di preparare qualcosa resterò volentieri”
Abbassò lo sguardo
“A casa mia ero abituata ad offrire un’ospitalità degna di questo nome…”
“Non preoccuparti Lucie… arriveranno tempi migliori: ne sono sicuo. Vieni, aiutami a prendere i sacchetti in macchina”
Ci avviamo, mano nella mano, verso la macchina. Prendemmo i sacchetti dal cofano e ritornammo verso casa. Il piccolo Antoine si era svegliato e voleva ancora delle caramelle, che però erano finite.
“Senti Lucie, io devo andare veloce a casa: ho un cane che deve mangiare pure lui … vado e torno: abito proprio qui vicino. Ci metterò al massimo un’ora, ma forse sarò qui anche prima.”
“Promettimi che tornerai davvero Paolo … “
“Certo che tornerò stupidina …” così dicendo, le diedi un bacio sulla bocca, l’attirai a me e le misi una mano sul culo. Sentivo i suoi capezzoli ancora gonfi contro di me. A quel tocco lei inarcò la schiena spingendo il pube verso di me. La mia eccitazione crebbe di nuovo, il cazzo era ancora duro. Lei si staccò un attimo e, senza farsi vedere dal bambino, prese in mano il mio affare, lo palpò bene bene e mi sussurrò all’orecchio:
“Voglio ancora sentire il tuo cazzo dentro di me… voglio essere scopata da te … adesso vai e torna presto.”
Non potei fare a meno di infilare una mano tra le sue cosce: la sua figa era ancora bagnata. Ci infilai un dito e me lo feci passare sulle labbra, assaporando il suo profumo, poi la baciai di nuovo e andai.
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