“Ci facemmo la doccia insieme e giocammo ancora un po’, sotto la doccia e in cucina; ci baciammo a lungo, poi il marito cominciò a farsi sentire, si era…”
Nostalgia di suocera
La mia storia con Cinzia, una bella
ragazza di Rovigo dai capelli rossi e dalle tette abbondanti, era durata tre anni, durante i quali avevo frequentato spesso casa sua ed i suoi genitori: il padre Bruno, commerciante di calzature, uomo di poche parole, affetto da una grave malattia dell’apparato motorio, e la madre Agnese, casalinga, una donna bene in carne, molto materna e paziente con tutti, particolarmente cordiale con me.
Una storia come un’altra, che sembrata avviata a lieto fine e invece troncata in modo brusco da una alzata di testa di Cinzia. Nulla di drammatico, s’intende, tant’è che sia io che lei trovammo subito altre compagnie, anzi lei convolò molto presto a nozze con un altro ragazzo. Ma la madre Agnese ci restò male, si era affezionata a me, e mi espresse per telefono il suo sincero rammarico.
Pochi mesi dopo mi trasferii sulla costiera marchigiana, dalle parti di Ancona, dove trovai lavoro e nuove relazioni incostanti sul piano sentimentale, ma molto gratificanti su quello sessuale. E di Cinzia e della sua famiglia persi ogni traccia ed ogni notizia.
Perciò fu con somma sorpresa che, un paio d’anni dopo, ricevetti una telefonata di sua madre Agnese:
“Marco, sono Agnese … scusa per il disturbo. è passato tanto tempo ma ancora mi dispiace che tra te e Cinzia sia finita così. Sai bene che ti consideravo come un figlio ed ancora sento di volerti tanto bene. ti ho chiamato più di una volta, ma ho trovato sempre il cellulare chiuso. oggi ci ho provato e sono stata fortunata. certo, sarebbe meglio poterci rivedere di persona…”
Ripresomi dalla sorpresa le ho risposto:
“Risentirti mi fa tanto piacere! Sì, è vero, ci siamo persi di vista. Poi, ormai lavoro qui nelle Marche, e non mi è più capitato di passare dalle vostre parti. E a voi, come vanno le cose? Cinzia? tuo marito?”
Fa un piccolo sospiro e mi dice:
“Eh, le cose non vanno tanto bene. Cinzia, come saprai, si è sposata con Federico, hanno avuto una bella bambina, ma non la vedo felice. Tu sai che avrei preferito un altro genero. La malattia di mio marito è peggiorata, ormai non riesce a camminare più, sta sempre sulla carrozzella … abbiamo dovuto vendere il negozio e tiriamo avanti con il ricavato della vendita e con la sua pensione di invalidità“
“Oh, mi dispiace tanto per Bruno … ed anche per te, che porti sulle spalle il peso della situazione. Sembra ieri, ed è tutto cambiato all’improvviso. Comunque sappi che anch’io ti ricordo spesso e ti voglio bene. Un giorno di questi vedrò di fare un salto a salutarti. Ti avviso il giorno prima”.
Avevo risposto con gentilezza ad una persona che effettivamente mi era stata particolarmente affezionata, ma lì per lì non avevo affatto messo in conto di fare quel viaggio. Ma quella telefonata mi aveva lasciato inquieto. E le mie perplessità e la mia curiosità aumentarono nei giorni successivi, quando ricevetti un’altra telefonate dello stesso tenore da Agnese.
Stavolta non potei esimermi dal prendere un impegno per la settimana successiva, anche se continuavo ad interrogarmi sul perché di quel suo invito, francamente piuttosto strano. Qualche giorno dopo, chiesi un giorno di permesso sul lavoro e, preavvisata Agnese, partii alla volta di Rovigo. Arrivato a casa sua, mi attendeva sulla porta, mi fece entrare e mi abbracciò affettuosamente. Mi avvertì che il marito era a letto e riposava, mi portò nel tinello di casa e mi preparò un caffè. Dopo i convenevoli ci prendemmo un caffè e cominciammo a parlare del più e del meno. Ne approfittai per guardarla meglio e per farmi un’idea più chiara delle sue intenzioni. E nel ripassare attentamente la sua figura mi ricordai dei turbamenti che negli anni scorsi mi aveva provocato.
Agnese era una donna matura, di 56 anni, alta 1.65, con i capelli fulvi e abbastanza corti, piuttosto in sovrappeso: una pancia protuberante, due cosce un pò flaccidotte anche se non eccessivamente grasse, due seni enormi (una 5^ abbondante), e un culo grosso e sporgente. Non era una bellezza, ma riguardandola mi venne di ricordare che negli anni passati avevo avuto occasione di arraparmi su di lei.
La prima volta che la vidi seminuda (cioè in mutandoni e reggiseno) fu quando all’improvviso ebbe un malore dovuto alla menopausa: sentiva delle forti vampate di calore e stava quasi per svenire, al che con l’aiuto della figlia la denudammo per farle un pò di ventilazione. Anche senza volerlo, non potei fare a meno di fissarle la patata, che doveva essere molto pelosa perchè le spuntava qualche ciuffo dai lati del mutandone, e la cosa mi turbava parecchio.
La nostra intimità crebbe rapidamente, perché a casa sua ci trovavamo spesso soli e non solo ci facevamo lunghe chiacchierate molto confidenziali, parlando di tutto, anche di sesso, ma stavamo spesso in completa libertà. Io, per esempio, giravo dentro casa in mutande e il fatto mi consentiva di mettere in evidenza la muscolatura. E la cosa sicuramente non le passava indifferente. Lo capivo dagli sguardi furtivi che mi lanciava. Mi ero andato convincendo che nella sua testa faceva capolino qualche desiderio proibito, che lei a fatica reprimeva.
Non avemmo occasioni per metterci reciprocamente alla prova, sia per la presenza del marito o della figlia, sia per la repentina interruzione del fidanzamento da parte di Cinzia.
Mentre parlavamo tutti questi ricordi e pensieri mi turbinavano nella mente. Accorgendosi che appunto pensavo ad altro, mi chiese perché fossi soprappensiero. Visto che una certa voglia di lei mi stava tornando, le risposi con un’abile prontezza:
“Agnese, tornare in questa casa e ritrovarmi con te dopo tanto tempo mi sta dando un’emozione che non sospettavo…”
“Ah… anch’io mi sento emozionata, emozionata e contenta di rivederti; sai, ti ho pensato spesso, e con grande nostalgia…”
Approfittai del momento per entrare decisamente nella parte del corteggiatore e mi spinsi a dirle:
“Agnese, ti posso confessare una cosa?”
“Certo, dimmi…”
“Tu non immagini neppure quanto ricordarmi di te mi abbia fatto compagnia in questi anni di solitudine.”
Agnese cominciava ad arrossire, ma si leggeva nel suo volto la felicità di ascoltare quelle mie confessioni. Mi guardava con gli occhi socchiusi invitandomi tacitamente a continuare.
Interposi un attimo di silenzio per aumentare l’attesa:
“Ma lo sai quante volte me lo sono … tirato … pensando a te?”
Si morse le labbra, sospirò e disse:
“Oh che sento! no, ti prego, non prendermi in giro, provi attrazione per me … con questa pancia, con questa ciccia!”
“Non te l’avrei detto se non mi avessi dato l’opportunità di questo sfogo … ma è la verità. da quando ti ho visto seminuda quel giorno che avesti il malore, ti ho desiderata in silenzio, ti ho spiata, mi sono eccitato in bagno a rovistare nella tua biancheria sporca… ”
Lei non diceva niente, restava incerta a guardarmi un pò e poi abbassava la testa in segno di vergogna.
Quindi mi alzai dalla sedia e mi diressi verso di lei. Lei era ancora seduta, la abbracciai da dietro e le baciai l’orecchio dicendole:
“Quanto mi arrapi Agnese!”
Il suo respiro si fece affannoso:
“Ma Marco, ma dici davvero che?”
“Sì, te lo ripeto, mi sono sparato un sacco di seghe, immaginando di stringere questi meloni, di palparti questo culo”
Si girò verso di me e incontrando la mia faccia cacciò la lingua e iniziammo a pomiciare. Lei mugolava e si lasciava toccare dappertutto. Mi alzai, mi sbottonai i pantaloni, lei era di spalle a me e ancora seduta sulla sedia, mi calai le mutande e lasciai all’aria la mia fava che ormai era stragonfia e rossa dal calore. La cappella era enorme, e lucida.
Le presi la testa e spinsi il cazzo in bocca. Lei aprì la bocca che, avida di sesso, era già piena di saliva come da lì a poco anche la sua figa.
Non era molto pratica di pompini, ma la situazione bastava da sè a farmi impazzire, bastava che me lo tenesse in bocca un po’. Sentivo i suoi denti arrivare quasi fino alle palle, se lo stava praticamente ingoiando. Succhiava forte e con la lingua girava veloce intorno alla cappella. Io la guardavo e pensavo con un po’ di tenerezza a questa donna ormai avanti con gli anni che cercava disperatamente di rompere l’orizzonte chiuso della sua vita quotidiana scopandosi un giovanotto ben dotato, quello che doveva essere suo genero.
Le sfilai il vestito e rimase in mutandoni e reggiseno. La feci alzare e le feci intendere che dovevamo accomodarci da qualche altra parte per farlo comodamente. A quel punto ebbe (o finse di avere) un momento di rimorso, si portò una mano davanti agli occhi:
“Mamma mia! che sto facendo! che vergogna!”
Ma non indietreggiava, continuava a farsi palpeggiare. Le chiesi in un orecchio:
“Dove andiamo, se di là c’è tuo marito?”
Senza rispondere mi guidò in una stanzetta posta al piano superiore, quella che era stata di Cinzia, e si sdraiò sul letto a cosce aperte.
Era arrapante lì sdraiata sul letto… con le tettone che le pendevano ai lati, anche se il peso stesso del suo culo e delle sue gambe sul materasso la facevano sembrare ancora più grassa. Le sfilai le mutande e rimase lì nuda davanti a me con la sua figa enorme e pelosa, con uno spacco che sembrava arrivare fino al culo, i peli sulle ascelle li portava ancora lunghi.
Con le mani aprii la sua figona e un filo di bava, di umore, denotava che era arrapatissima anche lei. Le alzai le gambe e annusai l’odore della sua figona ed anche del suo culone.
Decisi di partire da lì, dal suo culo. Le poggiai la lingua sul buco dal sapore un pò amarognolo e lei si lasciò andare in gemiti e grugniti. Era evidente che non scopava da tempo e perciò era un pò tesa, ma io le feci un pò di coccole e lei si lasciò andare. Addirittura si lasciò andare così tanto che, mentre le stavo leccando il buco del culo, mi fece qualche scorreggia in bocca.
Ormai la sua figa colava di brutto, e aveva bagnato il letto.
Passai a leccarle la figa mentre le infilai il pollice destro nel culo e iniziai massacrandola di slinguazzate e ditate in culo.
Lei aveva perso il controllo e ormai si lasciava andare in tutto, ebbe un secondo orgasmo e un piccolo getto di piscio partì dalla sua figa riempiendomi la bocca e bagnandomi i capelli
“Scusami scusami…”, diceva mentre io continuavo a sditalinarla e subito dopo prese a delirare mentre schizzava seme e piscio dappertutto.
I livelli di depravazione erano andati oltre ogni limite. Mia suocera mi stava scorreggiando e pisciando in bocca!
Ero talmente turbato da tutto questo che in quel momento mi sarei prestato a qualunque cosa, non so dove saremmo arrivati da lì a poco, ma so che non volevo smettere.
Le alzai le gambe e le infilai in mio cazzone dritto nella fregna. Lei mi afferrò dal culo e mi iniziò a spingere forte volendo che la sbattessi. Avevo preso a leccarle le dita dei piedi, le cui unghie erano dipinte di un rosso scuro. Le leccavo l’alluce mentre la scopavo e lei era a dir poco impazzita.
Colpo dopo colpo vedevo la sua pancia e le sue tette ballare, con le gambe all’aria e le braccia sulla testa… quanto mi arrapavano quelle ascelle, non ne avevo mai viste di così pelose.
Dopo averle scopato per un pò la figa decisi di farle il culo.
Lei se ne accorse e mi disse: “Vai piano per favore, entra piano piano… è una vita che non lo prendo lì…”
Un pò di saliva e un colpo d’anca e già il mio glande aveva preso ad indugiare nel suo pertugio anale con un entusiasmo pulsante che la faceva sussultare. Andai avanti ancora per un pò.
La girai e rigirai e la scopai in ogni posizione. Quando fui lì per venire la afferrai dalla testa e le spruzzai tutto in faccia. Giaceva seduta sul suo letto tutta spettinata, con la pancia e le tettone appese e l’aria un pò stanca. Aveva il viso sporco di sborra e mi guardava a tratti.
Le dissi che era stata fantastica e lei sorrise, poi mi ringraziò e mi confessò che erano anni che ne aveva voglia e che anche lei mi osservava con desiderio, malgrado fossi stato il ragazzo di sua figlia. Aveva resistito a lungo a quel desiderio, poi la nostalgia si era fatta irresistibile.
Ci facemmo la doccia insieme e giocammo ancora un po’, sotto la doccia e in cucina; ci baciammo a lungo, poi il marito cominciò a farsi sentire, si era svegliato e voleva essere aiutato ad alzarsi. Gli rispose da lontano che avrebbe dovuto attendere qualche minuto, perché era al telefono.
Capii che era arrivato il momento di ripartire, la guardai dritto negli occhi e le promisi che, se a lei andava bene, l’avremmo fatto ancora, mi sarei organizzato per passare con lei un pò di tempo in più. Nel salutarmi, mi passò una mano sul cavallo dei pantaloni e, strizzandomi dolcemente i coglioni, mi sussurrò:
“Tu sarai sempre il benvenuto in questa casa … sono le sole gioie che mi aspetto dalla vita!”.
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