“Una lezione che partendo dall’osceno turpiloquio di
quelle frasi, ne rivelò tutto l’umano sentimento e poesia dell’Amore…”
Sono ancora calda del suo seme, ora.
Lo sento scendere tra le
mie cosce, mentre ancora un pò ansimante, impacciata e
sconvolta, cerco di raccogliere i miei vestiti sparsi sul pavimento.
Di la, nel piccolo bagno ad uso esclusivo del suo studio, sento lo scrosciare dell’acqua e
lui che si stà ricomponendo.
Non avevo mai vissuto un’esperienza così “forte”, anche se malgrado la mia giovane età,
di uomini ne ho incontrati un bel pò ed in tutti i modi, devo ammettere.
Eppure oggi è stata la prima volta che mi sono fatta scopare un uomo così più grande di
me ed il mio professore, per giunta !
Stamane non avrei mai immaginato che questa giornata potesse finire così. Sono uscita
come capita spesso, quando vado a lezione: Felpa e scarpe da ginnastica, un filo di
trucco, mutandine e reggiseno “da tutti i giorni” ed il mio zainetto preferito.
Mi piace il mio ateneo, un sacco di gente che non conosci, molta che conosci solo di vista,
qualcuno con cui magari hai scopato qualche volta e che ora fingi di non riconoscere.
Insomma, il solito piacevole tram-tram di una studentessa all’ultimo anno di università.
Anche se oggi mi attendeva una di quelle lezioni un pò noiose, l’aula è almeno una di
quelle che preferisco: Non eccessivamente grande, disposta ad anfiteatro, con una bella
luce mattutina che dalle ampie finestre illuminava la cattedra, ancora vuota.
Il nostro chiacchiericcio non si abbassò d’intensità, mentre con un pò di ritardo, il prof
entrava in aula, con il suo solito codazzo di assistenti leccaculo, forse oggi più agitati del
solito. Lui sembrò liquidarli bruscamente, mentre sistemava distrattamente le sue cose
sulla cattedra, senza neppure salutarci, nè degnarci di uno sguardo.
Stamane sembrava più incurante del solito ed anzi, anche il suo look non sembrava così
“accademico”. In genere vestiva in giacca e cravatta, come si addice ad un composto
professore di semiotica, ma oggi, sotto la giacca indossava un dolcevita bianco che lo
rendeva più interessante del solito.
I leccaculo s’erano ormai dileguati e lui, fregandosene di noi e della lezione che avrebbe
dovuto tenerci, leggeva un piccolo libro, indossando per l‘occasione un inedito paio di
occhialini da vista rettangolari, che teneva appesi al collo con una di quelle catenelle
dorate, un pò da checca.
Leggeva per i fatti suoi e noi, una quarantina, quella mattina, ci facevamo allegramente i
cavoli nostri, io girata a chiacchierare con una coppia di amiche che mi invitava ad un
orgetta tra amici, per il prossimo week end.
Poi ad un tratto, sentimmo, la sua voce, potente e virile come quella che ci si aspetta da
un uomo del suo rango e della sua età:
In bocca e in culo ve lo ficcherò !
Silenzio assoluto. L’aula sembrò di colpo deserta, tanto fù lo stupore di tutti. Dopo qualche
interminabile secondo, iniziammo a guardarci in faccia, tra noi studenti, sorridendo
incuriositi da quella follia che aveva pervaso un così serio professore.
Lui continuava a guardare il libercolo che aveva nella mano destra, mentre il suo braccio
sinistro era alzato e l’indice puntato verso di noi. Attese che tutta la nostra attenzione si
catalizzasse su di lui, poi, si schiarì la voce e continuò:
“In bocca e in culo ve lo ficcherò,
Furio ed Aurelio, checché bocchinare
che per due poesiole libertine
quasi un degenerato mi considerate.
Che debba esser pudico il poeta è giusto,
ma perché lo dovrebbero i suoi versi?
Hanno una loro grazia ed eleganza
solo se son lascivi, spudorati
e riescono a svegliare un poco di prurito,
non dico nei fanciulli, ma in qualche caprone
con le reni inchiodate dall’artrite.
E voi, perché leggete nei miei versi baci
su baci, mi ritenete un effeminato?
In bocca e in culo ve lo ficcherò.”
Lo ascoltammo in religioso silenzio, le orecchie tese a capire cosa volesse mai dire, in
quel raptus di follia, alcuni divertirti per quel turpiloquio mai ascoltato prima d’ora in aula,
altri sbigottiti per il non senso di quel che stavano ascoltando. Anche io ero stupefatta ed
insolitamente attratta da quell’uomo che non avevo mai trovato così interessante prima
d’ora. Sapevo di cosa stesse parlando, ma proprio non ne comprendevo la ragione.
Finì così, quel suo leggere da quel piccolo libro. Alzò gli occhi su di noi, abbassando
appena un pò gli occhialetti sulla punta del naso. Ci guardò a lungo, lentamente, uno per
uno negli occhi ed in quel momento compresi che quella sarebbe stata una giornata
davvero speciale.
Chiuse quel libercolo, lasciando che le due parti del libro schioccassero nel silenzio
assoluto, ci guardò ancora e poi disse : “Di cosa stò parlando, ragazzini ?”
Silenzio, ancora silenzio assoluto. Qualcuno s’interrogava con gli occhi, qualcuno abbassò
lo sguardo, in evidente segno di difficoltà.
“Catullo…” Sentii dire e riconobbi la mia voce, un pò impacciata, data la situazione. Lo
dissi a voce non troppo alta, lo dissi automaticamente, senza voler rispondere a lui, lo
dissi, semplicemente, perché lo sapevo.
“Catullo !”, riprese lui, e ne seguì la più interessante lezione di semiotica che io ed i miei
colleghi avessimo mai ascoltato. Una lezione che partendo dall’osceno turpiloquio di
quelle frasi, ne rivelò tutto l’umano sentimento e poesia dell’Amore.
Una lezione davvero affascinante, che tuttavia terminò bruscamente, dopo che due dei
suoi assistenti leccaculo, entrarono in aula e concitatissimi gli dissero qualcosa a bassa
voce. Subito dopo lui ci rivolse un “Per oggi basta così”, lasciò frettolosamente l’aula,
lasciandoci ancora più sbigottiti.
Nei corridoi dell’ateneo, appena fuori dall’aula di quella stana lezione, raccolsi da una
fonte affidabile le prime voci di quel che stava forse accadendo. Si vociferava infatti che
fosse appena scoppiato un piccolo scandalo tra la sua giovane e bella moglie ed un
assistente del professore. C’era proprio da ridere !!!
E ridevo di gusto, mentre raccontavo ad un gruppetto di amiche di quella “soffiata” che
avevo appena ricevuto. Stavo giusto commentando ad alta voce, quando la mia frase
venne interrotta di colpo: “ … il bell’assistente che si tromba la moglie del prof……. capite lo
spasso ?”, quando dallo sguardo atterrito delle mie amiche compresi che il prof era dietro
di me. Mi girai di colpo, sentendo in un attimo una vampata di rossore sulle mie guance,
mentre annaspavo qualche parola per giustificare l’imbarazzo della mia gaffe. Lo sguardo
gelido del Prof era a pochi centimetri dal mio viso, leggevo la gelida rabbia nei suoi occhi
che mi scrutavano sottili e taglienti come una lama, mentre le mie amiche si
dileguavano….
“Mi segua nel mio ufficio”, disse lui con voce secca ed autoritaria, voltandosi senza
attendere alcuna mia risposta ed avviandosi velocemente versò l’ala della facoltà adibita
agli studi dei professori. Lo seguii sconvolta per la mia terribile gaffe e per le conseguenze
che ne sarebbero seguite. Arrancavo dietro di lui, che procedeva a passo lesto, evitando
lo sguardo di altri professori che lo incrociavano.
Aprì la porta del suo ufficio e vi entrò per primo, lasciando la porta aperta affinché io
potessi entrarvi, qualche attimo dopo. Non ero mai stata in quella stanza, un pò in
penombra ma che trovai calda ed accogliente, per i tanti libri, oggetti e fotografie che
tappezzavano la grande libreria e la bella scrivania di quel piccolo studio.
“Chiuda la porta”, mi disse, mentre mi voltava le spalle, guardando in direzione di un
portaritratti con una foto di donna. Obbedii, terribilmente imbarazzata dalla circostanza che
mi aveva portato in quello studio.
“Lei la trova una cosa divertente, non è così ?” Chiese rivolto a me, senza tuttavia voltarsi,
mentre guardava ancora quella foto.
Mi avvicinai fino a toccargli appena una spalla e cercando le parole per scusarmi, davvero
dispiaciuta per la mia gaffe e per il dolore che quell’uomo stava provando.
“Mi dispiace”, è l’unica cosa che riuscii a dire, sfiorando con le mie dita la spalla di
quell’uomo, che mai come ora avevo trovato così forte eppure così fragile.
Lo sentii tirare un respiro profondo, forse per raccogliere i propri pensieri, prima di girarsi.
Quando lo fece, si trovò vicinissimo al me, tanto da sentire il suo respiro ancora profondo
sul mio volto. Ancora una volta mi guardò fisso negli occhi ma stavolta non sembravano
così taglienti e pieni di rabbia, ora sembravano trapassare il mio sguardo e vedere
direttamente dentro i miei pensieri. Poi abbassò lo sguardo sui miei seni…
“Spogliati !” Disse secco, senza staccare lo sguardo su di me, lasciandomi senza fiato per
quel che sembrava più un ordine che una richiesta.
Non dissi nulla, non avevo parole, non sapevo cosa fare, come fuggire da quella terribile
situazione in cui m’ero cacciata, ma il suo ulteriore “Spogliati, ho detto !” non mi lasciava
nessuna altra possibilità: Ubbidire.
Mi spogliai, lentamente, senza sapere se lo facevo per paura o per il desiderio di
rispondere a quel suo ordine, così categorico da non avere altra possibile risposta.
E fu davvero imbarazzante spogliarmi, mentre lui a due passi da me mi guardava gelido e
distante come un iceberg all’orizzonte.
Rimasi così, in mutandine nere e reggiseno lilla, curiosamente imbarazzata anche
dell’insolita combinazione di quel mio completino così poco attraente, a testa bassa,
mentre con le braccia coprivo istintivamente i miei seni.
Ero al tempo stesso terrorizzata, imbarazzata, arrabbiata e dispiaciuta, ma anche
stranamente e piacevolmente turbata per quella strana, stranissima situazione.
“Spogliati…” disse ancora, ma stavolta la sua voce sembrava meno categorica, meno
arrabbiata, mentre rimaneva in piedi davanti a me.
Sfilai le mutandine, pensando con piacere al fatto che proprio la sera prima avevo depilato
le mie belle cosce e curato il mio bel ciuffetto. Quella situazione era davvero umiliante per
me ed entrambi ne eravamo consapevoli. Era il suo modo, del tutto istintivo ed
inappropriato, di punirmi delle mie parole in pubblico, era forse l’inizio di una violenza che
quell’uomo stava sfogare sul corpo di una ragazza quarant’anni più giovane di lui, era lo
sfogo di una bestia ferita, era la follia che s’impadroniva della sua mente e forse anche
della mia.
Fece un passo avanti, era così vicino che sentivo il suo profumo, messo solo poche ore
prima, forse non immaginando neppure lui come la sua vita, di li a poco, sarebbe stata
stravolta.
Prese i miei polsi, ancora incrociati sul mio petto e li guidò lungo i miei fianchi, mentre io
continuavo a guardare in basso, sapendo che la mia punizione stava per prendere forma.
La sua mano destra fu abilissima nel trovare i gancetti del mio reggiseno, che gettò sul
bordo di una delle due poltroncine di fronte la scrivania.
Mi prese delicatamente per i fianchi e lentamente, ma con decisione, mi spinse fino al
bordo freddo della scrivania. Sempre tenendomi per i fianchi mi sollevò e mi ritrovai seduta
sulla scrivania, dura e fredda sotto il mio sedere. Aprì con lentamente le mie cosce,
facendo scivolare una mano sul mio ciuffetto, senza dire una parola, mentre io, senza
chiedermi il perchè, lo lasciavo fare.
Si chinò ed affondò la testa tra le mie cosce, rimanendo così per un attimo, forse per
godere del profumo della mia sessualità. Soltanto allora, mi accorsi che le mie dita
accarezzavano i suoi capelli lisci ed argentati.
Ora sentivo il suo respiro scaldare la mia fighetta e la sua lingua cercare dentro di me, non
ero eccitata e stranamente neppure più turbata, da quello strano fatto: Un mio professore
mi aveva appena ordinato di spogliarmi nel suo studio ed ora stava per usare il mio corpo.
Ed io, inspiegabilmente, lo lasciavo fare !
Ora le mie dita scivolavano tra i suoi capelli, lisci, curati e profumati, mentre la sua lingua
era dentro di me. Continuavo a non essere eccitata, eppure mai come in quel momento mi
sentivo donna ed accogliente. Fù forse quel pensiero che mi fece istintivamente divaricare
un pò di più le mie cosce.
Lui capì quel segnale e si alzò per slacciare la cinta, sbottonare i suoi pantaloni e tirar fuori
il suo cazzo, che trovai inaspettatamente gonfio e di generose dimensioni, una cosa cui
non avevo mai pensato, di un uomo almeno quarant’anni più grande di me.
Ora, con fare nuovamente deciso, allargò ancora di più le mie cosce e puntò il suo cazzo
proprio nel punto giusto, già ben lubrificato dalla sua saliva. Non lo spinse dentro, ma mi
afferrò per i fianchi e mi tirò a se, facendo sì che il suo arnese scivolasse con decisione
nella mia passerina
Gridai appena un pò, non preparata a quell’arnese di così generose dimensioni, che mi
penetrava senza troppe accortezze. Lui in risposta, mi strattonò ancora più verso i suoi
fianchi, facendomelo sentire tutto dentro. Poi iniziò a farlo scivolare lentamente dentro e
fuori, sempre tenendomi per i fianchi.
Aumentò presto il ritmo, sbattendomi forte e senza alcun riguardo, mentre il suo respiro si
faceva sempre più profondo. Ed io, senza saperne il perchè, continuavo a lasciarlo fare….
Poi, inaspettatamente ed anche un pò troppo bruscamente per la mia passerina, si sfilò
del tutto, mi fece scendere dalla scrivania e sempre tenendomi per i fianchi mi girò,
spingendomi verso una delle poltrone e guidando le mie braccia affinchè io mi appoggiassi
ai suoi braccioli imbottiti di un bel cuoio rosso cupo.
Non mi piaceva quella posizione, non mi piaceva più stare in quella stanza, non mi
piaceva l’idea di essere usata in quel modo, senza neppure una parola, eppure non dissi
nulla e lasciai che ancora una volta quel suo grosso coso, abusasse di me.
Lo sentii aumentare il ritmo, dentro di me e sbattermi sempre più forte, da dietro, fino a
farmelo sentire in gola. Chiudevo gli occhi, quando quel suo grosso coso spingeva tutto
dentro di me, fino a farmi anche un pò male…
Poi le sue mani si strinsero così forte ai miei fianchi ed i colpi divennero così forti che capii
che stava godendo dentro di me. Quei colpi, quei respiri affannati e quelle mani che mi
aprivano i glutei mi fecero inarcare la schiena fino a dare a quell’uomo tutta la mia figa,
che lui non esitò un solo attimo a prendere fino in fondo…
… fino a godere come un animale dentro di me, fino a farmi sentire un calore mai sentito
prima, fino sentire la mia figa più bagnata e scivolosa che mai.
Venni anche io, trattenendo a fatica ogni respiro ed ogni gesto che potesse farglielo
capire. Mi aveva scopato senza che io lo volessi, aveva abusato di me, di una ragazza
quarant’anni più giovane di lui ed una sua allieva per giunta.
Lasciò ancora che il suo arnese scivolasse dentro di me, ora più lentamente, meno
prepotentemente e forse meno gonfio di prima, poi, stavolta più dolcemente, si sfilò da me
ed entrò in bagno.
Sono ancora calda del suo seme, ora. Raccolgo in fretta la mia biancheria intima e la infilo
nello zainetto. Mi rivesto velocemente, rossa in viso per la rabbia o forse per il piacere di
quanto appena successo. Raccolgo tutte le mie cose ed esco da quella stanza, ancora in
penombra, cercando di capire come comportarmi.
Eppure l’unica cosa che mi è chiara, è che oggi è stata la più bella lezione mai ricevuta.
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