“C’era solo un militare in divisa, era il suo attendente, scoprii poi…”
Eravamo tutti in fila, uno dietro l’altro, tutti in fila nudi come
vermi, al distretto, per i famosi tre giorni, prima del servizio militare; tutti in fila, tutti nudi, con il foglio che avrebbe compilato il capitano medico, dopo averci visitato; lui, il capitano, era seduto poco più avanti, si faceva consegnare il foglio da ciascun ragazzo, lo osservava, in genere come ormai potevo vedere benissimo, ne avevo solo quattro davanti e poi sarebbe toccato a me, gli guardava i genitali, con la matita che aveva in mano sollevava il pene ed abbassava la testa per guardare sotto, qualche volta metteva un guanto alla mano destra, e toccava sotto il pisello, probabilmente tastava i testicoli, ma solo a qualcuno; poi scriveva qualcosa sul foglio, lo riconsegnava al ragazzo e avanti un altro. Provavo imbarazzo, lì in quella fila, e non per la nudità, mi piaceva stare nudo, frequentavo la spiaggia dei nudisti, al mare, mi piace vedere i ragazzi nudi; no, non per quello, no, era per il capitano, per quello che avrebbe visto lui, per quello ero imbarazzato: sapevo che si sarebbe accorto delle mie malformazioni, lì in mezzo alle gambe, intanto il mio pisello era di dimensioni minime, piccolissimo, ridicolo, tanto che era piccolo, e poi, sotto, non avevo due testicoli, come gli altri ragazzi, non avevo la palla grossa con due rigonfiamenti laterali, come avevo visto in tutti i ragazzi nudi, e ne avevo visti tanti, ed anche toccati, certo, ma non si può dire, no, io lì sotto avevo come due piccole escrescenze, una affianco all’altra, e in mezzo avevo una membrana sottile come la pelle del tamburo, sensibilissima, era lì che mi toccavo quando mi masturbavo; e forse si sarebbe accorto di quanto mi piaceva se qualcuno mi toccava lì, in mezzo alle due escrescenze. Insomma, ero fatto in modo molto strano, lì in mezzo, e sicuramente se ne sarebbe accorto.
Quando venne il mio turno, il capitano si accigliò, mi guardò tutto, la testa, mi toccò la guancia ed il mento, forse per vedere se avevo la barba, e non mi cresceva ancora, mi guardò il petto, mi toccò con le dita i capezzoli, ed io ebbi un piccolo fremito, di piacere, che non riuscii a dominare; mi interrogava, intanto che toccava, strizzava, palpava, cercava ghiandole, gonfiori, chissà che cosa, ma intanto toccava, palpava, strizzava, stringeva:
“che scuola fai?”
“Il liceo classico” rispondevo io.
“E poi, cosa farai?”.
“l’università”.
“Che facoltà?”.
“Penso Lettere Antiche.”
“Hai la ragazza?”.
“No” rispondevo io “non ho la ragazza.”
“Fai dello sport?”.
“Sì, faccio scherma, fioretto.”
“Fai danza?”.
“No, danza, no, non ne ho il tempo”
“Ma ti piacerebbe?” mi chiedeva lui.
“Sì, danza classica, mi piacerebbe molto”.
Ora mi stava palpando la mammella destra, poi sotto l’ascella, dove trovò una ghiandola; poi mi fece girare e mi toccò le natiche in alto e di fianco; poi, sempre domandando passò a guardare il basso ventre, scostò il pisellino, toccò ripetutamente le due palline che non erano palline, ne strinse una, mi faceva male, un poco, ma un male che mi piaceva, mi faceva godere, infatti il pisellino ebbe un piccolo sussulto in fuori che lui notò; allora strinse più forte, e io ebbi un piccolo gemito, di dolore, ma anche di piacere, ed ancora il pisellino scattò in alto; il capitano allora scrisse qualcosa sul foglio e mi disse, con il suo vocione,
“domani, quando hai finito i test scritti, alle 17, presentati in ambulatorio e chiedi di me, chiedi del capitano medico, devo farti una visita più accurata”,
e si segnò il mio nome sull’agenda, con una parola a fianco che non leggevo bene, anche se mi sembrava che finisse con ‘..frodito’. Poi mi strizzò ancora il capezzolo, ed ebbi un altro fremito, mi toccò sotto il pene, sfiorando col dito le due escrescenze e palpando forte la pelle in mezzo, e sottovoce per non far sentire a quello dietro, aggiunse:
“sei proprio una bella fica, lo sai vero?”
L’indomani, alle 17, come mi aveva detto, mi presentai in ambulatorio. C’era solo un militare in divisa, era il suo attendente, scoprii poi.
“Chi sei?” mi chiese e quando gli dissi nome e cognome
“Giulio Trombetti”, guardò l’agenda che aveva davanti.
“No,” disse, “tu sei Trombetti Giulio, ricordati, prima il cognome, poi il nome, così si usa qui. Adesso togliti tutto, appendi lì i vestiti, poi ti sdrai sul lettino e ti copri con questa salvietta”.
Ormai ci eravamo abituati, in quel posto, a obbedire ciecamente, senza fare domande, cercando di non sbagliare, se no piovevano insulti, urla e minacce, e così feci anche quella volta. I vestiti ordinati sull’appendiabiti, le scarpe e le calze lì sotto, mi sdraiai sul lettino e mi coprii il ventre con la salvietta.
Dalla porta sentivo la voce del capitano che chiamava.
“Attendente, è arrivato quel ragazzino?”
“Signorsì, signor capitano, è qui che aspetta”.
“È pronto?”
“Signorsì, signor capitano, si ò spogliato ed è sul lettino”.
“Bene, ora fagli una peretta di glicerina, fallo scaricare e poi portamelo qui che gli faccio una bella visita, una cosa fatta bene, mi raccomando”.
“Signorsì, signor capitano”.
L’attendente si avvicinò con una supposta in mano,
“buono buono”, mi disse, “non è niente, solo un poco di glicerina, così scarichi tutta la cacca che hai nell’intestino, prima che il capitano ti visiti bene il culo”.
Me la infilò con cura, la spinse dentro, secondo me indugiava un po’ troppo con il dito nel mio culo, ma non mi dispiaceva nemmeno tanto. Poi comincio a massaggiarmi le chiappe, anche qui si capiva che gli piaceva toccarmele,
“facciamola salire”, mi diceva, “rilassati, così fa effetto prima”.
Infatti avvertii subito uno stimolo,
“vai, vai, lì c’è il water, falla tutta eh! Poi ti fai il bidet, e torni qui” mi ordinò.
Ed ancora una volta, obbedii ciecamente. Quando tornai, mi fece sdraiare ancora sul lettino, io mi coprii con la salvietta e lui spinse il lettino a rotelle nella stanza del capitano.
Cominciò così una visita medica, che capii subito, non era una visita, ma un vero e proprio incontro erotico, il primo amplesso della mia vita, la mia prima volta di sesso anale.
Il capitano mi guardò, scostò la salvietta e mi lisciò la pelle, dappertutto, sulle cosce, sulla pancia, sul petto, come per sentirla al tatto; poi lasciò stare le altre parti del mio corpo, gli interessavano le mie tette, i miei capezzoli, il basso ventre ed il sedere.
“Stai fermo”, mi diceva, “se no sono costretto a legarti, devo capire bene come sei fatto”.
Ma non credo che fosse solo quello. Avevo la testa girata a destra e davanti a me avevo uno specchio verticale, girandomi e spostandomi di poco a sinistra, vedevo riflesso il capitano in piedi, le braccia che aveva su di me, e ogni tanto staccava il braccio destro e si toccava i pantaloni davanti, sono cose che conosco da un pezzo, l’ho visto fare un sacco di volte ai ragazzi ed anche agli adulti, quando sono eccitati, vedevo dove si toccava, c’era un rigonfiamento, insomma sapevo che gli veniva duro. E continuava a toccare ed a parlarmi.
“Ti faccio un po’ male, vero?”
“Sì, ma non tanto”.
“Devi dire signorsì, signor capitano, ti piace quando ti faccio un po’ male, vero?”
“Signorsì, signor capitano, mi piace”.
“Si vede, sai. Sei sensibilissimo qui, sui capezzoli, sei sensibile sotto il capezzolo, sulla mammella, sei sensibilissimo qui, sotto il pisello, in mezzo a queste due piccole ali, sembrano le grandi labbra di una vulva femminile, ti piace, vero, quando le stringo?”
“Signorsì, mi piace, anche se mi fa male” , signor capitano.
“Lo so, me ne sono accorto, sei un poco masochista, ti piace il dolore insieme al piacere. Per tua informazione, io sono appena un poco sadico, mi piace fare piccoli supplizi, come questo”
e intanto strizzava tutto la zona sotto il pisello “e vedo che anche a te piace”.
Ora stringeva forte, mi faceva male, ma mi si era indurito il pisellino.
“E questo qui”, diceva lui, “questo non è un cazzino, questo è un clitoride”.
Ormai la sua mano stringeva e strizzava tutto, il pisellino indurito e le piccole escrescenze, ma con l’altra mano, come vedevo nello specchio, si stava toccando; senza ritegno tirò fuori il suo cazzo dalla patta e cominciò a menarselo. Era eccitante quel dolore misto a piacere che mi provocava lui, insieme all’immagine nello specchio, della sua mano, mentre si menava con furia il cazzo.
Poi si calmò, forse aveva altri pensieri nella testa,
“adesso girati, che voglio verificare la tua sensibilità dietro. Sei mai stato con un uomo? L’hai mai preso nel culo?”
“No, mai”, e prima che mi sgridasse aggiunsi “mai, signor capitano”.
Era vero, avevo fatto qualcosa con i miei compagni, con le mani e con la bocca, ma mai del sesso anale.
“Bravo”, diceva lui, “così c’è più gusto a inaugurartelo”.
Aveva il cazzo tutto fuori, mi girai a pancia in giù, come mi aveva ordinato lui, ma cercai di mettere la testa in modo da poter tenere lo specchio in posizione giusta, così lo vidi ancora, con il cazzo fuori dalla patta, che fremeva e saettava verso l’alto.
“Che bel culo che hai”, mi toccava le natiche, in alto di fianco, poi più sotto, poi in mezzo. “Allarga bene le gambe, adesso devo farti un po’ male, qui dentro”.
Si girò, prese una pomata con il dito indice, aveva sempre il cazzo fuori, in tiro, era anche bello a vedersi, chissà a toccarlo; e lui come se niente fosse, se ne stava lì con quel cazzone fuori dalla patta, forse non gli importava che lo vedessi, e intanto mi applicava la pomata sul buco. Ne prese ancora, questa volta si ungeva le due dita della mano destra e con quelle spingeva dentro la crema che mi aveva messo prima. Infilò prima un dito, poi tutti e due nel culo.
“Devo vedere come hai la prostata, e capire se sei sensibile anche qui”.
“E cosa c’entra il cazzo fuori, tutto in tiro?” pensavo e avrei voluto domandargli, ma non osavo. E poi, ancora, accipicchia, adesso si accorge di tutto. Infatti.
“Mi hai detto che non sei stato mai con un uomo, e allora come mai hai il culo così dilatato, eh?”
Stavo zitto, non volevo dirgli quello che facevo, da solo, in bagno, quando mi masturbavo.
“E allora? Non rispondi? Mi hai detto una bugia?” e mi diede uno schiaffone violento sulla chiappa.
“Ahi …, ahi …, che male. No, signor capitano, non le ho detto una bugia, qualche volta ho infilato qualcosa dentro .. “
“Ah, porcellino culatino che non sei altro!”
E un’altra sberla sull’altra chiappa.
“E ti piace vero, quando ti picchio il culo, vero?”
“Sì signor capitano”.
Ormai non avevamo più ritegno, lui colpiva forte, io sentivo male e poi bene, e cacciavo piccoli urli senza ritegno, mi bruciava la chiappa, ma godevo. Ora aveva infilato tre dita nel culo e andava avanti e indietro, proprio come facevo io, a casa, quando ero da solo, con la zucchina più grossa che trovavo in cucina.
“Ti piace vero?”.
La sua voce non era più stentorea come prima, nello specchio vedevo come si menava il cazzo. “Ora te lo apro io, questo bel culo da puttanello che ti ritrovi”.
Mi tirò più in basso le gambe che ora appoggiavano per terra, sempre tenendomi sdraiato con la pancia, il petto e la testa sul lettino; si appoggio con il suo cazzo al mio buco e me lo infilò senza riguardo. Mi faceva male, male da cani, strillai, questa volta era solo dolore; ma lui mi teneva fero, e poi cominciava a piacermi quel misto di dolore e di piacere, era la prima volta che prendevo un cazzo nel culo, ed era molto più grosso e caldo e pulsante di qualsiasi zucchina che avevo mai provato ad infilare. E picchiava, strizzava, stringeva il pisellino davanti, i capezzoli, e dava colpi sulle natiche e dava colpi nel culo. Che male. Che bello. Finì presto, troppo presto, per me, avrei voluto ancora, cacciò un urlo e mi sborrò dentro un fiotto caldo di sperma.
“Ah, che culo che hai, puttanello, sei uno spasso. Leccami adesso, se no mi sporco tutti i pantaloni”, e mi abbassò con forza la testa per farmi prendere in bocca il suo cazzo sporco.
“E adesso lecca qui”, e mi indicava i pantaloni dove era caduta una goccia di sperma, “e qui, sul lettino”, dove era arrivato un suo schizzo, mentre mi usciva dal culo.
“Ho goduto sai, ma hai goduto anche tu, guarda qui”, e mi indicava il lettino, in corrispondenza del mio pisello, una macchia di bagnato.
“Ti è piaciuto, vero puttanello?”
“Ora ascoltami bene, devo fare una pratica per l’esenzione dal servizio militare, non posso mandarti in caserma, perché tu non sei un maschio al 100%, sei più femmina che maschio. Questa qui, appena ricoperta da una membrana sottile”, e intanto mi premeva forte con il suo dito, sotto il pisello, tra le due escrescenze che avevo al posto delle palle,
“questa qui è una vera e propria fica, e questo”, e mi toccava il pisellino, ancora umido, “è un po’ pisello e ci fai anche la pipì, ma è quasi un clitoride; certe donne ce l’hanno più grosso e lungo del tuo”.
“E queste sono vere e proprie mammelle”, mi diceva e intanto mi toccava i capezzoli, “insomma sei mezza femmina, forse di più, due terzi femmina, e un terzo maschio”.
“Faremo insieme la pratica per il tuo esonero, però devi fare il bravo, devi venire qui, qualche volta vieni a casa mia, ti aiuterò a compilare la domanda .. no, non ti preoccupare, farò tutto io e a te non costerà niente, quasi niente ..”.
“Ma come faccio”, dissi io, “come faccio a pagarla, per il suo disturbo? Io non ho soldi ..”.
“Non ti preoccupare, sarai paziente con me, sarai il mio paziente paziente, farai quello che di ordinerò di fare io, e piacerà anche a te, come piace a me. E non ti costerà niente. E dovrai essere gentile anche con l’attendente, anche lui dovrà lavorare alla pratica, ma se gli fai qualche piacerino, anche lui sarà contento di aiutarti. Ora rivestiti e prendi un appuntamento per la settimana prossima, fatti segnare il nome sull’agenda dall’attendente. Vai vai, puttanello, mi hai fatto godere, sai”.
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