“Ai piedi, i cocci della mia tazza da the…”
La mia gioventù morì con Eveline 50 anni fa assieme a quella malattia assurda e terribile che se la portò via.
Benché dopo la sua morte avessi tentato di ricostruire la mia vita ben presto mi accorsi che preferivo la solitudine e vivere dei soli ricordi che mi tenevano in vita. E’ buffo che ricordi passati e sepolti ti aiutino a vivere giorno dopo giorno, eppure per me erano importanti, anche se dolorosi.
Per 50 lunghi anni ho vissuto nella stessa casa, lo stesso mobilio, tutte le sue cose erano rimaste inalterate nel tempo. I suoi vestiti, le sue scarpe, spazzole, tutto come l’ aveva lasciato, d’ altronde io l’ aspettavo da sempre.
Una sera, mentre mi accingevo a coricarmi, ebbi freddo. Avevo un bel caminetto, sempre acceso in inverno, pensai che forse non mi ero accorto e che la fiamma si fosse attenuata, quindi ritornai in salotto per aggiungere altra legna, ma rimasi impietrito, di fianco alla poltrona una figura non ben delineata mi fissava, ma non avevo paura. La temperatura si stabilizzò nuovamente ed io potei riconoscere il mio amore. Scorgevo il suo sorriso, le sue sottili labbra, i suoi capelli, le sue delicate spalle.
Protesi la mia mano verso il suo viso, ma non ne percepii il tatto. Potevo vederla ,ma non toccarla. Intravedevo il suo corpo sotto una fine veste, resa trasparente dal fuoco, che sembrava bruciarle dentro.
Più volte provai a parlarle senza mai ricevere risposta, ma per me, l’ averla cosi vicino rappresentava, in quel momento, il mio paradiso particolare.
Mi sedetti sulla mia poltrona e restai con lei fino quando, al sorgere dell’ alba, si disgregó in mille particelle che passandomi attorno in cerchio sparirono, come polvere di stelle, nel caminetto, mischiandosi al fuoco.
E cosi, da quella sera, seduto sulla mia vecchia poltrona vicino ad un caminetto acceso, con una tazza di the in mano, attendevo il mio angelo, che mi avvisava della sua presenza, non appena la mia pelle rabbrividiva per l’ improvviso abbassamento della temperatura.
Dapprima percepivo il suo profumo, poi potevo vederla materializzarsi. Bella, bellissima, giovane fresca come una rosa e guardandola in tutto il suo splendore mi domandavo:
_ Ma come può una creatura cosi meravigliosa amare un vecchio come me?
_ Io non amo quello che vedo, ma quello che sento. Amo il tuo cuore e ammiro la tua anima! Rispose lei senza capire come avesse letto il mio pensiero.
_ Il tuo amore è la scia che mi permette di ritrovarti ogni sera, qui, vicino al caminetto, con la tua tazza da thè e i tuoi occhialini a mezzo naso.
Vorrei amore che questo momento non finisse più, vorrei che il mondo si fermasse, che la gente si dimenticasse di noi. Vorrei che restassi qui per sempre, ma soprattutto vorrei amarti. Istintivamente le accarezzai il viso e la mia pelle ,rinsecchita e venosa, prese a brillare d’ una luce che mi trafiggeva gli occhi. Lei mi prese le mani e le mie paure cessarono, mi sentivo forte, vigoroso a tal punto che ritrovandomi nudo mi accorsi d’essere eccitato.
Una erezione forte, impetuosa, saliva poco a poco gonfiando un membro ormai avvizzito, trasformandolo nel pene che da anni non vedevo.
_ Guarda amore !!! dissi incredulo.
Mi strinse a se con un forte abbraccio e mi accorsi che, per la prima volta dalla sua morte, potevo sentirla, potevo toccarla, percepire il calore del suo corpo vicino al mio, il battito del suo cuore.
Ansioso di chi sa che qualcosa può finire da un momento all’ altro, toccai il suo sesso, notandone la morbidezza e il desiderio. Provai un piacere ormai dimenticato quando la sua mano ne sfioro il mio, ci unimmo in un lungo e caldo bacio, sentivo di nuovo le sue labbra bruciare le mie e la sua saliva mescersi in bocca.
Distesi sul letto ne ammiravo la sua bellezza e presi a sfiorarle i seni con la punta della lingua per poi aspirarne i capezzoli, dove la turgidezza ne dilatava l’eccitazione.
Scesi piano piano baciando, accarrezzando, e lasciandole sul ventre una scia ben visibile fatta di saliva. Arrivai sul suo pube, ne sentii l’ aroma, ed introdussi a fondo la lingua e riassaporai la gioventù di Eveline. Sentivo tutta la sua voglia dentro la mia bocca, cercavo di placare quel fuoco, nel quale avrei desiderato bruciare.
Eveline si mise sopra, divaricò le lunghe gambe, e si introdusse la mia daga in tutto il suo splendore.
Vedevo il suo volto sfigurarsi dalla libido mentre con le dita le stuzzicavo i capezzoli.
Movimenti sapienti del bacino mi approssimavano a dei piaceri oramai obliati nel tempo, e fissando come il mio amore godeva, lasciai uscire anni e anni d’astinenza voluta.
Senza mai distogliere lo sguardo dai miei occhi prosciugò con la lingua il pube e prese a lambirmi il sesso, che quella sera non provava sfinimento e, incurante del tempo, se lo introdusse fra le natiche. Sentivo l’ anello dello sfintere espandersi e avvolgere quella estremità della mia anima che la penetrava.
Col vigore d’una forza ritrovata la presi in braccio. Lei avvolse con le sue gambe il mio tronco, ed in quella posizione potevo sentire tutto il peso, che equilibravo con le braccia, e quando vidi il mio angelo contorcersi dal piacere lasciai sentisse il pulsare del orgasmo e il flusso caldo fuoriuscire dal mio corpo.
Quella notte d’autunno mi accorsi che qualcosa di speciale stava accadendo. Una luce dorata avvolgeva Eveline, una pace interna mi pervase, afferrai la sua mano tesa e ci avviammo verso il caminetto della stanza. Non c era più la fiamma calda del fuoco, ma una meravigliosa aureola celeste e tante mani delicate protese ci facevano gesto di proseguire.
Mi voltai un’ ultima volta verso quella stanza. Un uomo anziano seduto sulla mia poltrona sembrava si fosse assopito. La sua testa era reclinata, un volto scialbo senza dolore mostrava le rughe profonde ed oramai inespressive.
Ai piedi, i cocci della mia tazza da the
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