“Poi si inginocchiò sulla scrivania…”
Le 20.15 e io ero ancora bloccata in ufficio. Alle 17.29, esattamente
un minuto prima che l’orario lavorativo terminasse, il mio capo aveva convocato me e i miei colleghi per l’ennesima, riunione. Da quando si era separata dal marito si era buttata a capofitto nel lavoro, tirava fino a tardi in ufficio e ogni scusa era buona per costringere anche noi a fare altrettanto. “Se ha così bisogno di compagnia non potrebbe invitarci al bar per un aperitivo?” Questa era la lamentela comune fra i miei colleghi, ma poi ogni volta che capitava, diligentemente prendevamo posto al tavolo della sala riunioni. Io solitamente ascoltando distrattamente il mio capo parlare, ma in realtà non facevo altro che guardarla. Era un bella donna, sui trentacinque, alta, atletica. Se si fosse degnata di uscire da quell’ufficio e di guardarsi un po’ intorno si sarebbe resa conto della fila di uomini disposti ad aiutarla volentieri a dimenticare il marito. Anzi, non solo uomini e non solo fuori ufficio. Quella sera però il mio spirito rassegnato aveva lasciato il posto ad un altro ben più ribelle. Mio marito era tornato dopo un lungo viaggio di lavoro ed era dalla mattina che mi sentivo eccitata pensando alle capriole che finalmente avremmo fatto nel letto. Il lungo periodo di astinenza forzata finalmente stava per finire e io non vedevo l’ora di saltargli al collo, mangiare le sue morbide e carnose labbra, stringermi nel suo forte abbraccio e sentire il suo cazzo penetrarmi in ogni buco. L’eccitazione non aveva fatto che salire per tutto il giorno. Continuavo a immaginarmi a far l’amore con lui ovunque in giro per la casa. Desideravo la sua testa fra le mie gambe mentre la sua lingua mi faceva urlare di piacere. Ero talmente eccitata che ogni volta che l’occhio mi cadeva sull’evidenziatore non riuscivo a fare a meno di pensare a come sarebbe stato infilarlo nel mio sesso voglioso. Per non parlare della scatola dei timbri, con tutti quei manici dalle forme e dimensioni più varie. Mi eccitava da morire l’idea di farmi una bella doppia con tutti quegli oggetti. Mi sembrava di avere la scrivania e i cassetti pieni di giocattoli erotici.
Me ne stavo seduta a quel tavolo tormentandomi le labbra con le dita. Sempre più impaziente, pensavo al mio uomo che mi stava aspettando, al tempo che stava passando e avevo il terrore che nell’attesa si addormentasse sfinito. Volevo scopare, volevo godere e invece ero bloccata in quella stupida riunione. Evidentemente la mia agitazione me la si leggeva in faccia, e forse anche nel mio comportamento, perché il mio capo mi domandò perplesso: «Va tutto bene?»
Io, presa in contropiede, risposi frettolosamente: «Sì, sì poi in un impeto di lucidità, colsi la palla al balzo e continuai – Ho solo bisogno della toilette.»
«Certo vai pure». Sorrisi alzandomi e sgusciai fuori dalla stanza sentendomi addosso lo sguardo invidioso dei miei colleghi. Attraversai il corridoio deserto e in penombra, entrai nel mio ufficio e mi chiusi dentro. Sollevai la gonna e infilai una mano nelle mutandine. Erano fradice dei miei umori. Non riuscii a trattenere un gemito non appena le mie dita sfiorarono il clitoride. Non potevo più aspettare. Corsi alla scrivania e feci partire una video chiamata con il mio ragazzo. Sfilai le mutandine, mi sedetti comoda sulla sedia e spalancai le gambe appoggiandole ai braccioli. Sentivo il desiderio pulsarmi tra le cosce. Se mi fossi impegnata un attimo probabilmente sarei venuta anche senza toccarmi. Era così eccitante essere al lavoro, con tutti i miei colleghi chiusi nella stanza accanto, e io lì a toccarmi guardando il membro del mio ragazzo che a quella vista era diventato duro come il marmo. Cominciai ad accarezzarmi mentre il mio uomo si masturbava. Le mie dita si muovevano lente e delicate per ritardare l’orgasmo che già sentivo imminente. Presi l’evidenziatore fucsia e me lo feci scivolare nella mia fessura gemendo di piacere. Dentro e fuori, dentro e fuori, ma qualcosa mancava ancora. Il mio culetto non vedeva l’ora che qualcosa lo penetrasse. Afferrai il timbro, lo immersi nei miei umori e forzai il mio culetto soffocando un grido di piacere. Improvvisamente la porta si spalancò e il mio capo irruppe nella stanza. Spaventata nascosi le gambe sotto la scrivania. L’evidenziatore scivolò per terra mentre il timbro rimase saldo al suo posto. Cercai di ricompormi ma la situazione era irrecuperabile. Pensai che mi licenziasse in tronco. Normalmente mi sarei sentita una cretina per aver perso il lavoro, ma in quel momento le mie voglie ebbe la meglio e per un attimo pensai di fregarmene e finire ciò che avevo cominciato, tanto ormai il posto lo avevo perso. Ma quando lei mi fu vicina imperò: «Apri le gambe puttanella!» Il suo sguardo più che collerico era infoiato. Io obbedii, lei si chinò e mi spalancò le cosce. Il suo sesso colò di umori prevedendo quello che sarebbe successo. Le sue dita mi aprirono le labbra, si infilarono nei miei lussuriosi anfratti e, mentre io urlavo di piacere, la sua lingua cominciò a leccarmela e a succhiarmela avidamente. Poi, un attimo prima che l’orgasmo esplodesse, si allontanò, si sfilò la gonna e vidi che era senza mutandine. Le parigine incorniciavano due cosce perfettamente tornite e a coronare il tutto un malizioso cuoricino sul pube che impreziosiva un frutto peccaminoso che urlava tutta la sua smania di essere divorato. Mise un piede, con la sua splendida scarpa tacco 12, sulla scrivania spalancandomi il suo fiore in faccia. «Leccamela!» Ordinò. Io non potevo chiedere di meglio. Quelle labbra armoniose e quel clitoride gonfio erano un richiamo irresistibile. Cominciai a scivolare con la lingua su tutto il suo sesso grondante di umori sentendola gemere di piacere. Poi si inginocchiò sulla scrivania. Il suo pertugio si contraeva smanioso. Leccai pienamente avanti e indietro, assaporando ogni angolo di quel frutto prelibato, esplorandone ogni anfratto, ogni pertugio, ogni valle e ogni collina, e più succhiavo più sentivo l’eccitazione crescere. Presi la collana di perle che indossavo, la raccolsi nella mia mano e la strofinai sul suo sesso. Lei godeva e si muoveva sotto di me strofinandosi sulla mia mano, poi presi le perle e una ad una gliele infilai nel voglioso pertugio. Ogni perla scatenava un gemito. Continuai ad assaporarla, a succhiarla a leccarla, mentre dal suo corpo penzolava una coda di gemme preziose. Lentamente iniziai a sfilarle, perla dopo perla fino a quando un urlo liberatorio annunciò il suo orgasmo. Riprese fiato, poi si chinò fra le mie gambe. Il timbro era ancora lì ad allargare il mio anfratto proibito. Lei lo sfilò e cominciò ad infilarci la sua lingua per poi salire dentro la mia fessura riempiendo il mio culetto con le sue dita. La sua bocca continuò a baciare e sollecitare ogni mio anfratto finché gridai di piacere. Mentre ero ancora stordita dall’orgasmo, lei si alzò, raccolse la sua gonna e senza nemmeno indossarla uscì dalla stanza. Quando fu sulla porta mi guardò e disse: «Ti aspetto domattina alle 9.00 nel mio ufficio e … senza mutandine». Poi sparì nuda, nel buio del corridoio rompendo il silenzio solo col rumore dei suoi tacchi a spillo. L’ufficio era deserto, aveva mandato a casa tutti i miei colleghi prima di raggiungermi, quindi nessuno di loro si era accorto di nulla. L’unico ad aver visto tutto era mio marito che si era divertito da morire ad assistere alle nostre effusioni. Prima di chiudere la video chiamata mi disse: «Spero che tu ora abbia una gran voglia di cazzo, perché è quello che ti aspetta appena varcherai la porta di casa – poi aggiunse – resta senza mutandine». «Lo sai che ho sempre voglia del tuo cazzo» Risposi vogliosa. E con il mio peccaminoso fiore ancora fremente di piacere, tornai a casa desiderosa di saziare ogni sua smania.
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