“«Comunque…mi ero davvero immedesimata! Eri un perfetto, eccitantissimo sconosciuto!»…”
Si siede con un sospiro, sa di essere in anticipo, ma
cerca ugualmente il cellulare nella borsa e
controlla l’orario, rispondendo a un’abitudine meccanica più che a una necessità.
Sette e quaranta e la sequenza del mattino è rispettata senza sorprese: il 32, diretto verso il centro,
replica le sue fermate raccogliendo muti individui già in piedi da tempo. Qualcuno accaldato per
avere corso, qualcuno infreddolito, tradito da un sole limpido ma ingeneroso per essere ormai a
inizio maggio.
Tutti salgono, nessuno scende, i finestrini stanno iniziando ad appannarsi. Come un paziente
pachiderma, l’autobus procede goffo e lento e sembra dilatare all’infinito la capacità di trasportare il
suo carico.
Si sente colpevolmente privilegiata, in quell’umido caravanserraglio, a starsene seduta accanto al
finestrino. Guardandosi intorno, passa in rassegna quel mare di varia umanità che se ne sta pigiata
controvoglia in quella scatola su ruote: facce tristi, facce stanche, qualcuno, tra i più giovani, ha un
amico con cui condividere una risata e due chiacchiere, ma, perlopiù, ognuno se ne sta immerso in
misteriosi pensieri, proiettato nella solitudine della propria meta da raggiungere.
Le persone sono strette l’una all’altra, i corpi si toccano, le braccia si intrecciano cercando
l’appiglio alle sbarre dell’autobus. Pensa che è strana tutta quell’ intimità fisica unita a un’assoluta
indifferenza, se non addirittura fastidio, per il proprio vicino.
Ma è proprio così? Siamo tutti così desiderosi di isolamento, di non comunicazione?
Si domanda se quella donna di mezza età che tormenta il suo orecchino seduta di fronte a lei sia
felice o no. E quel ragazzo trentenne che scorre lo smartphone? Lavora? Studia? Ha ancora dei
sogni? Ha un amore? Si chiede se ognuna di quelle persone la sta “vedendo” a sua volta, se si sta
facendo le stesse domande su di lei. Quel signore dall’aria così malinconica per esempio…
Improvvisamente lo vede, proprio dietro al Malinconico, spostando la messa a fuoco sul fondo
dell’autobus.
E’ lui, l’uomo che anche oggi, come tanti altri giorni prima di quello, la fissa e non distoglie lo
sguardo nemmeno quando incrocia il suo, la guarda come se non avesse fatto altro da quando è
salito.
Lei torna al suo romanzo di cui non ha letto nemmeno una riga. Chiude il libro e gli occhi insieme,
sorridendo. Poi si ravviva i capelli, si umetta le labbra e lentamente, fingendo disinvoltura, torna a
girarsi, spostandosi un po’ per ritrovare la breccia da cui osservarlo tra tutti quei corpi.
Continua a guardarla, senza imbarazzo, con un accenno di sorriso e una determinazione che le si
appiccica addosso. E’, senza ombra di dubbio, un corteggiamento.
In un attimo percepisce l’onda di energia che li avvolge, visualizza quella connessione tra loro,
come una traccia luminosa che li collega tra quelle decine di corpi inerti, volti annoiati, vicinanze
indifferenti.
Loro sono strettamente connessi, anche se, fisicamente, separati da due adolescenti con gli zaini, un
panzone sudato e una vecchia signora ingioiellata dall’aria sdegnata.
E’ un bel tipo, non c’è dubbio e, nell’insieme, trasmette piacevolezza e fiducia. Ha lo stile sornione
di quegli uomini dall’aria intelligente e ironica, che sembra ti stiano sempre prendendo
affettuosamente in giro. Occhi neri, luccicanti come se sorridessero sempre, sotto sopracciglia
prominenti e un po’ incolte , il viso cordiale da pubblicità di un dopobarba.
Oggi una cravatta grigia a disegni rosa ha fatto la sua insolita apparizione su uno spezzato
molto…spezzato, che tradisce la sua scarsa attitudine a stili troppo rigidi. Cerca di ricordare come
era vestito i giorni precedenti. Sicuramente giacche informali su magliette o camicie aperte.
Sì, oggi, decisamente, ha tutta l’aria di essere stato costretto ad infilarsi quei vestiti.
“Riunione di lavoro” pensa lei. E se lo immagina entrare in ufficio con segretarie che se lo
mangiano con gli occhi strusciandogli addosso seni dalle prominenze vagamente sintetiche.
Scaccia il pensiero e si alza per guadagnare una posizione più vicina all’uscita. Anche lui si muove,
sgusciando tra i corpi e mormorando parole di scusa. Sa di averlo alle spalle ora, abbassa gli occhi
voltandosi a sinistra, per cercare di guardargli le mani. Sono sempre importanti le mani in un uomo,
parlano, dicono molte cose.
In quel momento l’autobus frena bruscamente, la mano, sfuggendo al suo sguardo, le afferra la vita.
Nel sostenersi a lei la travolge un po’ con il contraccolpo. «Mi scusi» sussurra, ma indugia un po’
con quella mano intorno alla vita. Anche lei indugia, appoggiata con la parte posteriore del suo
corpo a quello di lui, la testa rivolta all’indietro, gli occhi chiusi, appena un attimo, il tempo di un
battito di ciglia, di un lampo, di un respiro, quanto basta per essere travolta da un maremoto.
«Niente, niente…» dice lei con voce alterata, scostandosi e sistemando i capelli dietro l’orecchio.
Le porte si aprono. Lei scende facendo attenzione, i tacchi alti e le gambe che tremano non sono una
bella combinazione. Comincia a camminare ma… lo sa, non c’è nemmeno bisogno di voltarsi: lui è
dietro di lei, ne sente i passi, si aspetta quasi di risentire quella mano sui fianchi.
Non sa che fare, cammina e sa che tutto è deciso, che qualcosa accadrà, che è dentro a quella
connessione luminosa e non ci può fare niente: cat-tu-ra-ta.
Lui la supera con passo più svelto, si crea una distanza tra loro. Ne è quasi delusa, non si è
nemmeno voltato una volta a guardarla.
L’uomo gira l’angolo e, quando svolta anche lei, è già sparito. Rallenta, confusa: deve per forza
essere entrato nel portone di uno di quei palazzi antichi.
Quando arriva all’altezza del primo si avvicina per leggere le targhe di ottone sopra ai campanelli:
un ufficio legale, un commercialista, uno studio di progettazione… non finisce l’elenco, si sente
afferrare e trascinare all’interno.
Tutto accade come in uno stato alterato, come se fosse un film dove ogni cosa intorno perde
definizione e l’unico centro, l’unica scena a fuoco e illuminata è su loro e solo su loro.
La trascina per mano nel sottoscala dell’androne, in un angolo riparato e in penombra, la inchioda al
muro con le mani sulla parete ai lati del suo viso. La guarda, si guardano nel silenzio, solo i loro
respiri accelerati e, fuori, il rumore del traffico.
Sembra indeciso tra l’urgenza del suo desiderio e la lentezza con cui gustare quel momento tutto da
cogliere. Avvicina il viso fino ad appoggiare la fronte a quella di lei. Ad occhi chiusi, ruota
lentamente la testa come a volere sospendere l’attimo, mentre il corpo, tradendo l’eccitazione, la
tiene al muro. Le morde un po’ le labbra con un bacio ingordo, mentre sbottona la sua camicetta con
una sorprendente facilità. Abbassa il reggiseno color lavanda come se scartasse un regalo, felice
all’apparire del suo seno abbondante, e si china a baciare i suoi capezzoli larghi e scuri.
Lei lascia fare tutto, soggiogata interamente dal suo ruolo di preda, e asseconda con il corpo ogni
suo movimento, tenendo il bacino incollato a quello di lui. Poi cerca con la mano il suo sesso
gonfio e duro attraverso i pantaloni e lo tiene saldo, come tributo alla sua femminilità.
Quel gesto d’improvvisa iniziativa rende l’uomo frenetico. Le solleva la gonna facendola girare su
se stessa con le mani appoggiate al muro, ma lei lo ferma mentre già armeggia con le mutandine. Lo
scosta leggermente, tornando a voltarsi, si guardano nuovamente negli occhi.
Sorridono.
L’uomo bacia la fossetta che le si è formata sulla guancia destra. «E’ tardi vero?» domanda.
«Tardissimo!» risponde lei con tono enfatico e sensuale insieme, trasformando la parola in un
sussurro.
La donna si riassetta, si sistema i capelli, lui si aggiusta la camicia nei pantaloni.
Escono insieme dal portone, in fretta, l’uno svolta a destra, l’altra cerca un punto del marciapiede
adatto per attraversare la grande strada trafficata. All’improvviso lei si ferma, si volta.
«Aspetta» dice, e con una corsetta lo raggiunge.
Gli aggiusta la cravatta, gli toglie un capello dalla giacca.
«Che c’è? Devi dirmi qualcosa?» dice lui sorridendo
«Sì, volevo ricordarti che oggi devi andare tu a prendere i ragazzi a scuola. Io ho il consiglio di
classe e farò tardi, lo sai vero?». Sorride maliziosa con la sua fossetta che riappare.
«Comunque…mi ero davvero immedesimata! Eri un perfetto, eccitantissimo sconosciuto!».
«Ehi! Questa cosa mi ingelosisce un po’… non è surreale? Geloso di me stesso!».
«Siamo pazzi, e tu sei stupendo».
Senza aggiungere altro lo bacia rapidamente sulle labbra, si volta e corre via, la gonna ondeggiante.
Si ferma di colpo, si toglie il tacco dodici e indossa un paio di ballerine che ha appena estratto dalla
borsa, poi ricomincia a correre, più sciolta, in direzione del liceo dall’altra parte della strada, dove i
suoi studenti saranno in classe, ormai speranzosi di saltare la verifica di filosofia.
Lui si concede qualche secondo, rimane a guardare la sua figurina allontanarsi e diventare sempre
più piccola. Guarda la sua chioma riccia, un po’ selvaggia, che a tratti, quando la colpisce una zona
di sole, si accende di riflessi color rame, guarda i suoi armoniosi polpacci, quel bel culetto che si
lascia intuire sotto la gonna leggera. Guarda la sua morbidezza, con quei chili di troppo di cui lei si
lamenta, ma che lui ama. La vede bellissima, è bellissima.
Prima che scompaia completamente lo coglie, inaspettata e vivida, l’immagine della scena dall’alto:
in quello sfrecciare frenetico di auto, tra anonimi passanti ignari della loro esistenza, in quella città
caotica in perenne movimento, mentre tutto intorno brulica indifferenza, loro appaiono circondati da
un’aura di energia colorata, due esseri vivi e pulsanti del loro amore intimo e complice, connessi
tra loro da una traccia luminosa.
Ed è travolto dallo struggimento, da un’improvvisa ondata di tenerezza per loro due, il loro amore,
per il loro crederci tutti i giorni.
Perché l’amore, l’amore quotidiano, può essere forte e fragile insieme. Ci vuole coraggio, creatività,
eroismo ed un po’ di follia.
Loro ci stanno provando.
Con la coda dell’occhio vede arrivare di nuovo il 32. Si stacca dai suoi pensieri e si affretta a
raggiungerlo per recuperare il ritardo verso il lavoro, dove l’aspettano i soliti problemi, una noiosa
riunione e sciocche segretarie dalle tette rifatte.
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