tutto è cominciato un pomeriggio di molti anni fa. Avevo appena compiuto 14 anni e si stava
avvicinando la fine dell’anno scolastico e della scuola media.
La zia, in verità una cugina di mia madre, mi aveva affidato da qualche tempo un suo figlio,
Stefano, 10 anni a quel tempo, scolaro molto somaro di 5a elementare.
Non riuscivo a farlo concentrare sui suoi compiti: mi interrompeva, faceva battute, mi prendeva in
giro.
Allora per venirne a capo lo facevo giocare, a carte o a nascondino, giochi semplici di una volta:
l’importante per lui era di scaricarsi un po’, così poi qualcosa dei suoi compiti scolastici faceva.
Quel pomeriggio, solo noi due a casa perché mia mamma era come sempre al lavoro a quell’ora,
mentre lui rompeva venni preso da un languore estremo.
Una sensazione che già conoscevo, improvvisamente intensa a farmi groppo in gola, quando mi
colpiva qualche dettaglio di foto su innocenti magazine di quelli letti da mia madre, che anch’io
sfogliavo.
Poteva essere persino, come ricordo ancora, la gonna tirata su sulla coscia della regina Elisabetta
ripresa mentre scendeva da una macchina , oppure la sporgenza da svenimento mostrata dalle
mutandine di un nuotatore olimpionico.
In questi casi facevo pronto ricorso a una sega.
In quel pomeriggio invece il languore che mi seccava la bocca e mi faceva bruciare il pistolino era
una fantasia venutami così, mai prima di allora.
Perché non proporre a Stefano di giocare a spogliarci? Una lotta e una sfida. Avrebbe vinto chi fosse
riuscito a spogliare l’altro tutto nudo indossando ancora qualche capo su di sé. Una lotta a sfilare
all’altro i vestiti difendendo al tempo stesso i propri.
Il languore consisteva nell’immaginarsi in effetti a far solo finta di lottare, facilitando Stefano a
togliermi invece tutto e restare tutto nudo e in sua balia, in balia di un ragazzino, soggiogato da lui
anche se più grande di lui, sia fisicamente che come sviluppo sessuale, avendo già io da qualche
anno pelo un po’ dappertutto e baffetti non ancora rasati.
E così fu: lui accettò e si buttò subito nella mischia, mentre io, lungi dall’attaccarlo, abbozzavo solo
qualche timida difesa.
Quando mi tolse anche le mutande io mi girai a pancia in giù sul lettone di mia mamma, luogo che
avevo scelto per la nostra baruffa giocosa: non volevo che mi vedesse il pistolino in tiro.
Non volevo corromperlo. Volevo che per lui fosse solo un gioco: approfittare della sua innocenza,
non di lui.
Una volta spogliatomi tutto nudo, lui invece tutto vestito, cominciò a ballarmi sopra, a
sculacciarmi, ed a un certo punto mi annusò anche il buco del culo, facendo subito dopo: bleeeeh! E
giù a ridere.
Ma poi si applicò a rivoltarmi, e naturalmente più io facevo resistenza più lui allegramente ci
metteva impegno. Finchè mi abbandonai, mi feci voltare sulla schiena e lui scoprì così che “mi era
venuto il pistolone”.
Su di sé Stefano conosceva già quel fenomeno, quindi non stette molto ad osservare, mi afferrò il
pistol e ridendo mi disse: Adesso vieni in gabinetto! Voglio vedere come fai a fare la pipì così!
Non fu però la pipì che mi fuoriuscì al suo maneggiamento ma uno spruzzo bianchiccio che rese
perplesso il ragazzino: quella cosa non la conosceva.
Farfugliai una giustificazione: quando il pistolino diventa one invece della pipì gli esce quest’altro
liquido che si chiama pipò. La spiegazione gli andò bene là per là, ma non ho mai saputo se poi
abbia sperimentato anche su sé stesso.
Il giorno dopo, l’ultimo per noi, fu lui a proporre di sfidarci ancora a denudarci, ma stavolta
giocando a carte, perchè nella lotta ero troppo “una schiappa”.
Anche a scopa mi rivelai comunque un inetto e presto Stefano, che non aveva perso neppure un
calzino, mi sfilò anche le mutande, restando di fronte al mio pistolone.
Eravamo distesi sul lettone di mamma come il giorno prima, girati di fianco, lui dietro di me,
aderente alla mia schiena. E mi faceva andare il coso, ma stavolta con improvvisa serietà: si trattava
di un esperimento che confermasse le risultanze del fenomeno osservato il giorno prima.E da questo punto di vista la faccenda andò bene.
Fu subito dopo che avvenne il disastro, preceduto da una sciagura: nell’ordine, prima mi resi conto
dolorosamente di aver sporcato la coperta del lettone con il mio abbandono eiaculatorio, e subito
dopo sentii la voce di mia mamma che urlava: ma cosa state facendo?!
Qualunque cosa fosse quello che stavamo facendo fu l’ultima e non rividi più il ragazzino.