“Questa sera in cui ho deciso di provare con un club privè, scelgo il più rinomato della città…”
Non leggerete di scopate o di orgasmi favolosi, in questo racconto, però
è una storia realmente accaduta, senza nessun particolare di fantasia aggiunto. Spero che l’apprezzerete.
Di solito non ho soldi da buttar via, ma ritengo che tutto ciò che incuriosisce vada sperimentato, almeno una volta nella vita e quando capita… tanto vale farlo bene, in grande stile e senza badare a spese.
Come accadde quell’unica volta in cui decisi di visitare un Night Club. Scelsi il famoso “The Black Shadow” e vi entrai da gran signore. Non mi lesinai nulla e a mezzanotte mi feci addirittura servire un pasto completo. Offrii da bere non solo alle entreneuses, ma a chiunque mi capitasse di parlare: baristi, buttafuori, clienti… Godetti della simpatia di tutti, anche del proprietario, che presentandomi un conto astronomico, mi sorrise e, spontaneamente, lo decurtò di più della metà. Uscii dal locale per ultimo, a braccetto di una procace professionista bionda, dalla quale mi accomiatai alle 5 del mattino, avendo passato due ore ad ascoltare tutte le disgraziatissime sventure della sua vita.
Questa sera in cui ho deciso di provare con un club privè, scelgo il più rinomato della città. Vesto con stile discreto, che per me significa elegante con sobrietà: mocassini neri, calzoni di gabardine blu scuro, con pences e risvolti, cintura nera con fibbia d’ottone, maglia nera di cotone sottile a costine e una giacca di cashmere blu a due bottoni. Supero, fra reciproci sorrisi, il colloquio d’ammissione con la matura e giunonica direttrice, che mi alleggerisce di 150 euro. Rendo i miei omaggi alla sorridente guardarobiera con una mancia di 10 euro e finalmente salgo, a passo lento e leggero, una scala tappezzata di velluto rosso, ornata da colonnine e statuette classicheggianti, in finto marmo, raffiguranti una Venere in conchiglia, la Venere di Milo, Venere e ancora Venere.
Esploro il primo piano. Intorno alla sala principale, dove si beve, si balla e ci si conosce in una luce discreta, ci sono dei corridoi bui con varie stanzette in penombra, sulla porta delle quali un cartello avvisa che il loro uso è destinato ad almeno 3 persone.
Una di queste stanze, però, è senza cartello e invece di un semplice letto matrimoniale, contiene una lunga panca imbottita che corre lungo tutta una parete. Sopra la panca la parete è dotata di una serie di larghi fori, che come feritoie si aprono sulla stanza accanto. Questa non è altro che un lungo budello scuro in cui c’è spazio sufficiente perché tre o quattro persone possano allinearsi lungo la parete, con le feritoie all’altezza del bacino.
Torno in “discoteca”, ordino un negroni e comincio ad osservare con discrezione la gente. Ci sono molte coppie d’età variabile dai venti ai cinquant’anni, un paio di compagnie di trentenni, pochi singoli, quasi tutti giovani. In tutto saranno una quarantina di persone, che animano abbastanza l’ambiente, chiacchierando e ballando. Ogni tanto qualcuno si apparta, seguito dagli sguardi curiosi di chi resta. Io giro, mi siedo un po’, sorrido se qualcuno mi guarda ma soprattutto esploro e studio intorno, attento a non perdermi nulla, ma senza apparire invadente o fare gaffes: un bel gioco d’equilibrio ed autocontrollo, finchè noto che nel budello scuro con le feritoie si è accalcata un po’ di gente. Mi avvicino e sbirciando vedo che nella stanza accanto, illuminata da una luce fioca, c’è un trio lui-lui-lei che si sta dando alquanto da fare. L’occupante della prima feritoia, alle cui spalle io guardo, si allontana e subito io prendo il suo posto. A questo punto, però, ciò che attrae la mia attenzione non sono più gli occupanti della stanza contigua, ma quello che noto nella postazione accanto alla mia.
Alla mia sinistra c’è, infatti, una ragazza che finora non avevo notato al buio, vestita completamente di nero. E’ piegata a 90 gradi per poter guardare attraverso il buco della parete. Alle sue spalle c’è un tizio che immagino sia il suo ragazzo, che (s’intuisce più che vedere) sta armeggiando sotto le sue gonne. Mi ritrovo interdetto, in bilico fra i due eventi: quello alla luce e quasi “pubblico” che avviene di là dal foro e quello oscuro e in un certo senso “privato”, ma molto più vicino e coinvolgente che si sta svolgendo a pochi centimetri da me e senza alcuna parete frapposta.
E’ inutile dire che quest’ultimo evento finisce per assorbire tutta la mia attenzione e quasi senza che me ne renda conto, mi ritrovo totalmente girato verso la “vicina” alla mia sinistra. Con la mano destra mi meno il pisello, arrapatissimo per l’espressione eccitata che vedo sul suo volto, rischiarato dalla fioca luce che proviene dalla feritoia. Noto che lei si sorregge, nella sua posizione piegata, appoggiando la mano alla parete accanto alla feritoia, quindi appoggio l’altra mia mano accanto alla sua e comincio ad accarezzarla. Lei non si scosta e lascia fare. Senza pensarci su due volte circondo la sua mano con la mia e dolcemente l’accompagno giù, fino ad appoggiarla sul mio pene turgido.
Lei non offre alcuna resistenza al mio gesto, né mostra esitazione. Anzi, non appena sente il duro nel palmo della mano lo stringe sicura. Fa solo un attimo di pausa, in cui inspira rumorosamente e comincia a menarmelo con decisione. Lentamente scivolo con la schiena lungo la parete forata, abbassandomi e allungo un braccio sotto di lei. Alla cieca le sollevo la gonna e mi ritrovo con la mano appoggiata ai suoi slip: sono più che bagnati, sono totalmente fradici!
Scosto di lato il bordo degli slip e comincio a palpare le soffici intimità, calde, gonfie d’umori. Poi, di colpo, entro deciso con due dita nella figa già dilatata. Avverto un altro movimento che si aggiunge a quello delle mie dita: qualcosa si muove dietro di esse. E’ il suo ragazzo che la sta impalando nel culo! La mia testa, al buio, arriva a contatto con la sua, a fronte a fronte. Le nostre bocche spalancate si avvicinano, alitando l’una nell’altra versi eccitati, animaleschi.
Non resisto ed esplodo nella sua mano. Lei continua lo stesso a menarmelo, con la mano piena di sperma. Io continuo a strofinarle figa e clitoride senza perdere il ritmo, quando “BANG”: si accende di colpo una luce! Un qualche idiota deve aver toccato un dannato interruttore. Per un secondo mi appare bianco e nitido il volto della ragazza, stravolto, con gli occhi sbarrati e riversi dal piacere a mostrare solo le sclere bianche, mentre le pupille sono nascoste sotto le palpebre superiori. Fuggo. Non so che sorta di pudore o vergogna la luce mi abbia scatenato, ma in un attimo mi ritrovo fuori dalla stanza. Nella penombra del corridoio mi riassetto i pantaloni e me ne torno nella sala da ballo, come se niente fosse accaduto.
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