“La sua posizione preferita era a pecorina, lei a ginocchioni, lui dietro a spingere come un ossesso, fino a quando non sborrava dentro il preservativo…”
Si erano conosciuti il sedici luglio. Lui sembrava un po’ troppo sprovveduto,
si guardava intorno lì nel bar, non conosceva nessuno e non aveva il coraggio di avvicinarsi a nessuno dei gruppetti di ragazzi più o meno della sua stessa età che passavano il pomeriggio sulla terrazza della Terrazza.
No, non ho sbagliato a scrivere: il bar più grande di Orbetello, nel centro del paese, si chiama proprio così, la Terrazza.
Ovviamente, come dice il nome, ha una grande terrazza panoramica, coperta da un tendone, per evitare insolazioni e colpi di sole a chi, come i ragazzi dai 15 ai 20anni, ci passa interi pomeriggi.
Anche Mariarosa si era staccata dai vari gruppetti.
Lei li conosce tutti, ragazzi e ragazze che passano l’estate a Orbetello, e soprattutto li conosce tutti Fabio, il suo fidanzato.
Lui lavora a Viterbo, ha un incarico importante alla prefettura, e viene a Orbetello il venerdì sera. Qualsiasi cosa lei faccia o dica, con questi ragazzetti, Fabio viene a saperlo venerdì prossimo.
Per questo lei, alla Terrazza ci sta il meno possibile, e se deve cercare qualcuno, un maschio con cui farsene una di straforo, è meglio che lo cerchi lontano, insomma al largo da questi qui.
E lo sta cercando, quel pomeriggio, qualcuno con cui divertirsi, qualcuno che gliela faccia divertire.
È quasi una settimana che non fa sesso, da domenica pomeriggio, per essere esatti.
Oggi è mercoledì, Fabio arriva venerdì sera ma, prima di sabato mattina, non avranno nessuna possibilità di scopare, e lei non ne può più.
Dal dicembre dell’anno prima, da quando Fabio gliel’ha sverginata, il giorno della Madonna, a casa sua, approfittando del viaggio in Terrasanta dei genitori, da allora le è successa ‘sta cosa: ha sempre voglia di farsela fottere, non ne ha mai abbastanza, è sempre in cerca, non fa che pensare al cazzo.
Fabio non lo sa, ma saranno già una ventina i maschi che l’hanno sbattuta a sua insaputa, quando lui non c’è.
Nessuno di Orbetello, naturalmente, ci mancherebbe.
A Grosseto, dove abita e dove fa la seconda Liceo Classico, ha trovato maschi in abbondanza, vicini, con la macchina, ma anche senza.
Il primo è stato il figlio della prof di greco e latino.
Andava lì al pomeriggio, a prendere ripetizioni, per migliorare i voti.
I voti li ha migliorati davvero, le è bastato meno di un mese, un’ora la settimana, per capirne di più, e poi non è stupida, una volta capite certe frasi, certe costruzioni, certe forme, è stato facile e sono venuti i sette nello scritto.
Nell’orale, non ha mai avuto problemi, né nell’orale delle materie classiche, né nell’orale con Fabio.
Quello lo facevano da tempo.
E quando la prof le ha detto se voleva ripassare l’orale con suo figlio, un ragazzo più grande di lei, che fa Lettere Antiche all’Università, un bel ragazzo, alto, magro, biondo, non ha avuto esitazioni.
Matteo – gli ha detto – tua madre vuole che faccia un po’ di orale con te – l’aveva apostrofato così, un pomeriggio di gennaio, appena terminata la lezione con la madre.
Lui era nel corridoio di casa loro, Mariarosa era appena uscita dalla sala dove la prof faceva le lezioni private.
Orale di cosa? – gli aveva chiesto lui.
Andiamo in camera tua, che ti spiego tutto.
E una volta in camera, gli aveva arpionato i jeans, tirato giù la patta, estratto la bestiolina, e gli aveva fatto un pompino coi fiocchi, di quelli che neanche nei film porno.
Lungo l’asta, con la lingua avanti e indietro. Sulla cappella, con la lingua, ciucciando quel pochino di liquido preliminare che anche Matteo, come Fabio del resto, butta fuori quando l’eccitazione è forte.
La lingua nel buchino, la lingua a lappare tutto il glande, la mano a stringere i testicoli sotto, il dito a premere dietro i testicoli.
Nel giro di qualche minuto, Matteo l’aveva inondata di sborra, senza preavviso, troppo brusca era stata quella sequenza di sesso orale.
Si vede che non sei abituato – gli aveva detto quella volta, appena era riuscita a ripulirsi dello sperma che non era riuscita ad ingoiare – si vede che è un po’ che non fai niente, neanche una sega.
Comunque non era questo che diceva tua madre, lei intendeva orale di latino e orale di greco, lo scritto me l’ha sistemato lei, ormai, ma certe cose dell’orale è meglio se le ripassiamo insieme. Ti va?
Certo, Mariarosa, aveva risposto Matteo, mi va tutto, aveva aggiunto respirando a fatica.
Ecco bene, e così prendiamo il piccione, anzi due piccione, la studentessa che sono io, e la mia sorellina, con una sola fava, la tua. Mi sembra proprio una buona idea.
Certo che mi va.
E siccome non era uno stupido, l’aveva presa subito, sul suo lettino, dopo aver ricambiato le attenzioni di Mariarosa, con un superbo lecchino, presto infarcito del liquido di lei.
Le lezioni di orale si erano ripetute, ma non le bastava.
Non era certo possibile incontrarsi ogni pomeriggio con Matteo.
Aveva saputo che il suo prof di Matematica e Fisica, un supplente che sostituiva la titolare della cattedra, una vecchia ex-troia, oltre che spiegare meglio della vecchia i teoremi e le equazioni, aveva saputo che il tipo era di Siena, ma per non fare il pendolare ogni giorno, aveva preso un monolocale appena fuori Grosseto, sulla vecchia Aurelia, prima di Rispescia.
Un bel tipino, non molto alto, abbastanza magro, un ciuffo nero sulla fronte. Con lui aveva inaugurato il suo giochino.
Ancora prima di andarci a letto, guardando la figura di lui, le mani, la forma del naso, l’andatura, come si muoveva, e anche i suoi modi con le persone, cercava di indovinare come ce l’aveva e come scopava.
Si era fatta l’idea che avesse una cazzo del tipo corto e piccolo, gentile e morbido anche quando gli tirava.
Prof, posso venire da lei, un pomeriggio, a farmi spiegare meglio le equazioni di secondo grado? Ci sono cose che non riesco a capire, magari basta una mezzoretta, e poi non la disturbo più.
Se vuoi, Mariarosa, ma guarda che io abito fuori, quasi a Rispescia, forse non sei comoda, vuoi che ci vediamo in un bar, qui a Grosseto?
Oh no, prof, con la vespa ci metto un attimo. Se le va, facciamo oggi stesso, mi dica lei l’ora.
Va bene, vieni verso le quattro – e le aveva dato l’indirizzo.
Altro che mezzoretta.
Aveva esordito, come ormai era diventata la sua specialità, con un pompino super.
Ma cosa fai, Mariarosa, diceva lui, ma sei matta?
No, prof, non si preoccupi, sono maggiorenne. È solo per ringraziarla della sua disponibilità.
Ma una volta scongelato, il prof si era rivelato un amante inesauribile. Sempre duro, sempre voglia, le faceva anche i regalini, prima di capire che per lei non si trattava di amore, lui era solo un riempitivo.
Quando Fabio era a Viterbo, quando Matteo era a Siena a frequentare o a fare qualche esame, o era impegnato con la sua ragazza, il riempitivo era lui, il prof di Matematica.
E come gliela riempiva bene!
Però non aveva indovinato esattamente come ce l’aveva e come fotteva.
Era non tanto lungo, e questo lo sapeva già.
Ma non aveva calcolato che il prof era robusto, faceva sport e jogging. E ce l’aveva piuttosto robusto, muscoloso.
E anche come amante, era duro e violento: quando la fotteva, la spingeva sul letto fin quasi a farle sbattere la testa contro la spalliera. La sua posizione preferita era a pecorina, lei a ginocchioni, lui dietro a spingere come un ossesso, fino a quando non sborrava dentro il preservativo.
Con lui aveva iniziato a fare sesso anale, quel pomeriggio che erano rimasti senza preservativi.
Per la verità l’aveva già fatto anche con Fabio una domenica, ma una volta sola, quasi per scommessa e per accontentare lui che ci teneva tanto, e aveva sentito un male da cani.
Il prof invece c’aveva la fissa di farle il culo.
Del resto, essendo più piccolo di Fabio, Mariarosa aveva capito fin da subito che poteva assecondarlo in questa sua piccola mania.
Era anche attrezzato, il prof, aveva la bottiglina di liquido lubrificante, le lubrificava il culo per bene, prima con la sua lingua a spingere la saliva che le sputava sopra, poi col lubrificante e lo spingeva dentro con il pollice e con due dita; e quando finalmente infilava il cazzo lei non sentiva per niente il bruciore che aveva provato con Fabio.
In compenso il prof aveva il vizio di spingere come un ossesso, fino a quando sborrava, e questo, passati i primi momenti e i primi colpi, poi le piaceva da pazzi.
E poi gli altri uomini.
Era diventata una sfacciata.
Nell’intervallo, le volte che non tornava a casa e restava vicino a scuola, per andare poi nel pomeriggio a lezione di latino, oppure a ripetizione, oppure a ripassare l’orale con Matteo, o a fare matematica scritto, orale e anale con il prof, le capitava di gironzolare per corso Matteotti e nelle stradine intorno, fino alla piazza del Duomo.
E coglieva ogni occasione, il barista che le chiedeva:
Mariarosa, hai già preso il caffè?
Il negoziante di intimo che stava chiudendo la saracinesca, per la chiusura dell’intervallo di pranzo, il libraio, perfino l’impiegato dell’assicurazione, che la informava sulla scadenza della polizza della vespa.
Mica tutti avevano il posto giusto per farlo, con il commesso dell’OVS, per esempio, non sapevano dove andare, poi Mariarosa si ricordò di quella aiuola rotonda sulla strada per Marina di Grosseto: era un’aiuola grande, con un sacco di oleandri dentro, e anche altri cespugli di rovi. Lo fece salire sul sellino della vespa, proprio dietro a lei, andarono difilato a quell’aiuola, e lì, in mezzo al traffico, lei appoggiata ai rami di un grosso oleandro, con i jeans giù, e lui da dietro che la fotteva. Che bello, vedere tra le foglie le macchine che passavano, mentre lei si faceva montare dal tizio, un ragazzone alto e grosso, e ben attrezzato, anche. Quando uscirono dall’aiuola, lei aveva anche qualche graffio sulle braccia e sulle mani, ma in compenso la sorellina adesso si era calmata, per un po’ non avrebbe reclamato altre dosi di membri duri.
Non che accettasse subito ogni approccio.
Per esempio, l’impiegato dell’assicurazione era abbastanza bruttino, e lei lo sapeva già come ce l’aveva, con lui aveva indovinato perfino il colore, biondo e slavato e lentigginoso com’era, era sicura che ce l’avesse lungo, ma sottile, mezzo molle e di colorito chiaro; anche la cappella bianchiccia come se l’era immaginata.
Non voleva starci con lui, ma davanti alla proposta di darle subito il rinnovo dell’assicurazione della vespa, e gratis, non poteva dire di no, e così c’era stata, anche con lui.
Uno più, uno meno, non è che cambiasse molto, ma quel pomeriggio non c’era nessun altro con cui trombare, quindi andava bene anche l’assicuratore.
Un disastro, farglielo tirare abbastanza, restava molliccio anche dopo la leccatio magistralis che gli aveva fatto.
Poi, per fortuna, un pochino s’era rizzato, lei era già bagnata, non gli aveva messo il preservativo, per guadagnare tempo, prima che gli si smollasse di nuovo, e se l’era cacciato così com’era nella figa.
Due o tre colpi, facendo finta di godere, un po’ di scene con la voce, e anche quella era andata, stando attenta a farlo venire fuori.
Poi, uscita dall’ufficetto dell’assicurazione, aveva telefonato al prof di matematica, chiedendo per piacere di dedicarle un po’ di tempo, era troppa la voglia di un cazzo come si deve che le aveva lasciato l’assicuratore.
E se no, in quei pomeriggi freddi e umidi di febbraio, quando tutto andava storto, e c’era anche un po’ di nebbia, e non si vedeva un cazzo, nel senso che non si riusciva a trovarne nemmeno uno disponibile, allora l’ultima spiaggia era l’ex bagnino di Marina di Grosseto, Athos, che ora aveva l’agenzia immobiliare e affittava case per l’estate.
Come luogo, avevano solo l’imbarazzo della scelta, ogni volta sceglievano la villetta più bella, di cui lui aveva le chiavi, per mostrarla al possibile acquirente che, nel caso, sarebbe certamente venuto il sabato o la domenica, non certo nei giorni della settimana.
Athos era uno sporcaccione nato, le aveva perfino chiesto se poteva coinvolgere nei loro numeri pomeridiani suo cugino Giorgio, che faceva il cameriere al Bar La Terrazza di Orbetello.
Fosse stato un altro, magari un pensierino ai giochini a tre Mariarosa l’avrebbe fatto. Ma con loro due no.
Non perché non le piacesse Giorgio.
Secondo i suoi studi preventivi, Giorgio doveva avere anche un bell’arnese, alto, magro ma muscoloso, con il naso pronunciato e le mani grandi, le dita sembravano dei salami.
Di sicuro ce l’aveva lungo, grosso e prepotente.
Ma rifiutò. Non perché non le andasse di farlo in tre, anzi, un numero a tre prima o poi l’avrebbe sperimentato, ci aveva già pensato.
Ma certo non poteva farlo con il cameriere che serviva il caffè e il limoncello al suo fidanzato la sera dei week end d’estate, quando Fabio veniva trovarla, a Orbetello.
Si era data da fare, quell’inverno e la primavera. E aveva anche guadagnato dei soldi, con le lezioni private di Matteo, che sua mamma le pagava in contanti, ma che lei a Matteo pagava anche di più, a pensarci, ma in natura.
Con la biancheria intima, i leggins, le camicette, i jeans, le scarpe e le borsette e perfino il premio dell’assicurazione, tutto rimborsato dalla mammina ignara e che lei invece pagava dandola via, a destra e a manca.
Quel mercoledì al mare, sulla terrazza della Terrazza di Orbetello, era tutta un calore, tutta un foco, le tirava la quaglia, e non c’era nessun cacciatore che volesse darle un colpo.
Il fatto è che la sua sorellina si era abituata male, e ora si lamentava: di certo non le potevano bastare le due o tre scope contrattuali col fidanzato del week-end.
Ne voleva ben altri e ben di più, e possibilmente tutti i giorni.
E a Orbetello non si poteva proprio.
Certo ‘sto tizio milanese, nessuno lo conosce, lui non conosce nessuno, acchiappato con discrezione, senza farsi vedere dai ragazzini pettegolini della compagnia, poteva risultare un’alternativa simpatica.
Non che fosse un granché. Guardandolo bene, Mariarosa aveva capito il tipo.
Quello c’ha il cazzo molle e piccolo quand’è a riposo, però è di quelli che, maneggiato con cura, magari sottoposto alle sue pratiche orali, probabilmente sarebbe diventato un coso rispettabile, di media circonferenza, e forse perfino più lungo del normale.
Insomma, davvero molto meglio di niente.
Lui la stava guardando.
Mariarosa alzandosi si girò, se non era un gay, avrebbe notato ed apprezzato il culo bello rotondo e pieno di lei, robusto, ma non grosso, alto, visto che aveva le gambe lunghe, ma non scheletrico come ce l’hanno le indossatrici, anzi, come diceva il negoziante di intimo di Grosseto, che gliel’aveva visto al naturale, e più di una volta, il suo è il tipico culo da indossatrice di intimo, che fa diventare sensuale, sexi ma di classe anche la mutanda più insignificante.
Si avviò lentamente verso l’interno. La porta finestra della Terrazza, tutta a vetri ben lucidati, le rimandò l’immagine di lui che glielo guardava con attenzione.
Senza distogliere lo sguardo.
E caspita.
E dove l’avrebbe trovato un altro culo così, il ragazzotto spaurito, probabilmente milanese, capitato quasi per sbaglio, in un caldo pomeriggio estivo, a Orbetello?
Un culo così, come diceva Fabio, al massimo ti può capitare di vederne tre o quattro, nella vita, ma se sei fortunato.
Un sacco di bischeri nasce e more senz’averlo mai visto un culo a quel modo.
Prima di lasciare la terrazza, Mariarosa si girò, sapeva dall’immagine sul vetro, che lui la stava guardando.
Vediamo se ha le palle.
Gli fece un mezzo sorriso, neanche troppo marcato, e senza aspettare quello di ritorno entrò e si appoggiò al bancone del bar.
Lo aspettava.
Ci mise un po’, ma alla fine entrò anche lui nella sala bar.
Ho proprio voglia di un caffè shakerato, Giorgio – disse ad alta voce Mariarosa, per farsi sentire da lui.
Ma forse – aggiunse – non ti va di farne uno solo, ne devi fare due alla volta di caffè shakerati? Ma non importa, li bevo tutti e due io.
Finalmente il ragazzotto prese l’iniziativa.
Lo prendo volentieri anch’io, un caffè shakerato.
E così, con la scusa cretina del caffè shakerato, il ragazzotto era caduto nella rete.
Si presentarono, piacere Franco, piacere Mariarosa.
Non aveva mai conosciuto una ragazza così bella, con così poca fatica.
Non gli passò nemmeno per l’anticamera del buco del culo, di essere stato lui il pesce abboccato all’amo, non certo il cacciatore che aveva acchiappato la preda.
Le disse che era arrivato quel mattino, insieme a suo fratello, più grande, ed al cugino. I due sarebbero arrivati lì da un momento all’altro.
Anzi, ma non glielo disse, aveva una paura fottuta che arrivassero troppo presto.
Suo fratello, Salvo, ma anche suo cugino Rino, erano famosi trombeur (si dice tombeur, lo so, ma nel loro caso, la r ci stava tutta).
Se quelli arrivano subito, gliela portano via, prima ancora che lui cominci a farle la corte.
Che ne dici, Mariarosa, ti va se facciamo un giro? Mi fai vedere le spiagge e i posti più belli della zona? È la prima volta che veniamo qui..
Ma certo, Franco, bella idea.
Ecco, questa è la mia macchina – le disse aprendo col telecomando una Giulietta parcheggiata rigorosamente per bene, nelle strisce, lì davanti.
Però, sei tutto spiderato anche, aggiunse spiritosamente lei.
Bella, con un culo da favola, e anche simpatica. Ma cosa si può volere di più dalla vita?
Stava perdendo la testa. Alla prima spiaggia dove si fermarono, la Giannella, parcheggiò apposta un po’ lontano dalle altre macchine, sotto due grossi pini marittimi che facevano da ombrelloni in parte affiancati, in parte sovrapposti.
Scendendo, si precipitò dall’altra parte, per aiutarla a scendere, e per sfiorarle le spalle.
Ehi cosa fai? Ci provi? Neanche due minuti che ci parliamo e già metti le mani addosso?
No, Mariarosa, figurati, era solo per toglierti un ago di pino.
Sto scherzando, dai. Se è per questo anche tu ne hai un sacco, sulle spalle. Adesso te li tolgo.
Nel farlo Mariarosa gli circondò le spalle con le braccia, il suo viso era davanti a lui.
Non poté fare a meno di allungare le labbra e baciarla sulla punta del naso.
Ma stai fermo, Franco, che ti tolgo questo.
La sua bocca era vicinissima adesso.
Franco le cinse la vita, per paura che si allontanasse e le baciò le labbra.
Cercò di entrare con la lingua, ma lei manteneva le labbra chiuse.
Aspetta Franco, non essere precipitoso.
È che mi piaci moltissimo, Mariarosa, non ho mai visto una ragazza bella come te, hai gli occhi che si chiudono quando sorrisi, diventano due fessure, un viso dolcissimo, una bocca stupenda, sei una favola. E sei simpatica, davvero, sei uno sballo.
Hai una scollatura stupenda. . .
Ma se quasi non le ho le tette – lo interruppe lei.
Le hai, le hai, piccole e sode. E poi tutto quello che non sta nella mano di un galantuomo, è sprecato. Ma tu ci credi ai colpi di fulmine?
Aveva davvero perso la testa. Addirittura le toccò le tette con le mani, sopra la maglietta.
Non hai reggiseno – aggiunse dopo.
Mariarosa cominciava ad avere qualche dubbio. Più che ai colpi di fulmine, io credo ad altri colpi, quelli che vorrei avere dal tuo coso, tra le mie gambe. Speriamo bene. Ma questo è il tipo poetico, il sentimentale, quello che parla parla, s’innamora e non combina niente? Speriamo di no, speriamo che gli tiri abbastanza, non ho nessuna voglia di perdere il tempo con l’innamoratino.
Preferisco uno più volgare e sporcaccione, con una bella attrezzatura e con tanta voglia di usarla, possibilmente dentro la mia sorellina.
Quella sera, dopo cena uscirono insieme. Si erano dati appuntamento davanti alla Terrazza, alle nove e mezza. Mariarosa arrivò dieci minuti dopo, e così lo vide insieme ad altri due giovinotti.
Franco glieli presentò.
Lui è Salvo, mio fratello, e questo è Rino, mio cugino.
Vengono con noi? gli chiese Mariarosa.
No, loro vanno da un’altra parte.
Franco, ricordati che a mezzanotte devi tornare a casa, se no la mamma sta in pensiero, a sapere che sei in giro in macchina fino a tardi – gli disse Salvo, con il fare tipico del fratello maggiore.
Sei come un Cenerentolo – lo prese in giro Mariarosa – a mezzanotte finisce l’incantesimo.
A mezzanotte, se vuoi, ci vediamo qui e ti lascio la macchina e accompagno a casa a piedi Mariarosa – disse Franco rivolgendosi al fratello maggiore.
Buona idea, gli rispose Rino, proprio un’ottima idea.
Sia lui che Salvo stavano guardando e riguardando e spogliando con gli occhi la ragazzina.
Proprio una bella ragazza. Forse un po’ giovane, disse Rino, a mezza voce, come per dirlo solo a Salvo, ma ovviamente facendosi sentire da lei.
E Salvo gli rispose, anche lui a mezza voce, ma anche lui facendosi sentire, troppo giovane, ma tra un paio d’anni, me la farei anche subito.
Mariarosa aveva sentito tutto e sembrava più compiaciuta che scandalizzata.
Franco era incazzato: quei due si erano fatti una strana idea della sua ragazzina.
Innanzi tutto non era una da “farsi anche” subito, e comunque, nel caso, era la sua ragazzina, sarebbe stato lui a farsela.
Si erano già baciati sulla bocca, sotto i pini, alla Giannella, avevano anche iniziato a pomiciare, nell’altra spiaggia verso Ansedonia. Se qualcuno doveva farsela, era lui, mica i due grandoni.
Che andassero con le zoccole cui erano abituati.
Quella era la sua ragazzina. E basta.
Andarono in un bar che conosceva lei, ad Ansedonia, dove facevano buona musica e c’era anche lì un parcheggio simpatico, l’ideale per cominciare a farsi toccare, anzi a farsela toccare, e magari per prenderglielo in mano.
Ma lui niente, baci e bacini, lingua in bocca, palpate continue delle tette, anche sotto la maglietta, ma ai piani inferiori niente.
Appoggiandosi a lui l’aveva sentito, ce l’aveva già duro, lo sentiva benissimo contro la pancia.
Lui non si decideva, allora lei gli appoggiò la mano contro, e Franco si tirò indietro.
Accidenti, rifiutava perfino la palpata di cazzo sopra i pantaloni.
Mi fai impazzire, Franco – gli disse, per scaldare la situazione – Non so più cosa sto facendo.
Gli prese la mano che stava distruggendo il suo capezzolo sinistro e se la portò sulla fica.
Mi fai impazzire – continuò – non capisco più niente.
E invece era Franco che non capiva, che non capiva proprio niente.
Si limitava a toccargliela sopra i jeans, scommetto che non s’è nemmeno accorto che non porto slip sotto. Ma come si fa?
Riuscì a toccarlo sopra i pantaloni, dalle dimensioni era proprio il tipo di cazzo che immaginava lei, forse addirittura più lungo di come pensava, comunque sarebbe andato benissimo, ma non voleva sfoderarlo, niente.
Alla fin ci riuscì ad aprirgli la patta e a tirarlo fuori.
Ma sei pazza? Qui in mezzo a tutti. Se ci vedono?
Se ci vedono, so’ccazi loro, pensò Mariarosa, però bisognava cambiare tattica, oppure cambiare ragazzo.
Ultimo tentativo.
Senti, visto che è già mezzanotte, e sei in ritardo, Franco, ritorniamo da tuo fratello a lasciargli la macchina. Poi, se mi accompagni a casa a piedi, poco prima di arrivare a casa mia c’è un boschetto, lì non c’è mai nessuno, se ti va possiamo stare a salutarci lì nel boschetto. Ti va?
A lui andava benissimo.
Anzi, desiderava venir fuori da quella situazione, lì davanti a tutta, quella ragazzina gliel’aveva tirato fuori e glielo stava segando. Ma non si fa, dai, la prima volta che vedi uno, già glielo prendi in mano? Ma che tipo era Mariarosa?
Non che non volesse fare all’amore con lei. Sarebbe stato bellissimo, magari la terza o quarta volta che uscivano insieme, sarebbe stato una cosa bellissima, lei era proprio carina, e si vedeva che lui gli piaceva. Però troppo audace, dai! Non si fa così. Non aveva nemmeno i preservativi, in tasca. Mai più pensava di averne bisogno quella sera.
Magari li avrebbe comprati domani.
Però all’aperto, madai, come si fa!
Almeno la prima volta con lei, voleva farlo per bene, in un letto, con la musichina giusta, i preliminari e tutto. Mica sbatterglielo dentro, due botte alla traditora, come a una troia qualsiasi. Per bene.
.- continua –
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