“Volevo emettere un urlo liberatorio, ma non potendolo fare riuscivo solo a produrre dei mugolii prolungati…”
Una gogna inginocchiatoio mi attendeva al centro della stanza adibita alla
mia tortura.
Nuda,trascinata per i capelli, strattonata venivo portata e incaprettata con forza su di essa con le gambe oscenamente divaricate e le tette penzoloni come due campane.
Carponi e bloccata in quella trappola infernale ero privata da ogni mia difesa .
Gli occhi oscurati e accarezzati da una benda di seta rossa facevano posto alle immagini fantasiose che prendevano corpo nella mia mente attonita mentre la mia bocca forzatamente ospitava una pallina di gomma che si posava tra lingua e il palato, occupandone tutto lo spazio interno quasi fino a togliermi il fiato.
Bloccata come una bestia al macello che aspetta la fine della sua sorte, offrivo oscenamente il mio deretano senza potermi ribellare a quell’impalatura decisa come punizione senza sapere il perché della mia colpa.
Non riuscivo a vedere i movimenti del mio Padrone ma ne sentivo i rumori che squarciavano il silenzio intono a me.
Come un carnefice affila i suoi strumenti per eseguire perfettamente la pena sul condannato, il mio Signore si preparava alla mia esecuzione mettendosi a portata di mano tutto ciò che poteva servire per il suo piacere e la mia espiazione.
Il mio cervello, offuscato dall’imbarazzo e dalla paura dell’ignoto, comandava al corpo l’abbandono totale dei muscoli mentre i pensieri invadevano la mente e il sudore cominciava a sprizzare da tutti i pori della mia pelle.
La paura, la preoccupazione e l’imbarazzo mi avanzavano mentre sentivo il sangue gelato circolare dentro le vene e il cuore aumentare i battiti .
Avvertivo le sue mani forti e calde tastare le mie tette, tirarle, pizzicarle e mungere i sensibili capezzoli come fossi una vacca da latte. Ero inerme, il viso arroventato dalla vergogna mentre ancora le sue mani con determinazione mi stringevano sempre di più facendomi percepire l’affondo dei suoi artigli.
Sicuramente il mio carnefice provava enorme piacere nell’ usarmi in quella maniera violenta e determinata, che mi faceva incupire e portare i pensieri al tempo del Medioevo quando esistevano le camere delle torture.
Volevo emettere un urlo liberatorio, ma non potendolo fare riuscivo solo a produrre dei mugolii prolungati.
Ero come una pecora bloccata alla tosatura, non riuscivo a muovermi e speravo nella sua clemenza che però non arrivava, anzi si incaponiva ancora di più quando decideva di aggiungere i pesi ai miei lunghi e grossi capezzoli che turgidi somigliavano sicuramente a dei chiodi pronti all’uso.
Tra tutte le domande che invadevano i mie pensieri affiorava a quale mio buco il Padrone si sarebbe dedicato per sfociare la sua rabbia, il suo volere, il suo piacere …. la mia “ punizione” .
Doveva essere un’impalatura anale, vaginale o orale?
Boh!
Forse orale no! La bocca era già occupata da quel bavaglio che mi vietava la parola e l’emissione di urli.
L’unica cosa che mi veniva in mente e ne avevo sicura certezza era che quello che fosse accaduto da lì a poco sarebbe stata un’esperienza nuova ed estrema per me.
Spesso subivo punizioni corporali ma stavolta essa era davvero particolare, estrema nel far soffrire il mio corpo, umiliarlo e educarlo ancora meglio all’uso del piacere maschile.
Assorta nei miei pensieri attendevo la sorte che diveniva certezza quando le sue dita iniziarono ad allargare ancora di più le mie chiappe.
Le sentivo insinuarsi nel mio sfintere, mi assaggiavano tastando le pareti anali … ora dentro ..ora fuori violavano quell’entrata che nonostante fosse abituata alla dilatazione, tendenzialmente a ogni tocco reagiva ritraendosi .
“Rilassati Troia”!….. questa l’esclamazione che arrivava alle mie orecchie mentre un forte schiaffo si posava sulle mie chiappe richiamandomi alla collaborazione e al controllo e un suo sputo scivolava tra le natiche mentre le sue mani affondavano ancora tra le sode rotondità del mio culo. Le sue dita si insinuavano violente nel mio deretano e con forza lo aprivano provocandomi uno scossone interno come un’inondazione di calore che si trasformava in un brivido di piacere con la conseguenza immediata di un viscido fiotto, che schizzava inondandomi la fica, ma portava anche su tutte le furie il Padrone.
Cagna …. sei sempre in calore!
Non hai ancora capito che sei qua non per il tuo piacere ma esclusivamente per il mio?
Arrabbiato decideva di battermi immediatamente per smorzare sul nascere quel minimo di piacere che avevo appena accennato. Il frustino di pelle nera, che avevo prima visto appeso alla parete, si poggiava con decisione sulle mie chiappe come per prenderne la mira e i colpi si susseguivano terribili e inesorabili sulla mia candida pelle facendomi pulsare e bruciare le natiche.
Avrei voluto dei massaggi sul mio povero culetto mentre le lacrime salate rigavano le mie gote e cadevano sul pavimento ancora quando il Padrone decideva di sospendere quelle frustate e procedere invece all’impalatura.
Non era l’ affondo di un cazzo di carne che doveva trafiggere il mio corpo e possedermi, ma un macchinario meccanico arrivato in quella casa apposta per me.
“Dovrai ringraziarmi .Troia! Questa nuova punizione servirà per imparare ancora meglio il tuo comportamento nel percorso educativo per il piacere del maschio”….. questo arrivava alle mie orecchie prima che un cazzo meccanico prendeva posizione per violare il mio deretano e conquistare freddo e senza pietà il mio intestino.
Umiliata e provata, ormai anche rassegnata, coinvolta e attratta in quella scelta di vita… aspettavo, mentre lui avvicinava il macchinario e prendeva la giusta misura mettendolo in moto.
Con colpo preciso e secco sentivo improvvisamente un lungo e grosso cazzo freddo che con rigidità mi violentava, facendomi rimanere pietrificata.
Il palo meccanico entrava dentro il mio sfintere senza ritegno, mi toglieva il respiro e senza pietà lacerava la mia carne dilatandomi.
Anche se mi imponevo il rilassamento dei muscoli non riuscivo ad abbandonarmi e ancora rigida lo accoglievo emettendo dei suoni gutturali infernali. Mi sembrava di morire e d’istinto allargavo le dita delle mie estremità richiudendo poi quelle delle mani, formando pugni stretti per poi riaprirli.
Il buco del culo e le pareti anali si laceravano al passaggio di quel cazzo meccanico che si faceva strada senza chiederne il permesso, fino ad arrivare prepotentemente tutto dentro le mie viscere. Il percorso da lui segnato bruciava come se una polvere di peperoncino veniva seminata al suo passaggio .
Emettevo lunghi ed estenuanti mugolii mentre quel palo affondava nelle mie budella senza ritegno, volevo urlare ma non potevo.
Mentalmente mi ritrovavo tra e le mani di un boia del Medioevo. Stringevo tra i denti la pallina di gomma che ormai galleggiava tra le mie bave scivolose, che cadevano a terra sbavando dalle mie labbra.
Il duro cazzo entrava e usciva ritmicamente dalla mia carne come il rintocco preciso dell’orologio a pendolo che segna il tempo o il battito del cuore che prende la rincorsa quando si trova sottosforzo.
L’intestino mi esplodeva dentro, sbruffavo, mordevo la pallina e mi aprivo a quella mazza rigida che mi violava rabbiosa con estenuante decisione affondandosi nell’interno delle mie chiappe.
Non finiva mai, affondava la sua punta come per conquistarne sempre più il campo e sembrava volerne uscirne prepotentemente dalla bocca.
Mi sentivo sbudellare, mugugnavo ancora per il dolore, mi sembrava di impazzire.
Sicuramente il mio carnefice gustava le scena della sua preda ed era felice di guardare quella monta meccanica che come una bestia affamata mi sottometteva e mi faceva perdere ogni forza.
Ero come posseduta, presa , strappata mentre un fuoco mi dilaniava dentro le viscere e coinvolgeva anche l’anima con quei colpi bestiali che mi facevano sentire “peccatrice” smarrita.
Volevo fuggire, gridare, annullarmi, ma inconsciamente mi piaceva. Gradivo quel trattamento e anche se non volevo ammetterlo ne godevo.
Le sue mani ancora sul mio corpo stringevano i fianchi, accarezzavano le spalle fino a raggiungere le tette che ad ogni colpo di cazzo facevano dondolare i pesi legati ai capezzoli con dei morsetti di ferro.
Ero stremata, stanca, umiliata quando mi abbandonavo totalmente alla gogna perdendo per qualche minuto i sensi.
Mi ritrovavo poco dopo in silenzio tra le sue mani sapienti, che mi carezzavano e mi liberavano da quella posizione allontanandomi anche da quella macchina infernale.
Le sue mani ispezionavano il mio corpo, mi ridavano la luce e liberavano finalmente la mia bocca. Scioglieva le mie tette violacee massaggiandone i capezzoli, che ormai avevano perso la sensibilità. Avevo superato la prova, la punizione era stata eseguita. Ora sorridevo ai suoi occhi, ero felice accorgendomi che, nonostante la dura prova, la mia perversione aveva dato i suoi frutti.
Il Padrone ispezionandomi la fica mi fece assaggiare gli umori del mio piacere che grondanti erano caduti tra le cosce durante l’esecuzione.
Succhiavo il suo dito gustandone il sapore mentre scopava sapientemente la mia bocca spingendolo fino in gola provocandomi conati di vomito, quando i suoi gelidi occhi mi ordinavano di inginocchiarmi e spalancare le labbra per accogliere il suo cazzo di carne che indurito pulsava d’eccitazione per darsi piacere e darmi il premio della sua dolce sborra.
Io umile schiava, obbedivo e ringraziavo il mio Padrone per la punizione ricevuta, che seppur tremenda e violenta mi aveva plasmata, trasformata e aiutata a crescere ancora nel mio cammino rendendomi più docile e sottomessa al desiderio della sua adorazione.
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