“Presi a mordicchiarglielo e poi le ficcai dentro la lingua…”
Le mie calde allieve – Capitolo 5
Mariella, che aveva ricevuto
un’educazione molto liberale, godeva di una notevole indipendenza. Dato che rientrava sempre in orario e il suo profitto scolastico era buono, oltre al fatto che le sue mestruazioni erano regolari, la madre le permetteva di fare più o meno tutto quello che voleva. Cosi mi aveva spiegato concisamente. Aveva un anno meno di Sara e di Rosina, essendo avanti di un anno a scuola. Parlava come un’adulta e io ero impaziente di approfittare al massimo di quella sua maturità. Il mercoledì pomeriggio veniva all’associazione sportiva e faceva parte di una squadra di pallavolo capitanata da Silvia.
Quest’ultima era maggiore di me e di Barbara, tuttavia era spesso scambiata per una studentessa, a causa della sua espressione molto giovanile. Per di più era una donna minuta. Il suo musetto dal nasino all’insù e dagli occhi azzurri, l’impertinente coda di cavallo e il suo comportamento sbarazzino traeva in inganno la gente.
Ma lei, in effetti, aveva responsabilità pedagogiche oltre che amministrative. Era la nostra coordinatrice e io tenevo in gran conto il suo buon senso in quei primi anni di fantasie erotiche che vivevo in modo sfrenato.
Barbara, minore di me di un anno, era un po’ coccola del gruppo. Una ragazza spontanea e molto simpatica che io ora rimproveravo ora baciavo, a seconda del mio umore. Lei però mi sopportava
perché aveva un buon carattere. Era nativa delle valli alpine ed era stata una sciatrice di ottimo livello. Muscolosa e tuttavia dotata di un seno ragguardevole, sembrava molto disponibile alla sessualità ma filava in amore perfetto con uno studente che stava laureandosi in legge e con il quale aveva instaurato un magnifico rapporto.
Noi tre costituivamo una squadra, a dir poco unica, perché da allora non ho mai ritrovato dei colleghi tanto devoti e affezionati con i quali riuscire a instaurare tanta intimità.
Gli ultimi mercoledì del secondo trimestre avevamo deciso di alleggerire le ore pomeridiane offrendo ai nostri studenti la possibilità di fare un torneo di pallavolo, perché potessero rilassarsi dopo il lungo periodo delle selezioni sportive.
Era anche un modo per proporre una merenda collettiva e consegnare i premi: coppe, medaglie o cucchiai di legno alle squadre. Le bevande erano acquistate con il denaro dell’associazione e gli allievi avevano preparato le torte.
In uno di questi pomeriggi, prima di iniziare a mangiare, Silvia aveva cercato di attirare l’attenzione dei ragazzi parlando della vacanza di fine anno.
Avevamo parlato di una settimana di stage all’aria aperta in alta montagna, finanziata in gran parte dalla scuola. Era un modo di ricompensare gli allievi per l’impegno mostrato durante l’anno. Gli interessati alzarono il braccio al fine di consentirci di fare un primo calcolo sugli eventuali partecipanti. Dato che Mariella esitava, la presi per un braccio e la costrinsi ad alzarlo, Lei scoppiò a ridere. Sara e Rosina fecero lo stesso e subito io sentii un diavoletto che mi ridacchiava all’orecchio.
La merenda ebbe inizio e i tavoli pieni di dolci e bibite divennero subito inaccessibili.
Gli allievi si incaricarono di nutrire noi insegnanti. Non volevano capire che noi non eravamo in grado di mangiare tutto quel po’ po’ di roba! Se alcuni di quei dolci erano invitanti, bisognava anche, per non offendere chi li aveva preparati, ingurgitare roba pesante e indigesta che per di più dovevamo fingere di apprezzare.
Notai che Samira non c’era. Eppure lei era sempre stata una fedelissima presenza di altri mercoledì, Mi fu detto, poi, che era dovuta restare a casa per accudire al fratellino minore.
“Spero che i suoi genitori la lascino venire allo vacanza in montagna…”,
«Bisognerà convincere suo padre a darle il permesso! ».
Non potei celare una smorfia di contrarietà. Samira e Mariella con me cinque giorni in montagna e in mezzo ai boschi: ci sarebbe stato di che scrivere un fumettone, per adulti, naturalmente!
Ma, intanto, bisognava che trovassi una soluzione per rivedere Mariella! Mi sarebbe piaciuto portarmela a casa e quel giorno stavo cercando le parole adatte quando lei prevenne i miei desideri.
« Puoi accompagnarmi in centro, dopo?».
« Ma certo», le risposi piacevolmente sorpreso.
« Perché?».
« Dalle cinque alle sei vado al Conservatorio. Andarci in autobus o a piedi fa venire il latte alle ginocchia».
«Al Conservatorio? Io abito li vicino».
«Si, lo so. É per questo che te l’ho chiesto».
Quella prospettiva cominciò a tormentarmi.
Dunque, quella briccona si sarebbe di nuovo installata nella mia automobile.
«Suoni qualche strumento? ».
« Suono il pianoforte».
Ah, si? Io ti avrei visto meglio suonare il flauto!».
«Molto malizioso, caro professore!».
«E alle sei, come ritorni? Ti vengono a prendere i tuoi genitori?».
« Se mia madre va a far commissioni in centro si.altrimenti torno a piedi e quando piove in autobus».
« Posso anche riaccompagnarti io, sai?».
a Ah, sì?», mi disse in tono scherzoso,
«facendo una piccola deviazione?».
Notai che non aveva detto di no.
Dissi che dovevo accompagnare Mariella al Conservatorio per sfuggire alla corvée di rimettere in ordine in palestra. Trovai molti volontari che si offrivano di farlo al posto mio.
Non appena ci fummo allontanati dal grande edificio, le cui maledette finestre erano dei veri e propri osservatori, decisi di mettere alla prova la piccola posandole la mano sulla parte alta della coscia. Questa volta il tessuto morbido e la larghezza dei pantaloni mi consenti di accarezzarla più efficacemente del solito. Trovai la fenditura del sesso e li premetti le dita, palpando un punto ben preciso.
« Gianniii! Se tu credi che dopo questo mi sarà facile fare le scale!».
«Sono pazzo di te, Mariella! In fin dei conti, di chi è la colpa?».
Approfittai di un semaforo rosso per guardarla negli occhi. Sprofondata nel sedile lei mi rivolse un Sorriso civettuolo che mi rassicurò, Era chiaro che il mio comportamento le piaceva, che gradiva quello che le facevo. Restammo d’accordo che sarei tornato a prenderla di li a un’ora.
«Credevo che dovessi accompagnarmi a casa»,
disse Mariella con una smorfietta maliziosa, varcando la soglia della mia garçonniere.
Non le risposi, ma ebbi cura di girare la chiave nella toppa.
«Oooh! Che sballo, il tuo appartamento!».
Sapevo che il mio scannatoio le sarebbe piaciuto.
I ragazzi qui si sentivano a proprio agio. Mobili bassi, moquette, manifesti cinematografici alle pareti, un insieme semplice ma intimo.
«Berrai pure un bicchierino prima che ti riporti a casa! Coca cola?».
Senza aspettare che mi rispondesse la issai su uno sgabello davanti al mobile bar. Lei si ritrovò, cosi, a una bella altezza. Invece di servirla la presi affettuosamente per la vita.
« Mariella, perché mi piaci tanto?».
Le sfregai le palme contro i seni che erano già duri e turgidi. Le schiacciai le labbra e con la lingua la costrinsi ad aprire i denti. Lei si lasciò baciare, poi mi respinse, si divincolò e andò a sedersi sul divano.
«Non perdi certo tempo, tu! Mi offri da bere e al contempo mi fai un lingua in bocca!».
La raggiunsi sul divano di gommapiuma, troppo eccitato per darle anche un solo attimo di tregua.
«Stupidina, ho troppa voglia di te!».
«Ah! Siamo alle solite», disse con voce più bassa, lasciandosi afferrare una seconda volta.
La liberai dalla tuta e poi, mordicchiandola sul collo, infilai le dita sotto la maglietta. Aveva un buon profumo di borotalco e la sua pelle sembrava quella di un bebè. La accarezzai e la baciai. Il reggipetto fu slacciato senza che lei opponesse resistenza. Aveva seni appuntiti e caldi. Rideva e rabbrividiva al contempo.
Capivo che era eccitata. Divenni molto dolce e molto delicato per non spaventarla. Già immaginavo il suo cespuglio intimo e la sua fighina grassottella.
Un miagolio la fece trasalire. C’era un gatto sul balcone.
«Oooh! É tuo?».
Senza nemmeno voltare la testa, le bisbigliai all’orecchio:
«No, viene di tanto in tanto e qualche volta gli do da mangiare!»
« Mi piacciono i gatti…».
«Ma si, ma sì, piccola mia, anche a me!».
«A casa ho un gatto, si chiama Minou!».
Senza badarle, continuai a coccolarla.
« Mi vuole molto bene. Viene sempre a giocare con me!»,
« Mmmm! Anch’io sono un gattone», le risposi per riportarla sul tema.
«È carino, mi lecca dappertutto…».
Tra un bacio e l’altro lei continuò a raccontarmi del gatto. Visto che mi lasciava fare, la cosa non mi
disturbava, anzi la trovavo eccitante.
«Ma credo che sia anche vizioso, perché mi lecca sempre dove non si deve!».
Questa volta mi bloccai di colpo e la guardai negli occhi,
«E… tu lo lasci fare?».
«Un po»
«E ti piace?».
«Be’, sì…”,
Mi sentii il cazzo rigido di colpo.
Mariella soggiunse con una risatina:
«È normale, no? I gatti sono fatti per le gatte!».
«Porcellona che non sei altro! E io che prendo tante precauzioni con una viziosa come te!».
Le cacciai le mani sotto le mutande.
« Anche a me piacciono le gatte, figurati un po’, e sento che la tua mi piacerà moltissimo!».
Era molto pelosa là sotto e la fenditura colante si dischiuse come un frutto maturo. Non appena avverti le mie dita che le frugavano nelle carni intime, Mariella cambiò espressione, Smise di ridere e mi fissò negli occhi con aria grave e turbata.
« Non toccarmi, così…. »
« Mettiti dritta! Mettiti sulle ginocchia».
Quella posizione mi permetteva di accarezzarla bene. Mi misi di fianco a lei per poterle infilare l’altra mano dal di dietro. Presi a palparle le natiche morbide e rotonde. Un odore di femmina mi avvolse. Mariella era un piccolo mostro!
Ficcai le dita più in profondità, facendole penetrare lentamente tra le mucose bagnate. E, pure lentamente, cominciai a palpeggiarla e a titillarla; lei si inarcò lievemente con un sospiro. Le nostre
labbra ora si sfioravano. Mi piaceva sentire sulla bocca la sua eccitazione giovane. Ora ripeteva il mio nome e i suoi occhi erano annebbiati dal godimento.
Le mie dita si toccarono attraverso la membrana più segreta, quella che separa il retto dalla vagina.
Ora Mariella era rorida e tutta aperta.
La rovesciai e le sfilai i pantaloni. Lei divaricò le gambe, disarticolata come una bambola di pezza.
Cacciai la testa nel suo nero vello e, quando con la lingua presi a spazzarle la fenditura, lei si mise a urlare. Dio, come era buona la sua piccola conchiglia odorosa! Il suo succo speziato mi inondò la bocca, pungendomi le narici! Presi a leccarle le ninfe, allungandole, distendendole, lisciandole a volontà! Sentivo palpitare la vagina che la mia lingua, di li a poco, penetrò.
Presi ad esplorare le pareti interne. Li le carni erano più molli. Avevano un sapore lievemente asprigno.
Non era certo un gattone quello che la stava leccando ma un fauno che le divorava la gatta, a quel.
la puttanella viziata!
Quando l’ebbi ripulita a fondo dal davanti la rigirai sul ventre e cominciai a titillare l’orifizio del culo bagnato da un acre sudore. Presi a mordicchiarglielo e poi le ficcai dentro la lingua. In un primo momento contratto, lo sfintere si distese progressivamente consentendomi di succhiarla con cura, il volto ficcato profondamente tra le chiappe morbide e tenere.
Avrei continuato in questo modo per ore!
Il cazzo, duro come il marmo, mi tormentava orribilmente. Mi rialzai e, salendo a mia volta sul divano, offrii alla pupa il mio biberon possente e pulsante.
Mariella mi accolse nella sua bocca vellutata. Si sistemò in modo da poter giocare meglio con la mia verga. La leccò, la scappellò, vi girò intorno con l’agile lingua, la aspirò nei punti in cui le vene erano inturgidite e disegnavano volute scure sotto la pelle tesa, la ciucciò tra la lingua e il palato come fosse una caramella.
Gli occhi chiusi, Mariella inghiottì tutto l’uccello sino in fondo alla gola, quindi prese ad aspirarlo in maniera regolare.
Con un ansito sordo e trattenuto mi succhiava ora l’uccello con forza brutale. Mi resi conto che per lei si trattava di qualcosa di tutt’affatto nuovo, che le dava un enorme piacere, un piacere che aumentava di secondo in secondo.
Andava su e giù senza sforzo dal glande alla radice, ingurgitando quel bastone carnoso che avrebbe soffocato donne ben più mature di lei!
«Mariella! Mariella! Dove hai imparato a far così bene i pompini, in nome di Dio!».
Non mi aspettavo una risposta da parte sua e invece, tra una succhiata e l’altra, lei me le diede,
sfrontata e concisa.
«Guardando i film porno».
Mi dissi che il videoregistratore dei suoi genitori veniva probabilmente usato a scopi segreti e quest’idea non fece che aumentare la mia eccitazione.
Mariella muoveva il deretano e se lo strofinava contro il tessuto del divano.
« Aspetta, voglio mettermi sotto di te!»,
Mariella mi fece distendere sul divano poi si chinò sul mio corpo, nuda come un verme e riprese a pomparmi con ardore. Il suo bacino ondeggiava sopra il mio viso mentre io le mordevo il suo fiore di carne sgocciolante di desiderio.
La divorai di nuovo dalla fenditura al clitoride.
Dopo averla leccata in modo piuttosto disordinato raddrizzai il tiro, concentrandomi sul clitoride che era grosso, rosso e appuntito come un peperoncino e lappandoglielo con movimenti esperti della lingua.
La piccola lanciò un grido. Si irrigidì e lasciò andare l’uccello per spostare le natiche sulla mia bocca. Mi afferrai con forza il cazzo e presi a scuoterlo vigorosamente. Sentii salire dal basso ventre
un’ondata travolgente alla vista di quella figa spalancata, cosi saporita ed eccitante. Lei si prese in piena faccia il mio sperma senza batter ciglio. E quando ebbi eiaculato e mi fui calmato, mi ripulì delicatamente.
Quindi si voltò e mi si distese sopra, ma nel senso giusto stavolta. La baciai amorevolmente. Il suo alito e le sue belle labbra luccicanti sapevano di cazzo e di sperma.
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