“Si è anche dimenticato di lubrificarle il culo prima di infilarglielo…”
Tanti anni fa voleva fossi l’uomo della sua vita. Io sapevo non
era così. E dopo qualche mese il suo corpo non aveva più segreti. L’avevo presa tutta. Il sesso era la sua arma. La spregiudicatezza la sua qualità. Così, in crescendo, le prime frasi sporche si erano subito trasformate in piacevoli giochetti. Le doppie penetrazioni con ogni sorta di arnese, l’esibizionismo, tutto era divenuto via via sempre più azzardato. E piccante. La biancheria intima proibita sempre, anche sul luogo di lavoro. Al termine della giornata, uscendo dall’ufficio, unico abbigliamento che le era consentito sotto il cappotto le autoreggenti. Si spogliava nei bagni dell’azienda, infilava i vestiti nella borsa che portava molto ampia. E poi, fino all’uscita in mezzo a decine di impiegati e colleghi. E in autobus, con il compito di concedere al fortunato di turno più di qualche sbirciata alla maestosa quarta di seno, che inevitabilmente, “inavvertitamente”, doveva sfuggirle da sotto il cappotto. Unica condizione, il fortunato non doveva essere un bel giovane desiderabile. Ma uno di quegli individui privi di occasioni che una volta a casa, sapevamo, non avrebbe fatto altro che sfinirsi pensandola. Poi, le fantasie su un terzo, una terza, una coppia, e magari una «gang». E le esibizioni sulle scale mobili dei grandi magazzini sempre più azzardate, fino alla sera in un parcheggio, a culo all’aria, in auto. Indaffarata sul mio cazzo, con il guardone che si avvicina mentre lei impegnata non può vederlo. Sbircia. E’ gracile, innocuo, arrapato. Si tocca. Abbasso completamente il finestrino, mentre le blocco la testa. Le racconto cosa sta succedendo. Lei pensa stia scherzando. Pensa faccia parte del gioco. Guardo lui e gli faccio coraggio, finché finalmente la tocca. Lei mugola, è fradicia. Chissà se distingue la mano di lui dalla mia. E a quel punto le ordino di scendere dall’auto e di mostrarsi, nuda, così com’è. Di aprirsi e spalancarsi le labbra. Di toccarsi di fronte a lui che non crede ai suoi occhi, e poi di aiutarlo a finirsi. Splendida nel suo fisico statuario, con il cazzo in mano, mentre lui viene come un fiume in piena. Poi, però, di nuovo la noia. Lei è molto attratta dalle prostitute che in quegli anni affollano il margine delle strade statali. Da quelle più giovani, soprattutto. Penso di proporle di sostituirle. Ci accordiamo con la ragazza, ci appartiamo nel luogo in cui lei di solito consuma la sua prestazione e una volta che arriva offre al cliente la scelta. Lei o me? Sceglie lei, ovviamente. Ma l’esperienza è troppo forte. La prima volta non ce la fa. Potremmo riprovare, però. Lei mi rimprovera di non avere limite, ma poi, ogni volta non si sottrae. Mi annoio, però. E lei lo sa. Lo capisce. Il sesso è la sua carta vincente, ma oltre alla bellezza è solo quella. Annoia, dunque. Finché arrivano le vacanze, e ci ritroviamo in una camera d’albergo di Barcellona. Io a guardare un film porno, lei a riapparire dal bagno nuda, schiudendosi la figa appena depilata e chiedendo: «Allora, è meglio la mia o quella di quelle troie?». Si mostra e ancheggia come aveva fatto nel parcheggio. «Non so». Rispondo distrattamente, senza scollarmi dal televisore. «Dovrei vedere come la usi». Lei, languida, si avvicina. Sorride. La gelo: «Non con me… Come faccio a vedere come la usi, se sono impegnato a scoparti?». Esita. Non se l’aspettava. «Dovresti rimorchiare uno», riprendo. «Ti do un’ora, se sei capace». È scossa, disorientata. Incerta, sa solo domandare: «Vuoi davvero?». Senza distogliere lo sguardo dal televisore, concludo: «Non te lo direi…». Lei si avvicina alla poltrona. Ostenta tutta la sicurezza che non ha. Si mette la minigonna, una canottiera da cui esplodono le tette (tanto deve andare a fare la troia, penso), arretra fino alla porta e prima di uscire si fa piccola piccola e chiede nuovamente: «Vuoi davvero?…». Non la degno di uno sguardo. Il mio silenzio è eloquente. E dal letto, mentre chiude la porta, sotto la minigonna intravedo il profilo del suo culo, nudo. «Che puttana…», penso. «E vorrebbe anche che la sposassi, sta troia…». Torna poco dopo. Lui è giovane. Molto giovane. Troppo. Quando mi vede è intimidito, finge di non capire. Mi alzo dal letto, e prima che ci ripensi, e magari scappi, mi porto alle spalle di lei. Le scopro le tette, le accarezzo, gliele mostro. Lui guarda. Inizio a sfiorarle. I capezzoli si induriscono come chiodi. Lei chiude gli occhi. Ne approfitto e la bendo, così sarà più facile. Le sollevo la gonna e le allargo le labbra. Inizia a bagnarsi, ma meno del solito. E’ tesa. Salgo fino al clitoride e ha un brivido. Lui infila un dito nella figa. Lei geme. È stato frettoloso. Le ha fatto male. Gli mostro come fare. Inizio a masturbarla. Premo sulla spalla e la faccio inginocchiare davanti al suo pacco. Le ordino di cercargli il cazzo nei pantaloni. Lei è bendata ma esperta. Si muove a tentoni ma sa come fare. È gonfio, bagnato. Le ordino di prenderlo in bocca. Lei inizia a lavorarlo, timidamente. Così non va bene. Deve fare come con me. Un cazzo è un cazzo, dopotutto. E lei sa succhiare molto, molto meglio. Le metto un preservativo in bocca. Vestirlo con la bocca è la sua specialità. Ma proprio al termine dell’operazione lui esplode, troppo presto. La giro. Glielo infilo in bocca. E lui finalmente, dopo 2-3 minuti inizia ad accarezzarle le tette e le natiche. Poi un dito a masturbarla da dietro. E quando i gemiti si fanno più forti invertiamo le posizioni. Lui in bocca e io a prepararle il culo. Mi scosto. Gli cedo il posto. «Sei un maiale», mi dice. L’ho aperta a sufficienza, il mio cazzo è più grande del suo. La monta con furia. Senza nessuna cura. Si è anche dimenticato di lubrificarle il culo prima di infilarglielo. Lei soffre, le fa male, ma gode tanto. Poi viene il momento della doppia penetrazione. E’ goffo, sbaglia i tempi. Si vede che è la sua prima volta. E poi lei è così larga che le entra una mano. Lui esce. Cambiamo le posizioni. Gli concedo di nuovo il culo. Le fa male, di nuovo. Ma lei non si sottrae. E poi inizia a godere. Mentre succhia le mie dita sussurra di volere un cazzo in bocca. «Ti piacerebbe, eh, puttana?». «Da morire», mi dice. Il ragazzo si scarica ripetutamente e poi se ne va. Gli offro dei soldi, tanti. Lui finge di rifiutarli, ma poi accetta. E’ divertente mostrarle che hai pagato per farla scopare, la troia. Lei, adagiata sul letto sorride, e si schiude la fica, apertissima. «Mi avete sfondata», dice. Mi guarda languida, affettuosa, e si tocca: «Le faccio prendere aria. Ce l’ho in fiamme…». Mi stendo accanto a lei. Sa di cazzo. Glielo dico. E quando mi avvicino, occhi negli occhi, mi ripete la domanda: «Allora, sono meglio io o quelle troie?». La sfioro, e occhi negli occhi le sussurro: «Sei puttana. Puttana come ho sempre saputo. E questo basta».
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