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DALIA – Cap. 20: That’s business!

“Oppure resti, ti tieni il tuo stipendio di merda per quattordici mensilità con tanto di contributi pagati e a settembre mi porti qui la troia e do uno…”

Agosto si presentò torrido e afoso, senza offrire scampo alcuno ai superstiti
del paese, mentre i più fortunati erano già partiti per mete più fresche: era il caso di Salvatore, che chiuse il pub per un mese intero (il locale lavorava quasi esclusivamente con i pranzi di lavoro) e di mio nipote Filippo, che fu letteralmente costretto da mio cognato Alfio a partire col resto della famiglia in camper: a poco valsero le proteste del ragazzo ormai diciottenne, almeno per quest’estate ancora niente vacanze con gli amici. Se a questi aggiungiamo che Jasmine era al mare coi miei suoceri e mia madre già da qualche settimana, in paese eravamo rimasti solo noi.
A me mancavano ancora pochi giorni di lavoro prima di godermi le mie tanto agognate due settimane di ferie e fuggire altrove in cerca di refrigerio e spensieratezza; sono le giornate più lunghe, quelle in cui hai poco o nulla da fare, ma sei comunque costretto a stare in ufficio imbambolato davanti allo schermo del PC: lavoravo come impiegato commerciale presso una piccola azienda di import-export e le mie mansioni consistevano nel gestire il portafoglio clienti, generare fatturato da essi e acquisire nuovi contratti. Non sono un fenomeno, anzi: del reparto commerciale facciamo parte io, 2 colleghi e il capo, che svolge anche le mansioni di direttore vendite e sono ormai 2 anni che ottengo i risultati peggiori di tutti; ormai è diventato normale che, a fine mese, le mie vendite siano nettamente inferiori a quelle di Giuseppe e Antonio, i miei due attempati colleghi di 50 e 53 anni, che nonostante si trascinino stancamente verso la pensione risultano assai più utili all’ azienda di me, e addirittura di Giacomo, il mio capo, nonostante lui si occupi di attività commerciali in maniera molto ridotta, dovendo fare anche da amministratore; qualche tempo fa non ero male: la mia buona dialettica e capacità di gestione del cliente produceva discreti risultati, ma da tempo ormai avevo perso ogni motivazione: non vedevo alcuno sbocco di crescita in quell’ ambiente così chiuso, dominato da quel padre-padrone di Giacomo che teneva sotto controllo ogni aspetto aziendale tenendo a guinzaglio un ristretto numero di cagnolini; contemporaneamente la mia innata pigrizia e la mia età non più giovanissima costituivano un deterrente alla ricerca di un nuovo posto di lavoro, per cui ormai mi trascinavo verso fine mese in attesa dello stipendio che mi consentiva di mantenere la mia famiglia. Il capo, ovviamente, era molto insoddisfatto di me e non perdeva occasione di farlo notare, anche pubblicamente, ogni volta che si tiravano le somme: cominciavo seriamente a temere che stesse per darmi il benservito.
Fortunatamente eravamo ormai agli sgoccioli: ancora 5 giorni e sarebbero state ferie, non avrei più dovuto subire le battute sarcastiche e gli sguardi di rimprovero, ancora pochi giorni in ufficio e soprattutto quella grandissima rottura di palle della cena aziendale estiva; ma dico io, ma che razza di abitudine è la cena aziendale estiva? Non bastava quella natalizia? No, da quest’anno il boss si era inventata pure questa e aveva deciso di allargare l’invito ai rispettivi coniugi… avrà voluto dire che avrei mangiato e bevuto a tradimento, fatto sorrisi di circostanza e atteso il primo momento utile per tagliare la corda; dal canto suo, mia moglie, che si stava crogiolando in una ormai inusuale pigrizia in attesa della partenza, accettò con entusiasmo l’idea di una cena in città.
Io e Dalia arrivammo al ristorante quasi per ultimi e, come sempre, gli sguardi furono tutti per lei: indossava un abito lungo nero con un generoso spacco laterale che mostrava per intero la sua coscia abbronzata che spiccava sul sandalo tacco 12 tempestato di cristalli Swarowski; la parte superiore dell’ abito si legava dietro il collo lasciando completamente nuda la schiena e offrendo un’ ampia visione del suo abbondante decolletè; i capelli raccolti in uno chignon e un collier completavano una mise elegante e provocante allo stesso tempo. Giacomo scattò in piedi e ci venne incontro accogliendoci che manco fossimo il nostro migliore cliente: mi strinse la mano e mi diede un’ energica pacca sulla spalla (era forse la prima volta? Credo di si) senza mai staccare gli occhi da mia moglie, poi si esordì: “E bravo Alessandro, non ci avevi detto che avevi una così bella moglie… Volevi tenercela nascosta?”, seguito da una fragorosa risata a cui fecero eco tutti i cagnolini seduti al tavolo in attesa della pappa; Dalia sorrise imbarazzata e acconsentì di buon grado al giro completo che il mio capo le fece fare per ammirarla da tutti i punti di vista, prima di esibirsi in un baciamano talmente viscido e sgraziato, che un bacio in bocca sarebbe risultato più volgare; un cartello luminoso con scritto “Te la voglio scopare” sarebbe risultato più discreto.
Ci incamminammo verso la tavolata e Giacomo non staccò mai la mano dalla schiena nuda di mia moglie, mentre i commensali maschi la fissavano con desiderio e le rispettive consorti con invidia e disprezzo; il mio capo sedeva, ovviamente, a capotavola e non si fece il minimo scrupolo a far sloggiare Mauro, il responsabile del magazzino, e sua moglie dalle sedie vicino a lui per farci posto: spostò la sedia vicino a lui per far accomodare Dalia, con un gesto di apparente galanteria ma che non ci misi molto a capire fu fatto per squadrarle meglio il culo mentre mia moglie si sistemava l’abito e si sedeva.
La cena proseguì così, con le attenzioni del mio capo verso mia moglie che crescevano di pari passo col livello alcolico nel sangue: più scorreva vino e più gli argomenti di lavoro venivano messi a margine, mentre aumentavano i complimenti, le battute e i pretesti per accarezzarle un braccio o la schiena: Dalia non ha mai retto l’ alcool, e il suo contegno, seppur di facciata, si affievoliva sempre più, lasciando il posto ad ammiccamenti e atteggiamenti maliziosi; io, da parte mia, cercavo di far buon viso a cattivo gioco, ero arrivato forse al decimo bicchiere di rosso e il piacevole stordimento che ne derivava mi era di enorme aiuto nel tentativo di ignorare gli sguardi dei miei colleghi e delle loro compagne. Fu Dalia a richiamarmi dal torpore in cui mi stavo cullando, quando si avvicinò al mio orecchio e mi sussurrò: “Mi ha messo una mano sulle cosce….”; la notizia non mi colse affatto di sorpresa e mi voltai a guardarla senza dire nulla: l’ idea che il mio capo, odioso e viscido com’era e con l’autorità che aveva su di me, stesse toccando il corpo di mia moglie mi dava abbastanza fastidio, ma non avevo la forza di intervenire; “Sta salendo sempre di più…. Tra poco si accorgerà che non ho le mutandine….” la stronza si stava divertendo…aveva capito che non ero in grado di fare nulla e aveva deciso di rosolarmi per bene sulla graticola.
Gettai lo sguardo verso di loro e vidi Dalia con la schiena appoggiata alla sedia, sotto il tovagliolo appoggiato sulle sue gambe la mano tozza di Giacomo si stava evidentemente facendo strada con visibile soddisfazione del proprietario che si lasciava andare ad un ghigno satanico di vittoria, fu lampante che arrivò al suo obiettivo quando mia moglie chiuse gli occhi e si morse il labbro inferiore stringendomi la mano che mi teneva sul tavolo; osservai impotente al preludio della scena in cui il mio capo si sbatteva mia moglie lì, sulla tavola imbandita davanti a tutti i miei colleghi che mi avrebbero dato del cornuto fino alla fine dei miei giorni, quando un angelo vestito da DJ mi salvò dal baratro: un pezzo anni ’70 invase la sala e solo in quell’ istante mi resi conto che poco più in là il salone dava su un cortile interno adibito a disco-bar; “Balliamo? Dai, che bello, balliamo!” esclamo Francesca dell’ amministrazione con quel suo tono insopportabilmente stridulo e si alzò in piedi trascinando con sé Carla e Rita del CED; “Ma si, dai, quattro salti sono quello che ci vuole dopo tutto sto ben di Dio!” colsi la palla al balzo alzandomi in piedi e sollevando Dalia per un braccio, che quasi cadde a peso morto sul pavimento; Giacomo rimase impietrito e mi fissò con un’ espressione di odio autentico, poi non potè trattenersi dal mettersi il dito medio della mano destra in bocca e succhiarlo con gusto: ebbi la conferma che quel dito fino a pochi istanti prima si trovava dentro la vagina della mia consorte.
Ero perfettamente consapevole di aver trovato una soluzione provvisoria, conoscevo bene Giacomo: quando sentiva l’odore del sangue diventava uno squalo, non importava se si trattasse di un cliente, di un concorrente, di un dipendente o, in questo caso, di mia moglie, ma almeno avevo evitato che la situazione degenerasse a tavola, sotto gli occhi di tutti; ballai con Dalia qualche minuto e quando gettavo lo sguardo verso Giacomo lo vedevo seduto al suo posto, rivolto verso di noi, che si mangiava mia moglie con gli occhi incurante del ciarlare del cortigiano di turno che tentava invano di attirare le sue attenzioni; quando decise che era arrivato il momento, si alzò e si avviò verso di noi, poi afferrò con fermezza Dalia per un braccio e la strinse a sé; “Non ti dispiace concedermi la tua mogliettina per un ballo, vero Ale?”; adesso eravamo passati addirittura ai diminutivi amichevoli… mi trattenni dal rispondere “Ma certo Jack, vecchia spugna che non sei altro!” con tanto di strizzata di coglioni e mi limitai ad un asciutto “Certo che no” e mi allontanai dal centro pista accendendomi una sigaretta. Dopo pochi istanti mi raggiunsero Giuseppe e Antonio, e poi praticamente tutti gli altri uomini della ditta, lasciando le rispettive mogli al tavolo a spettegolare tra loro tra uno sguardo al vetriolo verso mia moglie e uno di disprezzo verso di me. Giacomo faceva volteggiare Dalia come una bambola, a discapito del fisico tozzo e tutt’altro che aggraziato, non se la cavava affatto male come ballerino, e guidava mia moglie in piroette e caschè che avevano come risultato un’ ampia visione delle sue forme: ho contato almeno 7 volte in cui Dalia si sistemava il pezzo superiore dell’ abito per evitare che il suo seno prorompente sbalzasse completamente fuori dalle spalline e ogni giravolta faceva alzare la sua gonna che se solo fosse stata un po’ più corta avrebbe mostrato a tutti i presenti l’ assenza dell’ intimo. Sentii la mano di Giuseppe appoggiarsi alla mia spalla; “Ragazzo mio, che pezzo di femmina hai per le mani…”; mi voltai e vidi tutti i miei colleghi uno a fianco all’ altro col bicchiere in mano, a godersi lo spettacolo di mia moglie in mezzo alla pista; “Beh, a me sembra che ad averla per le mani in questo momento sia Giacomo!” rispose Antonio e tutti esplosero in una fragorosa risata e si recarono da lui per battergli il cinque; quando mi girai verso di lui mi restituì uno sguardo quasi di scuse e mi indicò la pista “Beh, scusa Ale, ma guarda lì e dimmi se non ho ragione”; quando feci come mi aveva detto vidi che Giacomo aveva smesso con le piroette e adesso stringeva Dalia stretta a sé, i 20cm buoni (tacchi compresi) in meno di lei gli consentivano di affondare praticamente la faccia nelle sue tette, ma non gli impedivano di appoggiarle oscenamente le mani spalancate sul culo; quando la mano destra si spostò e scomparì tra di loro, fu evidente che era il momento di riprendere il ditalino interrotto pochi minuti prima a tavola; Dalia sorrideva e cercava timidamente di divincolarsi all’ abbraccio, ma Giacomo la teneva stretta a sé con la mano sinistra sempre fermamente incollata sulle sue chiappe, anzi, adesso con quella mano aveva cominciato a palparle apertamente una natica noncurante del fatto che erano circondati da decine di persone; rimasero così per qualche secondo, segno che quel dito riuscì comunque a introdursi nuovamente a fondo dentro le carni della mia signora, poi finalmente Dalia applicò maggiore convinzione ed energia e riuscì a staccarsi da lui; gli sorrise e si congedò dicendogli qualcosa; la guardai avanzare verso di me e non potei fare a meno di notare Giacomo, sullo sfondo, ripetere il gesto di succhiarsi avidamente il dito medio; “Vado a fare pipì” mi comunicò dopo un bacio così dolce che non sembrava proprio giungere da una che si era appena fatta sditalinare dal mio capo sotto gli occhi dei miei colleghi, poi si allontanò ancheggiando vistosamente con gli occhi di tutti incollati sul culo.
Cercai Giacomo con lo sguardo e lo vidi recarsi al baretto della pista, ordinò un drink e lo trangugiò tutto d’un fiato, poi si asciugò la bocca col dorso della mano e si diresse deciso verso l’ interno del locale: furono 10 minuti, non di più, ma a me sembrarono un’ eternità. Accesi un’ altra sigaretta e trafficai a caso col cellulare, noncurante del brusio lontano dei colleghi che chiacchieravano a pochi passi da me; mi recai anch’io al baretto e ordinai un whisky liscio, lo tracannai anch’io in un colpo solo e quando restituii il bicchiere intercettai lo sguardo di sberleffo del barman; non gli diedi peso e mi allontanai dal bar, accendendomi l’ennesima sigaretta: avevo sempre sognato che mia moglie venisse sbattuta da chiunque e ovunque, ma avevo sempre odiato l’idea dell’ umiliazione che invece tanto eccita gran parte dei cuckold, ma questa sera potevo dire di aver fatto il pieno anche di questa nuova, indesiderata emozione.
Quando cominciai a spazientirmi e temere che non tornassero più, ecco spuntare Giacomo: uscì dal corridoio che porta all’ uscita (e anche al bagno) sistemandosi la cintura e si diresse al tavolo con un sorriso degno del miglior contratto; pochi istanti dopo arrivò anche Dalia, radiosa come sempre, anche se un po’ barcollante sui tacchi a causa del troppo vino e con molto meno rossetto sulle labbra. Mi raggiunse fissandomi con uno sguardo alcolico e mi baciò appassionatamente davanti ai miei colleghi: il sapore della sua lingua mi raccontò inesorabilmente il pompino che aveva appena fatto al mio capo. Comunicai che si era fatto tardi e che avremmo preferito incamminarci verso casa, Antonio non perse tempo “E’ stato un piacere conoscerti!” e si avventò su di lei baciandola sulle guance e stringendo a sé il suo corpo coperto solamente da un sottile strato di tessuto estivo: aspettai che tutti i miei colleghi se la baciassero e sentissero le sue forme sui loro corpi, poi accettai di buon grado i loro saluti e le loro pacche sulle spalle, e mi diressi verso il tavolo per salutare gli altri, consapevole del fatto che un istante dopo sarebbero partiti i commenti alle mie spalle. Giacomo mi salutò con calore mai sperimentato, abbracciandomi addirittura, si accertò che la cena fosse stata di nostro gradimento e non si lasciò sfuggire l’ultima occasione della serata per strusciarsi contro mia moglie e appoggiarle le mani sul culo; “Ci vediamo domani, Ale: appena arrivi vieni nel mio ufficio che dobbiamo parlare.”
Non dissi una parola fino alla macchina, poi sbottai: “Cos’hai fatto? Troia!”, lei scoppiò a ridere e rispose serafica “Adesso ti racconto tutto, tranquillo!”. Si era recata alla toilette del locale un po’ perché le scappava effettivamente la pipì e un po’ per divincolarsi dalle grinfie di Giacomo che era effettivamente arrivato a infilarle due dita in figa mentre ballavano e aveva un bozzo nei pantaloni che sembrava volesse esplodere; pensava di aver messo un punto alla serata, di tornare dalla toilette, raggiungermi e andare via, ma appena aprì la porta del bagno delle signore se lo ritrovò davanti: le fu addosso in un attimo e a nulla valsero le sue difese, con un gesto repentino le spostò i lembi del vestito e si tuffò letteralmente tra le sue tette, stringendole tra le mani e leccandole come un forsennato; poi la trascinò ai lavabi, la voltò e le sollevò la gonna, le afferrò le natiche nude, le spalancò e cominciò a leccarla avidamente; mia moglie ammise di provare piacere nel sentire quella lingua estranea penetrarla nella vagina mentre un pollice era ben saldo nel suo buco del culo, ma riuscì ugualmente a trovare la forza di obiettare: “Signor Giacomo, la prego… può entrare qualcuno…”; il mio capo non aveva la minima idea che quella troia di mia moglie nel caso non avrebbe avuto problemi a farsi scopare da tutti quelli che sarebbero entrati nel bagno come successo tempo prima in quella discoteca per neri, per cui la prese per un braccio e la riportò nello stanzino del water, chiudendo la porta dietro di loro; la fece mettere in ginocchio, estrasse un cazzo di notevoli dimensioni, duro come il marmo e prese a fotterle la bocca: con una mano la teneva per lo chignon, con l’altra le teneva la mandibola e continuava a darle colpi profondi affondando tra le sue labbra fino alle palle; “Che vacca di prima categoria che sei” le diceva mentre la chiavava fino in gola, “finalmente quel cornuto di tuo marito ha fatto una cosa buona portandoti da me stasera”, Dalia restava inerme appoggiata con la schiena alla parete mentre una copiosa quantità di saliva cominciava a colarle dalla bocca sulle mammelle che danzavano avanti e indietro ad ogni colpo ricevuto, “per stasera mi accontento della tua bocca, ma non finisce qui, troiona che non sei altro”, il suo ritmo accelerava sempre di più, mia moglie seppe che sarebbe mancato poco alla fine, “guarda come me lo hai fatto diventare, ti devo sfondare in tutti i buchi, puttana, vedrai se non lo faccio…”, mia moglie faceva ormai fatica a respirare, il suo naso sbatteva sempre più ripetutamente sulla pancia grassa di Giacomo stava per venire, il mento, il collo e il seno erano ormai ricoperti di saliva e liquido preseminale, “Aaargh… si… così….ti sborro in gola, cagna!” grugnì il porco un attimo prima di affondare l’ultimo colpo, trattenendole il capo con entrambe le mani e schiacciandolo contro i suoi testicoli che eruttarono una quantità impressionante di seme caldo, “Ingoia, ingoia tutto fino all’ ultima goccia, così…”, Dalia ubbidì diligentemente, non era la sborra, per quanto abbondante, che la preoccupava, ormai era diventata una campionessa dell’ ingoio, ma quel cazzo piantato fino in gola e quella pancia schiacciata sulle narici le impedivano anche la minima inspirazione e quel porco non accennava ad allentare la pressione delle mani sulla sua nuca; quando cominciò a sbuffare e a dimenarsi e Giacomo si accorse che era sull’ orlo del soffocamento, si decise finalmente ad estrarre il suo bastone di carne ormai flaccido dalla sua bocca e le consentì di prendere fiato; afferrandola per lo chignon le tirò indietro la testa e cominciò a sbatterle il cazzo in faccia “Apri la bocca e tira fuori la lingua, cagna”, Dalia eseguì l’ordine e lui prese a sbatterle il pisello sulla lingua e a infilarglielo nuovamente a fondo in gola altre due o tre volte, poi lo estrasse, le appoggiò le palle sulle labbra e se le fece leccare; “Che succhiacazzi imperiale che sei, davvero una bocchinara di prima categoria” le sussurrò all’ orecchio dopo essersi inginocchiato alla sua altezza, “e qualcosa mi dice che anche questi non vanno affatto trascurati” continuò affondando l’indice e il medio nella figa e nel culo mentre si godeva gli ansimi di mia moglie che riprendeva fiato; “Ti piace farti sfondare il culo, vero troia?” continuò, “guardami in faccia e rispondimi, puttana!” ordinò con uno schiaffo sulla guancia quando mia moglie non rispose, “Si, signor Giacomo…”, “Si, signor Giacomo, voglio che mi sfondi il culo, avanti, dillo…”, infierì senza mollare la presa dello chignon, “Si, signor Giacomo, voglio che mi sfondi il culo…”, “Non vedo l’ora che quel cornuto di mio marito mi porti in ditta per farmi sfondare in tutti i buchi, ripetilo…” proseguì ormai in pieno controllo, seguito dalla medesima frase ripetuta da mia moglie; “Brava, vedrai che sarai accontentata. Molto presto”.
Terminata quell’ ultima frase si alzò, si rimise il pisello nelle mutande ed uscì, lasciandola in ginocchio davanti al cesso, col viso e le tette impiastricciate di saliva, col la porta aperta; mia moglie rimase qualche secondo in quella posizione a riprendersi dall’ uragano che l’aveva travolta negli ultimi 5 interminabili minuti e si riprese solo quando sentì la porta del cesso a fianco aprirsi e vide uscire una signora, di cui non sapeva il nome ma aveva riconosciuto come la moglie di uno dei colleghi presenti al tavolo; si lavò velocemente le mani, la fissò con un’ espressione di irripetibile disgusto dallo specchio, poi si affrettò ad abbandonare la toilette; Dalia non fece nulla per nascondersi, era evidente che aveva sentito tutta la scena e soprattutto i dialoghi attraverso la sottile parete divisoria; trovò finalmente le forze per rialzarsi e si recò tremolante verso lo specchio, rendendosi conto del disastro in cui si trovava: si asciugò le tette e il collo con della carta igienica, si lavò il viso al lavabo e cercò di sistemare alla bell’ e meglio il trucco sugli occhi con le dita, si ravvivò i capelli con le mani e uscì anche lei dalla toilette per tornare da me.
Ascoltai il resoconto dettagliato con un misto di rabbia ed eccitazione: che quello stronzo del mio capo facesse quello che voleva con mia moglie proprio non mi andava giù, ma il racconto di Dalia fu talmente dettagliato da non riuscire a restare indifferente; ecco cosa intendeva alla fine con quel “dobbiamo parlare”, pensai tra me e me distraendomi dal pompino che mia moglie aveva deciso di farmi mentre guidavo nella notte verso casa; nemmeno la gonna arrotolata in vita e il suo culo nudo rivolto verso il finestrino in attesa di qualche camionista che lo guardasse riuscì a distogliermi del tutto da mille pensieri contrastanti, che mi accompagnarono fin sotto il nostro palazzo, dove decisi di lasciar cadere ogni remora e inculai Dalia nell’ atrio.
L’ indomani mattina, come richiesto, arrivai in ufficio e mi recai da Giacomo; “Vieni Ale, accomodati” proseguì con quello stucchevole tono amichevole, “vengo subito al sodo perché ho un sacco di cazzi da sbrigare. Voglio parlare di tua moglie”, continuò senza mezzi termini. “In questo momento che fa? Lavora?”, domandò; “Si, ha un lavoretto part time…”, “Guarda, Martina è incinta e da settembre va in maternità; ho bisogno di qualcuno che la sostituisca alla reception e secondo me tua moglie è perfetta”, affondò deciso; “Ma, guarda Giacomo, ti ringrazio ma non so se è il caso… come ti dicevo ha già un lavoro part-time e il resto del tempo riesce a dedicarsi alla bimba…”; “Macchè part-time, assunzione diretta, contratto a tempo determinato in sostituzione maternità con opportunità di conferma, giornata lavorativa piena più eventuali straordinari…” continuò noncurante delle mie obiezioni; “Giacomo, davvero, ti ringrazio ma io e Dalia ne abbiamo già parlato, preferiamo che lei abbia del tempo libero per fare la mamma…”; “Alessandro…non prendiamoci per il culo… so benissimo quanto porti a casa ogni mese, e direi che un secondo stipendio, uno stipendio vero, non può che farvi comodo in casa, soprattutto con una bimba piccola”; “Giacomo, davvero, non vorrei sembrare scortese, ma non credo che sarebbe la scelta migliore per noi in questo momento”. Non era abituato a ricevere un rifiuto, figuriamoci tre consecutivi, figuriamoci da un suo dipendente; si abbandonò sulla poltrona e cambiò radicalmente espressione del viso: “Alessandro, tu lo sai che fino a ieri sera io ero convinto a darti un calcio nel culo entro la fine della settimana?” mi colpì dritto in volto come un manrovescio; “No, beh, Giacomo, adesso non..”, “Giacomo un cazzo!” mi interruppe assestando un fragoroso pugno sul tavolo, “Sono due anni che ti mantengo! Sono due anni che non fai un cazzo, che non vendi un cazzo e non servi a un cazzo!”, ritenni che restare in silenzio fosse la scelta migliore, “Quelle due teste di cazzo non sanno nemmeno da che parte sono girati eppure sono più utili di te! Sono due anni che ti approfitti del fatto che non so perché non ti ho ancora sbattuto fuori a calci nel culo!”, proseguì come un vulcano in eruzione; “Adesso basta, non ti permetto di rivolgerti a me in questo modo, se non ti vado bene dimmelo che me ne vado!” tentai una disperata reazione; “Ma dove cazzo vai a 40 anni passati? Dove cazzo vai con le referenze di merda che di darò? Col culo per terra finisci, senza una lira, con una casa, una moglie e una figlia da mantenere!”, rintuzzò lasciandomi senza parole. Poi sembrò rilassarsi e si adagiò nuovamente sulla spalliera; prese una sigaretta dal pacchetto e l’accese, “Tu dici che ne hai parlato con tua moglie? Beh, anch’ io…” e così dicendo prese il telefonino, armeggiò pochi istanti e poi lo mise sulla scrivania, “Si, signor Giacomo, mi piace farmi sfondare il culo…” la voce di Dalia si irradiò nell’ aria facendomi ringraziare il cielo per aver chiuso la porta alle mie spalle dopo essere entrato, “Si, signor Giacomo, non vedo l’ora che quel cornuto di mio marito mi porti in azienda a farmi sfondare in tutti i buchi” recitò la seconda registrazione lasciandomi ancor più inebetito.
A quel punto Giacomo prese il pacchetto e mi offrì una sigaretta; la accettai quasi automaticamente e me l’accesi, lui sorrise compiaciuto, si alzò, fece il giro, si fermo in piedi dietro di me e mi appoggiò le mani sulle spalle: “Vedi Alessandro, tu in questo lavoro vali poco e un cazzo, ma mi sei simpatico; devo ammettere che ultimamente mi stavo chiedendo per quale motivo non ti avessi ancora licenziato, ma ieri sera l’ho capito: tua moglie!” restai ad ascoltare in silenzio con la sigaretta che si consumava tra le dita, “Hai sposato una grandissima troia e lo sai benissimo; ora lo so anche io e quella troia me la scopo, che tu lo voglia o no; quindi puoi scegliere: o ti licenzio, ti rovino, ti faccio tanta di quella terra bruciata attorno che non troverai un cazzo di lavoro per un bel po’ e me la vengo a scopare lo stesso in cambio di qualche spicciolo…. Oppure resti, ti tieni il tuo stipendio di merda per quattordici mensilità con tanto di contributi pagati e a settembre mi porti qui la troia e do uno stipendio di tutto rispetto anche a lei: la metto in reception ad accogliere i clienti, a rispondere al telefono, fare le fotocopie e portare qualche caffè; e, ovviamente, me la scopo quando ne ho voglia. Decidi tu.” Infine mi diede un’ ultima pacca sulla spalla e tornò a sedersi sulla sua poltrona :”Beh, pensaci su pure fino a domani, parlane con la vacca e poi fammi sapere. Ma adesso levati dai coglioni che ho un sacco di cazzi da sbrigare. Aria” e riprese ad armeggiare col PC come stava facendo prima che entrassi.
Uscii dal suo ufficio bianco come un cencio e barcollai fino all’ ufficio che condividevo con i miei colleghi, che mi squadrarono da capo a piedi: “Figa se urlava il capo! Solito cazziatone di fine mese?” e via di risate di chi non ha fortunatamente capito un cazzo; avevano sentito le urla, ma non erano riusciti a distinguere le parole, così pensarono si trattasse della periodica lavata di capo per l’ennesimo fatturato personale al di sotto dell’ obiettivo; “Già”, annui recandomi a testa bassa verso la mia postazione, alla quale restai in assoluto silenzio fino alla fine di quel penultimo giorno di lavoro a ripetermi sempre la stessa domanda: “Mia moglie era una troia, e questo lo sapevo. Ma ero pronto a farla diventare la troia del mio capo?”.

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