“Nonno cominciò a ravanare con le mani la fica pelosa di Irina, mentre io le palpavo voglioso le tette; Irina muoveva entrambe le mani tirando una sega a me e…”
Cesarino, il nonno e la badante russa
1.
Nonno Cesare
è morto la settimana scorsa, alla bella età di 88 anni. Benchè se ne sia andato senza alcuna fretta, la sua dipartita mi ha addolorato sinceramente. Aveva pesato molto nella mia formazione, mi aveva sempre coccolato, forse perché ero l’unico discendente maschio, per di più con il suo stesso nome. Io gli ero molto legato, sicuramente molto più delle sue figlie, mia madre Nora e sua sorella Luisa, che lo consideravano un pervertito, lo detestavano e se ne vergognavano. Non a caso aveva lasciato a me per testamento la proprietà di una casetta al mare, sulla quale le figlie avevano messo gli occhi da tempo.
Sono tornato oggi sulla sua tomba ed ho avuto come la sensazione che lui sardonicamente mi guardasse e continuasse a sfottermi come faceva sempre; e, guardando la foto sulla sua lapide, mi è scorso dinanzi agli occhi il film di tante vicende vissute insieme, a cominciare da quelle della mia adolescenza, quando nonno Cesare diventò per me un vero maestro di vita. Fu grazie a lui ed insieme a lui che, circa una quindicina di anni fa, divenni uomo.
Avevo 15 anni e andavo a trovarlo nella casetta di campagna nella quale si era ritirato e dove viveva con l’assistenza di una badante russa, Irina. Aveva all’epoca 78 anni ed avevo rotto drasticamente con le figlie, che gli rimproveravano di non onorare convenientemente la memoria della loro madre, mia nonna Felicia, morta alcuni anni prima per un tumore, anzi di condurre una vita scandalosamente dissoluta e di dissipare i suoi averi tra puttane ed amanti occasionali. L’episodio scatenante della rottura familiare era stato appunto il rifiuto di mio nonno, che cominciava a denunciare diversi problemi di salute, di entrare in una casa di riposo; ed io ero stato testimone del conflitto ormai insanabile tra lui e le sue figlie, che gli rinfacciavano con il sangue agli occhi di essere un vecchio vizioso, che non si arrendeva alla legge dell’età e che si lasciava svuotare le tasche da donnacce di ogni specie. Al culmine della polemica, nonno Cesare disse che, per la pace di tutti, era meglio che lui se ne andasse a vivere da solo, nella sua casetta di campagna e, che per non pesare su nessuno, si sarebbe organizzato con l’assistenza di una badante.
“Di una puttana!” ribatterono subito mia madre e mia zia. Ma a quel tipo di accuse nonno era abituato e certo non sarebbero stati i giudizi astiosi delle figlie a fermarlo. Si trasferì in campagna, a una decina di chilometri dal paese, e, con l’aiuto di un fattore, era riuscito anche a metter su un orto ed una stalla, trovando il modo di impiegare le sue giornate in maniera utile.
Andavo a trovarlo in bicicletta, prestando attenzione a non far sospettare di nulla mia madre, che mi aveva minacciosamente diffidato dall’aver il benché mimino contatto con lui:
“E’ la vergogna della famiglia! Per noi è come morto. cancellalo dalla tua memoria!”.
E invece io gli volevo bene e continuavo a considerarlo un uomo acuto, intelligente, simpatico, disinvolto, sempre pronto alla battuta ed allo sfottò. Mi diceva:
“Lascia perdere e prediche di tua madre, non ti far fregare dalle ipocrisie del perbenismo … vivi la tua vita con la testa tua e non con quella degli altri. l’unica cosa che non ti perdoneresti è di aver rinunciato ai tuoi desideri”.
Era un po’ l’apologia della sua vita. Il nonno esaltava proprio quella condotta di vita che le figlie condannavano, accreditando peraltro le dicerie che avevo raccolto sul suo conto e che lo dipingevano appunto come un libertino impenitente, uno che aveva sempre cornificato la nonna, che aveva amanti e comari in tutti i paesi vicini e che, nonostante avesse ormai superato in 75 anni, continuava a inseguire sottane e mutande femminili di ogni età e condizione.
Ora tutto il paese parlava del suo rapporto con la badante russa che, più che da cameriera ed infermiera, gli faceva da compagna di letto. In effetti, l’atteggiamento di nonno Cesare nei riguardi di Irina era molto disinvolto e cameratesco. Lei era una ucraina di 45-50 anni, dall’aspetto contadinesco, con un fisico piuttosto robusto, rotonda e soda sui seni, sui fianchi e sulle natiche, ma schiva, un po’ triste e di poche parole. Nonno mi spiegò un giorno che Irina aveva lasciato la famiglia (un marito semialcolizzato e tre figli) per sfuggire alla miseria più nera e che ogni mese mandava loro quello che guadagnava facendo la badante.
La vita di campagna faceva bene a nonno Cesare, che mi sembrava meno acciaccato del solito. Lo trovavo assai più allegro e più dinamico di quando stava in casa con noi; e lo vedevo molto interessato alle mie cose: mi chiedeva della scuola ma, sempre più insistentemente, delle mie amicizie femminili. E, quando io per l’imbarazzo cercavo di glissare e cambiare discorso, mi diceva subito:
“Ué Cesarino, mica mi fai ritrovare con un nipote frocio!”
Un pomeriggio assolato passai a trovarlo ma, con mia sorpresa, trovai la porta di casa chiusa. Erano le 16, di solito a quell’ora lo trovavo sul portico, all’ombra, intento a leggiucchiare qualcosa o a fischiettare spensierato. Invece quel giorno non se vedeva anima viva e non si sentiva nessun rumore. Appoggiai la bici al muro e mi diressi verso la porticina sul retro per vedere se era possibile entrare di lì. Ma, passando di fianco alla finestra del primo piano, all’altezza della stanza di Irina, avvertii dei piccoli rumori, come dei gemiti, dei mugolii.
Mi fermai trattenendo il fiato. La finestra non era chiusa, per il caldo era solo accostata e, dunque, sollevandomi sui talloni, riuscivo a sbirciare dentro. All’inizio non riuscivo a distinguere nulla nella penombra della stanza; poi, concentrando di più l’attenzione sui gemiti e sui mugolii e spostandomi un po’ più obliquamente, riconobbi molto distintamente la figura di mio nonno, stravaccato sul letto, con i pantaloni calati e con gli occhi socchiusi, e quella della sua badante, inginocchiata di fronte a lui, che gli strizzava il cazzo e se lo strusciava sulle tettone scoperte. Nonno Cesare godeva fino a vaneggiare, anche se il suo gli apparve un cazzetto moscio, che praticamente scompariva nella mano di Irina. Ad un certo punto sentì come un rantolo, il nonno probabilmente era venuto, tant’è che vide Irina spalmare la mano imbrattata di liquido sul seno.
Cesarino rimase ancora in osservazione e, dopo pochi minuti, la scena cambiò. Ora era Irina ad allungarsi supina sul letto. Cesarino vedeva bene le sue coscione nude e, al centro, un bosco di peli nerissimi; vide anche che suo nonno si era posizionato al capo del letto e aveva cominciato a trafficare con le sue mani dentro quel bosco; ad un tratto lo vide prendere un grosso fallo di gomma e infilarlo proprio in mezzo a quelle cosce. Pompava forte nonno Cesare, quasi illudendosi che quel fallo fosse il suo cazzo, e Irina si scuoteva tutta, emettendo mugolii sempre più forti. Poi sentì che il nonno le diceva:
“Eh, ti piace il cazzone di Cesare, troia! eh, guarda che fino a 10-15 anni fa era proprio così dai, dai, godi vaccona! dai, che ti sfondo tutta!!”
Irina si contorceva per il piacere, muoveva in maniera sussultoria le cosce e i fianchi ed accompagnava il movimento titillandosi i capezzoli:
“Oh sì, Cesare. Dai, dai ficcamelo tutto fino in fondo, dai che la mia fica ha bisogno di essere sfondata!”
Era una scena ad alta intensità erotica e Cesarino sentì che il suo pisellino non si tratteneva più nei pantaloni; ma aveva troppa paura di tradirsi ed essere scoperto, per cui rinunciò a tirarlo fuori e, per sfuggire alla tentazione, si allontanò alla chetichella e tornò in paese con la bici. Si precipitò a casa, si chiuse in bagno e lì scaricò nel water tutta l’eccitazione accumulatasi nei suoi piccoli coglioni.
Tornò il giorno dopo in campagna dal nonno e stavolta, erano le 17, lo trovò seduto sulla porta di casa a godersi un po’ di fresco. Quando lo vide, nonno Cesare lo apostrofò con il solito affetto:
“Oh chi si vede! vieni, vieni, Cesarino, siediti qui vicino a me, che ci facciamo portare una bella aranciata da Irina!”
Detto fatto. Dopo pochi minuti Irina sbuca dalla porta di casa per servirci la bibita. Non riesco a togliermi dalla mente la scena vista il giorno prima e, dunque, la guardo con grande intensità. Il nonno si accorge di questa mia attenzione e, mentre Irina mi dice subito:
“Ehi Cesarino, non mi dirai che Irina ti attizza?!”
“Ma no, nonno, che dici?”
“La guardi come se te la scopassi!”
“No, no…”
“Guarda, non devi vergognarti di queste cose. Anzi…”
E, mentre Irina vede di sistemare le bibite sul tavolino, le dà una bella manata sul culone e aggiunge:
“Visto che chiappe e che tette che ha la nostra Irina! è giusto che richiamino la tua attenzione, sarebbe preoccupante se ti fossero indifferenti!”
Poi, visto il mio evidente imbarazzo, si rivolge a Irina e le dice:
“Irina, il nostro Cesarino ha voglia di toccarti le tette e il culo, ma ha vergogna di dirtelo. su, portalo con te di là, e fagli togliere questo desiderio! sai, i ragazzi sono timidi”
“Ma no, nonno, non è il caso”
“Ma come? Rinunci ad una bella occasione come questa? non ti riconosco, Cesarino. Non sei del mio sangue?”
E Irina, per aiutarci entrambi ad uscire dall’impasse, aggiunse:
“Cesare, lascia stare il nipotino. Su, Cesarino, vieni a darmi una mano in cucina”
Apprezzai molto il modo dolce e discreto con cui la donna mi tirava fuori d’impaccio. Lei mi tese la mano per portarmi con sé ed io la seguii lestamente; e, mentre entravamo in casa, sentii il nonno che ridendo mi gridava appresso:
“Vai, vai, Cesarino, che Irina ha tante cose da insegnarti! ah ah ah…”
2.
Irina mi portò effettivamente in cucina e si mise a sciacquare piatti e bicchieri. Visto che io ero rimasto impalato e non sapevo che fare, lei mi incoraggiò sorridendo:
“Che fai lì? Vieni qui vicino a me, e mi dai una mano, dai”.
Mi misi al suo fianco vicino al lavello e cominciai anche io a lavare qualche tazzina. Lei mi sorrideva un po’ ambiguamente e si muoveva strusciando il suo fianco sinistro contro la mia gamba destra. Il contatto prolungato con quel fianco e con le braccia carnose di Irina cominciò a procurarmi una leggere eccitazione che andò crescendo via via che nella mente mi tornavano le immagini della scena cui avevo assistito il pomeriggio precedente.
Ogni tanto Irina si girava verso di me per insegnarmi qualcosa di più specifico e mi faceva sentire sul braccio la tenera prorompenza della sua tettona sinistra. Mi appariva chiaro che lo faceva per stimolarmi, ma debbo dire che lo faceva senza eccedere. Poi, ad un tratto, si girò di spalle e si piegò in avanti alla ricerca di una pentola nella parte bassa della cucina, mettendo in bella mostra un culo maestoso, con due rotondità che premevano contro la gonna. Si trattenne in quella posizione più di un minuto: era un invito eloquente, sembrava dirmi:
“E quando ti muovi?”.
E, difatti, mi mossi. Mi spostai dietro di lei, appoggiando il cazzo ormai ben intostato in mezzo allo spacco delle chiappe e prendendola dai fianchi. Mi lasciò fare e continuò a restare così piegata, roteando lentamente le natiche e consentendomi di simulare una vera e propria in groppata. Poi si sollevò, ma non si girò, restando in attesa delle mie mosse successive. A quel punto l’abbrancai da dietro e l’attirai a me dalle poppe, che cominciai a palpare con calma ma con tanta avidità.
“Ehi Cesarino, quanta fame arretrata che hai! Piano, piano. Mica scappo via! Sento che non ce la fai a tenere a freno questa voglia, non è vero?”
“Sì sì, scusa Irina, non so che m’è preso, ma m’è venuta una grande voglia di te!”
“Ma davvero?. un bel ragazzo come te? chissà quante belle ragazzine avrai a tua disposizione?”
“Macchè! quelle mocciose! fanno tanto le preziose, ma poi non ci sanno fare e finisce sempre che poi devi fartela da te.”
“Ah ah ah finisce a seghe, insomma?”
“Hai capito benissimo. Guarda qua, invece, che ben di dio!”
“Ma come ti può piacere una donna anziana come me?”
“Macchè anziana! tu sei una donna donna, una che davvero sazierebbe tutta la fame che ho!”
Allora Irina cominciò a sbottonarsi la camicia sul davanti e a liberare le due mammellone; ne approfittai subito per arpionarle con le mie mani, cominciai a baciarla sul collo e verificai subito dall’indurimento dei capezzoli che la cosa le provocava brividi di piacere.
Si divincolò per girarmisi di fronte; non appena vidi quelle tette penzolanti in offerta, mi catapultai con la bocca e mi misi a succhiarle voracemente. Lei mi invitò a fare con calma, poi mi mise in bocca il capezzolo destro e mi disse:
“Dai, ciuccia ….. è il biberon dei piccoli, ma piace anche ai più grandi”
In effetti in quel momento mi parve di riassaporare il piacere ancestrale della poppata, tanto più che Irina mi accarezzava dolcemente la testa e mi sussurrava come ad un bambino appena nato:
“Su, dai, bravo, succhia, succhia il latte di mammina”.
Per quanto la cosa ispirasse tenerezza, la mia eccitazione cresceva sempre più e i pantaloni mostravano una protuberanza vistosissima. Ad un certo punto Irina sollevò le sopracciglia ed esclamò:
“Oh poverino! ma così scoppierà! dai, vieni che gli diamo un po’ di sollievo!”
Mi prese per mano e mi portò nella sua stanza, in quella stanza nella quale l’avevo sbirciata il giorno prima. Mi si inginocchiò davanti, tirò giù la zip dei pantaloni e mi liberò l’uccello tesissimo e vibrante, ne elogiò le dimensioni già apprezzabili e se lo imboccò.
Una sensazione paradisiaca quella bocca calda e accogliente, e quella lingua che mi lavorava con maestria il glande! Peccato che, per l’eccitazione, non resistetti molto. Quando sentii che l’eiaculazione saliva tentai istintivamente di uscire dalla sua bocca, così, per rispetto. Ma lei mi tenni fermo per le natiche e mi lasciò sborrare lungamente dentro la sua bocca; ingoiò tutto il mio liquido e, anzi, mi sembrò che se lo gustasse come pasteggiandolo.
“Uh quanta ne hai fatta! sfido io che non ce la facevi più! buona, buona la tua sborra!”.
Mi sentii come prosciugato di tutte le energie e mi accasciai sul suo letto. Lei mi disse di restare qualche minuto così e di raggiungerla poi in cucina, dove mi avrebbe servito una bevanda tonica.
Restai così disteso per una decina di minuti, forse anche più, poi mi risistemai e mi diressi verso la cucina, ma Irina non era lì, era uscita in cortile e stava parlottando con nonno Cesare. Mi avvicinai alla porta e mi misi in ascolto per capire cosa si stessero dicendo.
“Ma insomma non mi vuoi raccontare nulla del mio nipotino?….”
“Cesare non fare lo spione, ti dico che è un amore di ragazzo e che promette bene con le donne”
“Ma che ha fatto? gli hai fatto conoscere la fica? o si è accontentato solo di ciucciarti le tette? dai dimmi, sai che ci tengo al mio Cesarino!”
“E’ solo la prima lezione! porta pazienza! ma comunque è dotato di un bell’arnese!”
“Te l’ho detto io! buon sangue non mente! …… dovevi vedere com’era grosso il mio! e quante fiche mi sono strapazzate! ma insomma l’hai fatto scopare o no?”
“Uh come sei petulante! ha fatto già qualcosa! il resto la prossima volta!”
“Ho capito! domani lo faccio tornare e gli insegno io come si scopa una donna!”
La conversazione era finita e mi ritrassi appena in tempo per non farmi sorprendere in ascolto. Quando Irina rientrò in cucina mi trovò che bevevo un bicchiere d’acqua.
“Ehi, Cesarino, ben ritrovato! ti sei riposato bene? dai, vieni, bevi un po’ di coca-cola, che ti rimette in forza!”.
Mi avvicinai a Irina, le assestai una bella manata sul culo e le diedi un bacio sulla guancia sussurrandole:
“Irina, sei stata divina. Grazie di tutto!”
“E tu sei veramente un caro ragazzo!…. vai, vai fuori che il nonno ti aspetta….”
Uscii all’aria aperta con un po’ di timidezza, non sapendo cosa dire al nonno. Ma con la sua solita esuberanza nonno Cesare mi tirò fuori da ogni imbarazzo e, senza giri di parole, mi disse con aria sorniona:
“Cesarino, credo che tu debba venire a trovarci più spesso. Sei entrato in un’età delicata e credo che qui puoi fare il migliore tirocinio. Ti aspetto anche domani, puoi venire subito dopo pranzo, verso le 15?”.
Gli risposi che avrei fatto il possibile e che l’unica incognita era quell’arpia di mia madre.
3.
Il giorno dopo feci tutto con grande solerzia e mi mostrai particolarmente servizievole e premuroso con mia madre. E, difatti, quando le dissi che dovevo uscire appena terminato il pranzo per andare dal mio amico Fabio, lei aggrottò un po’ le sopracciglia ma non oppose obiezioni. Alle 15 in punto ero alla villetta di nonno Cesare.
L’uscio di casa era socchiuso ma in giro non si vedeva anima viva. Entrai in casa in punta di piedi e cercai di captare qualche rumore, mi avvicinai alla porta della camera di Irina, ma dall’interno non proveniva nessun segno di vita. Allora mi diressi al piano superiore, verso la camera del nonno, ma anche qui non percepii alcun movimento. Per scrupolo ritenni di guardare in camera, giusto per venire a capo di quel misterioso silenzio, ma non appena girai la maniglia e dischiusi la porta fui investito da una sonora risata, nonno Cesare e Irina erano a letto e con grande allegria mi invitavano ad unirmi a loro:
“Oh finalmente, Cesarino! vieni vieni, c’è posto anche per te!”
Per la sorpresa ero rimasto un po’ imbambolato e non trovai il piglio per rispondere immediatamente a quell’invito. Ma i due continuarono a replicare l’invito in tutte le salse, e alla fine mio nonno esclamò:
“Vieni, su, che aspetti?. dai, che il letto è a tre piazze. non vedi che Irina è già pronta a farti gli onori di casa?”
E così dicendo aveva buttato via le lenzuola mettendo allo scoperto il corpo opulento di Irina, che era davvero invitante. Mi liberai in un baleno dei vestiti e mi avvicinai al letto dalla parte di Irina.
“Ecco, bravo, entra dentro, mettiamo Irina in mezzo, che così ce la godiamo tutti e due!”.
Irina mi fece spazio al suo fianco e si distese supina con le cosce aperte, lasciando al nonno il compito di fare il regista. Nonno cominciò a ravanare con le mani la fica pelosa di Irina, mentre io le palpavo voglioso le tette; Irina muoveva entrambe le mani tirando una sega a me e una al nonno, mettendo maliziosamente a confronto il mio cazzo, già abbastanza rigoglioso, con quello del nonno che restava sostanzialmente moscio. Al che nonno Cesare mi sembrò si incazzasse un poco:
“E’ inutile che ridi, puttana! a quell’età io ce l’avevo più lungo e più duro e poi Cesarino è il mio erede, e diventerà un chiavatore come lo sono stato io!”.
Quando la mia erezione arrivò al punto giusto, nonno mi disse di piazzarmi in mezzo alle cosce di Irina e di cominciare a pomparla senza accelerare: mi spiegò che la donna gode a saggiare la lunghezza del pene ed apprezza di allungare il piacere. Seguii le sue istruzioni, ma anche il ritmo del bacino di Irina che mi risucchiava dentro di lei dandomi la vertigine di una perforazione profonda.
Il nonno mi incoraggiava:
“Dai, Cesarino, dacci dentro, scavala, sfondala la fica di questa troia russa. non vedi come si gode il cazzo giovane questa vaccona?!”
Irina godeva senza ritegno, emetteva gridolini di goduria, aveva mollato il cazzo penzolante di nonno e mi tirava a sè dalle natiche:
“Sì, sì, dai oh che bello dai, dai oh quanto sei forte Cesarino! sìì cosìììì”
Questa ginnastica andò avanti per una decina di minuti, poi disse a nonno che non ce la facevo più. Mi rispose deciso:
“Imparerai col tempo a durare di più, ora affonda i colpi e poi lasciati andare, riempila di sborra questa porcona… dai Cesarino, dai!”.
I coglioni si erano ben ricaricati, perciò venni abbondantemente e riempii la ficona pelosa della badante di mia nonno. Nello stesso tempo Irina aveva accelerato la manipolazione del cazzetto di nonno ed anche lui aveva emesso dentro la mano di Irina qualche piccolo schizzo di sperma.
“E’ un piacere, Cesarino mio, guidarti durante la scopata, per me è come tornare ai bei tempi anche se io ero un po’ più focoso di te!”
Irina aggiunse che, per avere 15 anni, ero già un bel torello e che lei aveva gustato molto il mio cazzo.
Restammo ancora a letto a trastullarci, con nonno che aveva ripreso il fallo di gomma e lo ruotava vorticosamente dentro la ficona di Irina, e con quest’ultima che invece si dedicava a me e mi leccava i capezzoli procurandomi dei brividi indescrivibili.
E così da quel giorno iniziai la mia scuola di sesso sotto la guida di nonno Cesare e con la disponibilità della sua assistente Irina. Appresi rapidamente tutte le tecniche amatorie e regalai a mio nonno l’illusione di vivere una nuova giovinezza.
La cosa andò avanti così per tre-quattro anni; andavo a trovare nonno Cesare e Irina un paio di volte a settimana e ogni volta me ne tornavo con nuovi apprendimenti e nuovi godimenti. Poi, a 19 anni partii per l’università e la mia frequentazione si interruppe. Quando tornai a trovarlo nelle vacanze natalizie, lo trovai ammalato di enfisema polmonare, respirava a fatica e, naturalmente, mi limitavo a fargli compagnia, anche se lui mi scongiurava me ed Irina di scopare anche a nome suo.
Il giorno prima di ripartire per l’università lo vidi particolarmente triste e, d’accordo con Irina, decidemmo di dargli un po’ di allegria scopando in sua presenza. Fu una scopata memorabile perché stavolta pompai Irina da dietro e, per la prima volta, la inculai facendola gridare dal dolore e dal piacere, conquistandomi il plauso del nonno che vedeva in me il suo degno prosecutore.
Nelle successive vacanze pasquali fu l’ultima volta che incontrai Irina. Fu un incontro molto tenero ed affettuoso, perché proprio mentre avevamo cominciato a chiavare lei ebbe un cedimento emotivo e le scappò qualche lacrima. Gliene chiesi la ragione e lei mi disse che gli ricordavo uno dei suoi figli lontani. L’abbracciai con grande trasporto, ma il cazzo si smosciò e la scopata finì lì.
Qualche mese dopo Irina lasciò nonno per rientrare in Ucraina e le subentrò un’altra badante extracomunitaria, una maghrebina di 45 anni, sessualmente insignificante, se non addirittura deprimente, selezionata stavolta dalle sue figlie che, approfittando della malattia del nonno, avevano ripreso il pieno controllo della situazione.
Non ho rivisto più il nonno sino alla sua morte, ma non mi è difficile immaginare quanto triste dovesse risultargli una vecchiaia sotto le grinfie delle figlie.
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