“Sentii subito quella “cosa dura” che aveva fra le gambe spingermi sul sedere ed allora cercai di divincolarmi, senza sapere neanche bene perché, ma lui mi…”
Ricordo che quando avevo dieci o undici anni giocavamo
sempre vicino al fiume. Nel gruppo c’erano anche ragazzi più grandi e spesso andavamo a sbirciare le prostitute che si appartavano nelle forre sull’argine.
La cosa eccitava molto tutti ma io ancora non capivo bene cosa ci fosse di tanto eccitante.
Una sera, dopo aver come al solito sbirciato questi amori proibiti, mio cugino fece una scommessa con un altro, non ricordo neanche su cosa, e, come si faceva quasi sempre, scommisero il culo, ma mai questa scommessa era stata poi fatta rispettare, era quasi un rito farla. Invece quella volta decisero che chi aveva perso doveva veramente sottostare alla sodomia da parte dell’altro.
I due si appartarono e rimanemmo ad aspettare io e due altri ragazzi sui 16/17 anni, uno dei due, che conoscevo solo per cognome, un certo Serafini, massiccio e gigantesco (almeno per me che sono stata sempre un ragazzino minuto), e l’altro alto e magro che infatti tutti chiamavano “er Secco”. Mentre aspettavamo i due si misero a scherzare ipotizzando e mimando quello che immaginavano stesse succedendo, dietro la macchia, fra mio cugino e l’altro.
Ad un certo punto Serafini, quello più massiccio dei due, evidentemente ormai eccitato, mi disse di sedermi su di lui. Io non volevo ma lui con modi gentili mi disse “daje moré, nun te succede gnente, te metti solo a sede sopra de me”, allora io, coi miei calzoni ancora corti, mi avvicinai e lui mi prese e mi fece sedere su di lui che era seduto su un masso. Sentii subito quella “cosa dura” che aveva fra le gambe spingermi sul sedere ed allora cercai di divincolarmi, senza sapere neanche bene perché, ma lui mi tenne stretto ed io non riuscivo ad alzarmi. “Sta’ bbono” mi disse, stavolta con modi bruschi, “nun me fa’ incazzà”
L’altro intanto ci guardava ridendo, si era calato i pantaloni, e stava masturbandosi. Io ero spaventato ma allo stesso tempo sentivo dentro di me qualcosa di strano, di indefinibile, che mi spingeva ad assecondarli. Azzardai un timido “dai smettetela, lasciami, devo andare a casa” ma invece il magro si avvicinò e cominciò a strusciarmi il cazzo sul viso, poi mi disse “ce vai dopo a casa, adesso apri un po’ la bocca daje”. Io la tenevo serrata ma lui mi mollò uno schiaffo e mi disse “apri frocetto, lo so che te piace”. A quel punto ero terrorizzato ma capii che dovevo assecondarli ed aprii la bocca. Il cazzo del Secco mi scivolò subito dentro tutto quanto, “nun provà a strigne” mi disse “che sinnò te riempio de schiaffi, e nun struscià co’ li denti, famme sentì solo le labbra”.
Il sapore era forte ma la sensazione non era poi così terribile, pensai, e cercai di avvolgerlo solo con le labbra stando attento a non strusciarlo coi denti come mi aveva ordinato. Intanto l’altro rideva e sentii che cercava di tirarmi giù i pantaloncini, io cercai di fermarlo mentre il Secco continuava a scoparmi la bocca, ma Serafini mi prese le mani e me le bloccò dietro la schiena con una sola mano mentre con l’altra continuava a tirarmi giù i pantaloni, fece lo stesso con le mutandine e a quel punto sentii il suo cazzo durissimo fra le chiappe. “Senti che culetto liscio che c’ha sta femminella” disse “me verrebbe proprio voja de faje la festa”.
Lui cominciò a strusciarsi ed io a piangere. Doveva essere eccitatissimo però perché quasi subito lo sentii rantolare ed un liquido (che ancora non conoscevo e non apprezzavo come oggi) bagnarmi le cosce: era già venuto. A quel punto mi lasciò le mani e cominciò a dire all’altro “sborraje in bocca, faje sentì quant’è bbono a sta frocetta” e rideva come un matto. Il Secco mi stava quasi soffocando e durò ancora un bel po’ finché anche lui rantolò, ma lo tirò fuori di colpo e masturbandosi velocemente mi schizzò in faccia e fra i capelli quella crema lattiginosa (oggi l’avrei leccata tutta ma all’epoca non sapevo neanche cosa fosse).
A quel punto fui libero di alzarmi e, piagnucolando e vergognandomi da morire, mi rivestii e me ne andai senza dire niente. Mentre andavo via sentii uno dei due che diceva “Va’ va’, che ‘a prossima vorta te mannàmo via a gambe larghe, c’hai un culetto troppo bello pe’ rimané vergine”.
E questo è stato il mio “battesimo” del cazzo.
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