Storie di ordinaria follia :il matrimonio di zia Carlotta
-Zia Carlotta finalmente ha deciso di sposarsi il suo ingegnere,- ci disse raggiante mia madre Rebecca, il cui sorriso smagliante metteva in bella mostra i denti bianchissimi e perfetti.
-Ma va…?,- le rispose ridendo il ‘cornuto’, volevo dire mio padre Franco,-a quarantadue anni,se aspetta un altro po’, è pronta per il matrimonio’ma per quello di suo nipote!
Quella notizia rallegrò una cena che si stava preannunciando al solito monotona,tanto che papà decise di stappare una delle bottiglie di champagne riservate alle occasioni speciali :il povero diavolo non sapeva però che io e mia madre,tra le occasioni speciali da festeggiare ,includevamo anche una scopata particolarmente riuscita. Il suo patrimonio enologico andava perciò progressivamente assottigliandosi, facendogli sospettare della colf polacca che tre volte la settimana viene a casa nostra per rassettare. Ah, sapesse, il tapino’
-E quando si sposa la tua sorellina ?,- chiesi a mamma sorbendo lentamente un calice di vino.
-Fra tre mesi,il ventidue di giugno’un sabato.
-In cattedrale?-, domandò mio padre .
-Certo,- rispose lei ,- e a mangiare si va al ‘Bacco d’Oro’ , quel bel ristorante in cima alla collina ,vicino a M*****e.
-Ottimo scelta ,-dissi osservandoli,-zia Carlotta è come mamma : di cose buone ed abbondanti se ne intende parecchio.
Strizzai l’occhio alla mia cagna, che di rimando mi sorrise maliziosamente.
Mio padre ,finita la cena , dopo aver discusso altri particolari dell’imminente sposalizio, se ne andò al circolo a giocare a biliardo. Io e la ‘signora’ne approfittammo per sollazzarci un po’.
Un’ ora prima che il ‘cornuto’ tornasse a casa stappammo un’altra bottiglia di champagne’
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I tre mesi successivi furono densi d’impegni per mia madre.
Stravedeva per la sorella Carlotta ,e si fece in quattro per aiutarla nei preparativi delle nozze,affinché tutto fosse perfetto.
E quando, finalmente, il ventidue di giugno arrivò,tutti gli sforzi di mamma furono premiati.
La cerimonia ,i fiori, il fotografo ‘insomma ,tutta la scenografia di un matrimonio da favola si rivelò perfettamente riuscita.
Anche zia Carlotta, nell’abito bianco, era favolosa : lei che normalmente sembrava una copia sbiadita di mamma. Carina certo , ma lontana anni luce dal fascino aristocratico posseduto dalla mia ‘signora’.
Ma quel giorno gli occhi di tutti, soprattutto dei maschietti, erano puntati su mia madre Rebecca.
Ve la descrissi già nel precedente capitolo di questa storia, ma mai come quel giorno le sole parole faticano a renderle giustizia.
La sua bellezza matura e algida rendeva dozzinali donne ben più giovani di lei , che in altro contesto avrebbero attirato tutti gli sguardi . Era impossibile staccarle gli occhi di dosso ,fingendosi indifferenti : un aderente abito di raso nero , che valorizzava la bianchezza dell’incarnato,fasciava il suo corpo statuario , dalle perfette proporzioni.
Le gambe lunghe e affusolate ;il collo bianchissimo baciato da un collier di platino e diamanti ; la folta chioma fulva raccolta in un adorabile chignon ; un leggero e sapiente trucco che esaltava la nobile bellezza del volto : immaginandovi Nicole Kidman tra vent’anni, potreste farvi un’idea approssimativa su come si presentasse mia madre quell’assolato sabato di giugno.
Il ‘cornuto’ si pavoneggiava in modo ignobile con gli altri invitati , notando gli sguardi di ammirazione rivolti alla moglie e di malcelata invidia rivolti a lui ,mille miglia lontano dal pensare che il ‘nemico’ più temibile viveva sotto il suo stesso tetto.
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Giungemmo al ristorante verso le due di quell’afoso pomeriggio, affamati e stanchi dopo la lunga cerimonia .
Ad un tavolo accanto a quello di zia Carlotta ci accomodammo io, i miei genitori e alcuni lontani parenti di Milano che, a dire il vero, non avevo mai veduto.
Papà sedeva al mio fianco,mentre la ‘signora’ aveva pensato bene di piazzarsi proprio di fronte a me.
Al termine dell’antipasto già la cagna reclamava ben altre , succulente portate.
Sentii il suo caldo piedino affusolato,che quel giorno calzava un elegante sandalo di pelle nera, massaggiarmi delicatamente l’inguine, al di sotto della tovaglia.
Ci fissavamo intensamente ,mentre mamma si mordicchiava languida il labbro inferiore.
Portai la mano sinistra,libera dalle posate, verso il pube ,iniziando a massaggiare la sua insinuante estremità.
Le unghie del piede,leggermente lunghe e ricoperte di smalto color perla, trastullavano la mia verga ,che si andava progressivamente inturgidendo , con lenti movimenti circolari.
Io ,al contempo , le carezzavo delicatamente , soffermandomi di tanto in tanto sull’anellino di brillanti che per vezzo portava al mignolo del piede.
Quando mio padre, guardando in basso ,mi chiese:- Che hai ? Ti fa male lo stomaco ?- , capii che il gioco si stava facendo troppo rischioso.
Mia madre ritirò bruscamente il piede malandrino.
-Un pochino’,- dissi fissando eloquentemente la cagna,- meglio che vada un attimo in bagno.
Mi alzai e, senza distogliere gli occhi da quelli di mia madre , mi allontanai.
Il ristorante già lo conoscevo : non ebbi bisogno di chiedere nulla.
Salendo un’elegante scala di rovere arrivai al piano superiore .
Imboccai quindi un lungo corridoio flebilmente illuminato , lungo il quale si trovavano delle porte che molto probabilmente immettevano in qualche magazzino o stanza per il personale, arrivando finalmente alla toilette.
Nessuno in giro. Bene.
Iniziai a lavarmi distrattamente le mani, guardando nello specchio che si trovava proprio di fronte all’ingresso aperto se qualcuno stesse sopraggiungendo.
Non tardò molto. Pochi minuti e la vidi arrivare ,superba visione che mi sorrideva docilmente.
Si avvicinò lentamente e posò la testa sulla mia spalla, senza dir nulla :le presi delicatamente il mento tra le dita della mano destra e la costrinsi a guardarmi.
Le bocche si avvicinarono ,le lingue si intrecciarono ben presto in proibite danze , mentre io esploravo con entrambe le mani le tenere carni di mia madre.
Si sciolse lentamente dal mio abbraccio, scrutandomi maliziosa, e fece per inginocchiarsi davanti a me.
-Che fai lurida cagna’,- ringhiai rifilandole un ceffone, che lasciò un alone purpureo sulla candida pelle della guancia ,-vuoi che ci scoprano ?
L’afferrai violentemente per i capelli ,costringendola ad alzarsi.
La tirai in un angolo, spostandoci dalla porta ,in modo che nessuno potesse vederci salendo le scale.
Mi misi però in una posizione tale che lo specchio riflettesse il corridoio di fronte: in questo modo mi sarei accorto dell’ arrivo di qualche scocciatore.
La ‘signora’ si inginocchiò nuovamente davanti alla patta ,abbassando lentamente la lampo.
-Dai troia ,ciucciami il cazzo : fa’ divertire un po’ il tuo bambino,- le dissi piano , osservandola dall’ alto.
La cagna inghiotti avidamente i miei quasi venti centimetri di carne tosta e fumigante, iniziando il suo esperto andirivieni. Ad ogni affondo ,quando le labbra sfioravano il mio pube e il glande violaceo quasi le titillava l’ugola, la sua linguetta infaticabile mi massaggiava i testicoli :brividi d’estasi mi avviluppavano ,mentre fissavo lo specchio per accertarmi che nessuno stesse arrivando.
I suoi mugugni incomprensibili , accompagnati dal tenue rumore che la sua bocca produceva al contatto della mia verga, avrebbero portato velocemente al capolinea chiunque di voi.
Anche me ,che non sono certo migliore: sentivo il seme ribollente reclamare la sua libertà.
-Basta troia!- le sibilai ritraendomi , l’asta viscida e tesa che le dondolava davanti.
-Oh no bimbo ‘ti voglio ‘scopami’troviamo qualche scusa, andiamo a casa ..non ce la faccio’,-iniziò a balbettare disperata ,bramosa di essere posseduta.
Le rifilai un altro manrovescio , che accentuò il rossore causato dal precedente.
-Ma che cazzo dici ,cagna schifosa,- le sussurrai ad un orecchio,- andartene dal matrimonio di tua sorella’lei che ci tiene così tanto’solo per farti scopare. Sei proprio una lurida sgualdrina.
L’afferrai violentemente per il polso destro, alzandola in piedi.
La dolorosa erezione che mi premeva nei calzoni chiedeva di essere soddisfatta: trascinai la cagna fuori dal bagno,lungo il corridoio.
Provai ad aprire la prima porta sulla destra. Chiusa.
La seconda. Chiusa anche quella.
Bestemmiai a denti stretti , abbassando la maniglia della terza. Si aprì.
La mia biscia insaziabile ebbe un sussulto di gioia, mentre infilavo la testa nella stanza per controllare.
All’ interno,una volta accasa la luce,vidi quello che a prima vista pareva una sorta di magazzino quasi inutilizzato. Vi erano ammonticchiati alla rinfusa , impolverati e ricoperti di ragnatele , alcuni tavoli di legno e delle sedie; in fondo stavano impilate delle casse vuote, mentre alcuni attaccapanni in disuso erano stati gettati senza cura sul pavimento.
‘In questo posto non ci entra nessuno da mesi,’ arguii soddisfatto , strattonando la ‘signora’ perché entrasse , ‘non verranno a rompere i coglioni proprio adesso”.
Per precauzione trascinai un pesante tavolo di legno massiccio davanti alla porta, che si apriva verso l’interno,per evitare sgradite sorprese: certo, se qualcuno del personale fosse dovuto entrare per forza , sarebbe scoppiato uno scandalo. Come spiegare la presenza mia e di mia madre barricati lì dentro? Ma il richiamo della carne non ammetteva ragioni. Rischiai.
Mamma si era appoggiata ad una sedia sul fondo , e mi osservava civettuola mentre mi avvicinavo.
Riprendemmo immediatamente il lavoro interrotto, senza dirci nulla.
Il membro spariva impaziente nella sua calda gola, mentre il piercing che portava sulla lingua stimolava delicatamente la sensibilità del fallo, donandomi impagabili brividi di godimento.
Sentii nuovamente lo sperma ribollirmi nei testicoli , a causa dell’ incontenibile eccitazione.
‘No!’, mi dissi, ‘non così,non adesso”.
Ritrassi a malincuore il membro.
Premetti con le dita sulla muscolatura che dallo scroto si dipana verso l’ano,riuscendo così a bloccare l’eiaculazione imminente.
-Che fai ,puttanella,- le dissi sorridendo lascivo, – vuoi che finisca subito? Non vuoi assaggiare il tuo bambino un po’,prima?
-Oh sì Davide,- rispose tremante, umettandosi le labbra con la lingua,- sbattimelo dentro’fammi urlare!
Prendendola sotto le ascelle la sollevai e l’adagiai su un tavolo vicino: abbassai le spalline dell’elegante abito di raso , alzando contemporaneamente la parte inferiore fin sopra il pube.
Il vestito si trasformò così in una sorta di cintura ,che le cingeva il ventre all’altezza dell’ombelico.
La sua pelle alabastrina quasi mi abbacinò. Succube del desiderio più sfrenato ,le tolsi rapidamente il reggiseno di pizzo e gli slip : le grandi e marmoree mammelle ritrovarono finalmente la libertà, mentre la rosea intimità dischiusa ,assolutamente glabra e con i tre piccoli anellini che mandavano bagliori sotto la luce del neon , mi tentava in modo irresistibile.
Iniziai a cibarmi della calda femminilità di mia madre, mordicchiando delicatamente i carnosi petali e insinuando la lingua nelle sue più celate profondità, titillando avidamente l’elastico bottoncino che la conduceva all’estasi . Alcuni minuti di quel paradisiaco supplizio bastarono : la cagna rovesciò la testa all’indietro, lamentandosi piano,quasi piangesse ;tremando leggermente posò le mani sulla mia testa , inondandomi la bocca col suo tiepido nettare ,il cui odore leggermente pungente scosse l’asta impaziente che stavo massaggiando con la mano destra.
-Hai goduto puttanella,- le bisbigliai all’ orecchio,- adesso tocca a me ‘
-Dai bimbo, ti voglio, da’ da mangiare alla mamma,- rispose accomodandosi meglio sul tavolo e spalancando le cosce.
Le sollevai le gambe , facendole appoggiare i polpacci contro le mie spalle ;puntai la verga fremente all’imboccatura del fiore proibito e, con un violento affondo che le strappò un gemito ,fui in lei.
Il membro sussultò,prigioniero della calda fornace: iniziai con tranquillità la lenta danza dell’amore,ritraendolo e rituffandolo piano nell’inferno celato tra le candide cosce materne.
La cagna gemeva piano ,fissandomi intensamente a labbra socchiuse,cercando di reprimere le grida del piacere devastante che la stava rapendo.
-Ti pace il palo del tuo bambino’lo senti fino in fondo,vero, sgualdrina?- mormoravo ansimante ,aumentando gradualmente il ritmo e la profondità della pentetrazione.
-Oh sì’amore ‘ah ‘mi fai morire’fammi morire scopando’- latrava la cagna , senza pudore alcuno.
L’amplesso si fece frenetico. La verga , tesa e lucente di balsamo materno ,scivolava furente nella calda tana , accompagnata dal dolce suono dei testicoli che baciavano le morbide natiche di mamma.
-Apri la bocca puttanella,-ringhiai dopo alcuni minuti ,- che ti do qualcosina da bere.
La ‘signora’ la spalancò prontamente, ormai avvezza al giochino: un lunga ,filante bava di saliva le scivolò sulla lingua,ricadendo poi nelle profondità della gola.
Ci giocò per un minuto buono ,sorridendomi maliziosa mentre la sbattevo selvaggiamente,per poi inghiottirla avida.
La mia eccitazione raggiunse le nevi eterne.
Presi a possederla con violenza sempre maggiore ,incurante delle urla strozzate e dei singhiozzi che ormai non riusciva più a dominare.
Cominciai a schiaffeggiarle con foga i seni burrosi , che iniziarono ben presto a recare le stimmate di quell’eccesso di lussuria : i segni delle dita si fecero via via più numerosi ed evidenti ,accompagnati da un rossore acceso che accentuava il chiarore della pelle.
Ma quando, dopo averle baciato e succhiato affamato i capezzoli eretti, presi tra i denti l’anellino d’oro che portava a quello destro e lo strattonai con forza verso di me, non potè trattenere un grido di dolore.
-Che fai cagna, vuoi farci scoprire!- le sibilai rifilandole l’ennesimo ceffone , che schioccò nella stanza come un colpo di frusta.
Guardai l’orologio. Era già passato un quarto d’ora.
‘Devo sbrigarmi’ ,mi dissi ,riprendendo a possederla lentamente, ‘qualcuno potrebbe insospettirsi’papà potrebbe venire a cercarci. Mi piacerebbe lavorarmela un po’ anche nel sederino,ma sarà per un’ altra volta’.
Concentrandomi sullo statuario corpo che mi si offriva docilmente , cercai l’orgasmo.
Non mi ci volle molto. Dopo alcuni affondi decisi, con la purpurea sommità della verga che si cibava nei pascoli più segreti del ventre materno, sentii il piacere sussurrarmi le proprie delizie,incontenibile.
Uscii dal voluttuoso corpo di mia madre.
L’afferrai violentemente per i capelli , facendola inginocchiare davanti al membro che già pulsava, prossimo all’eruzione.
La cagna spalancò la bocca , lussuriosa sacerdotessa del rito che stavo officiando.
Immersi completamente la verga nell’accogliente grotta, finché le labbra non lambirono il pube.
Le cinsi la testa tra le mani ,tirandola brutalmente verso di me.
Il seme impaziente risalì le oscure gallerie celate nelle mie carni , sgorgando copioso ed invisibile nelle più recondite profondità della gola materna.
La cagna ,nel frattempo ,non mi staccava gli occhi di dosso ,sapendo che quel particolare rendeva più intenso il piacere che mi pervadeva.
Restammo così ,immobili a fissarci ,per almeno mezzo minuto.
Mi ritrassi solo quando la mia dolce schiava ,paonazza in volto ,dovette reprimere alcuni conati,che rischiavano di sporcarle irrimediabilmente il vestito: la verga brillava di sperma e saliva sotto la bianca luce dei neon, soddisfatta.
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Dopo esserci risistemati scendemmo di nuovo al pianterreno.
Alcuni invitati , per sgranchirsi un po’ le gambe tra una portata e l’altra,stavano ballando nell’ ampio salone, cullati dalle dolci note di ‘My sweet summer suite’ di Barry White.
Mio padre era scuro in volto.
-Ma dove ca’volo siete stati fino adesso,- sbottò appena ci vide,- è quasi mezz’ora che siete via, hanno già servito i primi’
-Si è sentito poco bene,- si affrettò a rispondere mamma , indicandomi col capo ,-ha anche
rigettato. L’ho aiutato a farsi degli impacchi sulla fronte, con l’acqua fredda’
-Devo aver mangiato troppo in fretta gli antipasti ,- cercai di giustificarmi ,- avevo una fame’
Il ‘cornuto’ ,sbollita l’arrabbiatura dopo le spiegazioni, fissò il vestito di mia madre, all’altezza del seno sinistro. Una macchia biancastra ,ormai rappresa, deturpava il brillante raso nero dell’abito : una goccia del mio amore per mamma,di cui nella fretta non ci eravamo accorti.
-Che hai lì, sul vestito?- chiese mio padre indicando la chiazza.
La ‘signora’sbiancò ,se maggior pallore fosse possibile sul suo volto.
Stavamo balbettando qualcosa ,imbarazzati, quando il ‘cornuto’ , dall’alto della sua ignoranza ,ci venne incontro.
-Guarda lì scemo ,- mi disse sottovoce ,- hai rigettato’ hai sporcato il vestito di tua madre. Che ‘mona’ che sei’quasi trent’anni’un bambino sei’
-Torno in bagno a pulirmi ,-disse sorridendo la ‘signora’,- non è nulla.
Si alzò e si avviò verso la toilette.
-Almeno non stare lì impalato ,vai ad aiutarla , dopo che hai fatto il danno .Quel vestito l’ ho pagato mille euro,- continuò mio padre , in malo modo.
-Agli ordini signore,- gli risposi beffardamente ,seguendo mamma e pensando che mai situazione fu più adatta per il detto popolare ‘chi è causa del suo mal pianga sé stesso’.
La cagna , precedendomi di qualche metro , sculettava provocante : di tanto in tanto si voltava leggermente per sorridermi maliziosa , mostrandomi la linguetta rosea.
Tornati a casa , a notte fonda, mentre il ‘cornuto’ dormiva, ci scolammo due bottiglie del suo prezioso champagne’
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