Con la parola ‘Amok’ i malesi designano l’improvvisa esaltazione che si impossessa di un essere, quasi uno stato di follia che lo spinge a commettere azioni incontrollate che non avrebbe mai compiuto in condizioni normali. Si è in preda a impulsi irrefrenabili, travolgenti. Si agisce come sotto l’effetto di un allucinogeno, e se contrastati si può giungere ad uccidere.
Questo non è per giustificare, ma per cercare io stessa di rendermi conto di come certe cose possano essere accadute.
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Sono Gigliola, ho quasi cinquantacinque anni, portati abbastanza bene anche se ho un corpo un po’ abbondante, con un seno della quinta misura e un sedere in proporzione. Per fortuna, tette e natiche non sono flaccide, anzi, si mantengono abbastanza bene, soddisfacentemente sode, ma c’è un po’ di pancetta. Non eccessiva, però.
Lisa, mia figlia, ha trent’anni, e vive da qualche tempo a Vienna, col marito, Dario, e il piccolo Sergio, di sei anni.
Dario era venuto a Roma per ragioni professionali, come sempre era rimasto nostro ospite, e chiacchierando, a pranzo, avevo detto che sentivo la nostalgia del nipotino e della figlia.
‘Allora’ ‘disse Dario- ‘Vieni a Vienna, saranno felicissimi.’
Michele, mio marito, osservò che era una idea magnifica e si rammaricava di non potermi accompagnare.
In breve, decidemmo che Dario ed io saremmo partiti il venerdì sera, con l’aereo. Fatto sta, però, che il maltempo, data la stagione, aveva imposto una temporanea sospensione dei voli, anche a causa della chiusura degli aeroporti di Vienna. Ero molto contrariata, ci avevo messo il pensiero.
Dario fece un giro di telefonate e con aria trionfante mi disse che saremmo partiti lo stesso, col treno, in vagone letto, in partenza dalla stazione Termini poco dopo la le diciannove.
Michele ci avrebbe voluto accompagnare, ma lo pregai di restare a casa, anche per il cattivo tempo. Prendemmo il taxi. Trovammo un carrello per le valige, ci avviammo al marciapiede dov’era il treno. Ci fermammo ad una vettura nuova fiammante, con una scritta strana ‘SS’, e poi, in piccolo, sotto, ‘Special Schlafwagen’. A parte quella ‘SS’ che mi aveva impressionato, non sapevo che ci fossero vagoni speciali in tale servizio.
Quando salimmo, Dario mi disse che era tutto quello che aveva potuto trovare, all’ultimo momento, un scompartimento doppio, ma per fortuna con servizi privati.
Mi venne da sorridere pensando che, sia pure in letti distinti,avrei dormito insieme a un altro uomo che non era mio marito. La prima volta da quando m’ero sposata. E fu quasi naturale osservare e considerare Dario sotto un diverso aspetto, quello di un uomo. Di un maschio. Senza dubbio era un bell’uomo, e anche simpatico.
Mi sorpresi nel sentirmi quasi a disagio, ma quel che era peggio, e non so per quale strano ragionamento inconscio, Dario mi eccitava sessualmente, destava in me strane e insolite sensazioni. Fui percorsa da un fremito. Mi venivano in mente strane fantasie, un improvviso ingolosirsi per qualcosa che fino ad allora avevo detestato, mi aveva stomacato.
Ero rimasta a sedere sulla mia cuccetta, mentre Dario sistemava il bagaglio.
Fui richiamata alla realtà dalla sua voce. Mio dio come era calda, sexy!
‘Forse è meglio che andiamo alla vettura ristorante, ci faremo servire un aperitivo. Il primo turno non ha certo avanzi!’
Gli rivolsi un sorriso da ebete, ma non potei fare diversamente.
‘OK Dario, vado un momento”
Mi alzai e andai nel bagno.
Quando mi asciugai con un po’ della carta che avevo preso dal rotolo, mi sentii pervasa da una piacevole sensazione. Avevo gli occhi chiusi e mi sembrava che fosse la sua mano, la mano di Dario. Improvvisamente mi sentii bagnata, deliziosamente bagnata.
Scossi la testa, e non sapevo se definirmi una vecchia troia, o una adolescente allupata.
Mi detti una sistemata ai capelli, rinfrescai il mio lieve trucco, mi guardai allo specchio, rientrai nella cabina.
Sono sicura che mi comportai distrattamente durante la cena, non rispondevo a tono, ma nella mia testa frullava sempre lo stesso pensiero: proprio un bel fusto mio genero, non c’era che dire; beata mia figlia che se lo godeva. E non solo sentii di essermi bagnata di nuovo, ma ero veramente inquieta per quella intimità che ci attendeva.
Ecco, meditavo, Dario avrebbe dormito nella cuccetta superiore, ed io sotto di lui. ‘Sotto di lui!’ Mi agitava quella idea. E pensare che ero stata ‘sotto’ solo a mio marito! Nel contempo mi ammonivo a non essere ridicola. Io ero una ‘matura’ di quasi cinquantacinque anni, e Dario ne aveva trentacinque.
D’accordo -rispondeva in me un’altra voce- ma sei sempre una femmina e lui un gagliardo maschione.
Va bene ,- seguitava la mia contorta mente- ‘gagliardo’ quanto?
Dario aveva pagato, aveva ordinato due cognac. Li sorseggiammo, in silenzio, poi mi guardò, gli feci un cenno con la testa, tornammo in cabina.
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‘Forse è meglio, cara, che sia prima tu a cambiarti; io, intanto, mi metto in pigiama, ma se vuoi esco nel corridoio,.’
Fu spontaneo sfiorargli il volto con una lieve carezza.
‘D’accordo, d’accordo, mi cambio nel bagno.’
‘Presi la mia lunga camicia da notte, la leggera vestaglia, la borsetta per il demaquillage e andai nel bagno.’
Sentii aprire la porta della cabina, certo era Dario che usciva. Dopo qualche minuto sentii che era rientrato. Fui abbastanza lenta, indugiai con una minuziosità irrazionale, curai in particolare l’igiene intima, perché ciò mi consentiva di’ carezzarmi’ piacevolmente.
Tornai in cabina. Dario era in pigiama, in piedi, guardava dal finestrino. Il treno correva, quasi silenziosamente, il ritmico battere delle ruote sulle congiunture dei binari sembrava soffocato.
Mi misi di nuovo seduta sulla cuccetta. Gli sorrisi.
Mi venne di fronte.
‘Tutto bene?’
Guardai fissamente i suoi pantaloni, là dove appariva il rigonfiamento del suo sesso. Ero ipnotizzata da quel bozzo, magnetizzata, irresistibilmente rapita.
In trentadue anni di matrimonio non ero mai riuscita a’ baciare’ il fallo di Michele. Ci avevo provato, ma avevo dovuto rinunciarci, mi ripugnava, venivo assalta da conati di vomito.
In quel momento cosa mi prese? Ecco perché ho accennato all’amok, lo stato di follia che spinge a commettere azioni incontrollate che non sarebbero state mai compiute in condizioni normali.
Seguitavo a guardarlo fisso, allungai la mano, mi fu facile sbottonargli i pantaloni, afferrargli il pene e tirarglielo fuori. Dario mi sgranò gli occhi addosso, stupito, interrogativamente.
Ora quel coso stava lievitando nelle mie mani, alle mie delicate carezze. Lo scappellai, aveva un glande meraviglioso, rubizzo, palpitante.
Fu un momento, mi chinai e lo accolsi, golosamente, bramosamente e voluttuosamente nella mia bocca infuocata. La lingua lo lambiva, intorno intorno, lo picchiettava, e cominciai a suggerlo con avidità, sentendo che tra le mie gambe andava sempre più inumidendosi la mia inquieta e palpitante passerina. Dopo un po’ sentii le mani di Dario sui miei capelli, quasi a regolare il ritmo della mia mungitura; lo sentivo fremere, avvicinarsi il momento che avrebbe scaricato in me il caldo tepore del suo liquido seminale. Non ne ero nauseata, no, anzi lo attendevo golosamente, e quando mi accorsi che stava per ritirarsi, mi aggrappai alle sue natiche e lo strinsi a me. Ingollai, avida, fino all’ultima stilla, strizzandolo voracemente.
Mi staccai malvolentieri da lui, alzai la testa, lo guardai sorridendo e con un sorriso di trionfo.
Era senza parole, Dario, immobile, col suo fallo ancora duro, e rimase così per qualche secondo. Poi, di colpo, si inginocchiò, mi spinse con una certa risolutezza, tanto che andai a battere leggermente con la testa sulla parete, tirò su la mia vestaglia e la mia camicia, dischiuse le mie gambe. Il mio bacino era sulla sponda della cuccetta. Le cosce oscenamente spalancate, e lui che si era tuffato tra esse e stava leccando con raffinata esperienza; sapendo dove toccare, come entrare, come lambirmi tutta intorno, dove insistere. Ecco, quello era un punto che mi faceva impazzire, lo sapevo che ci doveva essere, ma Michele non lo aveva mai trovato. Lui, invece, Dario, insisteva, lo lambiva e si ritirava, titillava il clitoride’. Sentii l’orgasmo che mi stava invadendo, travolgendo, squassandomi, cercavo di soffocare il grido di piacere che usciva dalla mia bocca che ancora aveva sapore di lui, e lui insisteva, insisteva, ed io godetti ancora, meravigliosamente. Ma non si contentò di questo, mi spogliò completamente, ciucciò i miei capezzoli, tanto fece che mi ritrovai carponi sulla cuccetta, con la testa sulla parete, e le chiappe dalla sua parte. Le scostò delicatamente, passò la sua divina mano, le sue incantevoli dita nel solco, insistè, carezzò, e poi sentii il voluttuoso calore del suo glande che s’infilava lentamente ma con energia nella mia vagina. Era un po’ stretta per ricevere un tale manganello di carne viva e vibrante, ma lo accolse con ardore, ebbrezza. Non dico, poi, quando con una mano cominciò a tormentarmi le tette e con l’altra a frugarmi tra le gambe.
Era una cosa inimmaginabile, un piacere indescrivibile, e non ci volle molto per raggiungere di nuovo il più voluttuoso dei godimenti, e ripeterlo, di nuovo, di nuovo, come mai mi era accaduto nella mia vita coniugale.
Forse -pensavo nei momenti rari in cui riuscivo a formulare qualcosa nella mente- era il mio canto del cigno. Quella era la mia ultima performance sessuale. Da come si comportava la mia passerina, però, dovevo dire che me ne auguravo ancora, e tante.
Percepii i suoi colpi sempre più energici. Ero tutto in me, un attimo di sosta, ed ecco l’invasione soave del balsamo che riversava in me. Era perfino più gradevole dell’assaporarlo in bocca. Era rilassante, appagante, inebriante.
Ero in estasi. Ma. Purtroppo, venne il momento in cui uscì da me.
Il treno continuava la sua corsa nella notte.
Riuscii a sdraiarmi, supina. Ero nuda, riempita in ogni dove.
Lo guardai affascinata. Non mi riusciva di parlare.
Lui dapprima si adagiò al mio fianco. Strettissimi nell’angusta cuccetta, poi venne a distendersi su me, piacevolmente, non mi pesava affatto, malgrado la sua robustezza. Sentii che armeggiava un po’ con una mano, tra le mie gambe, e mi ritrovai di nuovo incantevolmente penetrata dal suo appetitoso e stimolante pisellone che, però, rimase fermo.
Mi accorsi che si era assopito, ma il suo sesso restava rigido, in me.
Profittando del normale sobbalzare del treno cominciai a muovere anche il mio bacino, e quel ‘coso’ mi carezzava piacevolmente, dentro’ Mi addormentai anche io, pensando che ci voleva del tempo, per arrivare a Vienna, l’indomani mattina, e che era molto probabile che qualche altra cosina l’avrei rimediata. Non vedevo l’ora di poterlo cavalcare, come una Valchiria.
Nel momento in cui venni invasa dal sonno mi venne in mente la scritta sul vagone: ‘Special Schlafwagen’. Si, veramente speciale.
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