Tutti i contenitori hanno una determinata capacità.
Se il contenuto è statico, immobile, prevale la quiete, tutto è calmo. Altrimenti’
Consideriamo un vulcano, ad esempio.
Contiene materiale sempre in ebollizione, in tumulto, in continuo accumularsi tanto che ad un certo punto la una pressione è tale che non riesce più a rimanere racchiuso nello spazio divenuto angusto e cerca disperatamente di liberarsi da quella costrizione.
Improvvisamente esplode!
Si trasforma in lapilli, cenere, lava e travolge tutto sulla propria strada, infiamma ciò che incontra.
Poi, pian piano, rallenta, si raffredda. Diviene pietra.
Il vapore compresso nella caldaia se non trova il modo di uscire, se non c’è una valvola di sicurezza, fa ‘scoppiare’ la caldaia.
La carica della bomba esplode, scaglia frammenti in ogni direzione, senza controllo. Le schegge.
Mancanza di controllo, impazzimento
Un esplosione produce schegge impazzite.
I pensieri si affollano nella mente, si accavallano, ci tormentano.
Ad un certo punto non riusciamo più a contenerli, perdiamo il controllo, come suo dirsi, esplodiamo!
1 PROPRIETA’ RISERVATA
Alessandro aveva accolto il divorzio dei genitori senza drammi. Del resto era abbastanza adulto quando ciò era avvenuto, dopo venti anni di matrimonio.
In un certo senso, per lui era come una liberazione.
Non aveva mai accettato di buon grado che nella vita di sua madre ci fosse un altro uomo, oltre lui. Un uomo, per di più, col quale condivideva il letto.
Per Alessandro era un usurpatore.
Ora, mamma Alda era solo sua.
Ma la cosa durò poco. Troppo poco.
Alda, che non aveva ancora quaranta anni, gli presentò un amico, Andrea, e poi gli fece capire che era il suo nuovo compagno.
Un fulmine a ciel sereno, un altro invasore.
Lui aveva diciotto anni e comprendeva che una femmina ancor giovane abbia bisogno di un maschio, ma che la mamma avesse rapporti sessuali con Andrea non gli andava giù.
Era rincasato abbastanza tardi, dopo il cinema, aveva messo ogni cura nel non far rumore aprendo la porta con la chiave, richiudendola; camminava in punta di piedi per andare nella sua camera, passando dinanzi a quella dove erano Alda e Andrea.
C’erano delle voci concitate.
Anzi no, era la mamma che parlava ad alta voce, cercando di soffocare in qualche modo quello che diceva nervosamente.
Si fermò per ascoltare.
‘Non c’è niente da fare, Andrea, non te lo permetterò mai e poi mai, per nessunissima ragione. Chiamami come ti pare, ma ho i miei principi e li devi rispettare. Non sono una cosa tua della quale puoi fare l’uso che credi. Non mi dispiace fare l’amore con te, ma solo secondo natura, come dice la morale nella quale credo fermamente. Perciò non seguitare a tentare altre strade. Non c’é niente da fare. E se la cosa non ti garba, se per te il coito anale è indispensabile, puoi andartene quando vuoi!’
Era allibito, Alessandro, era tentato di entrare impetuosamente nella camera e rompere il muso a quel bellimbusto, evirarlo.
Andò in cucina, aprì il frigo, presi una bibita fresca, la versò in un bicchiere, si avviò verso la sua camera.
Si spogliò, rimase nudo, sul letto, con la luce accesa e gli occhi fissi al soffitto.
Non si accorse di addormentarsi, così, senza nulla addosso.
Era mattino quando uscì da quel dormiveglia agitato.
Sentì lo scroscio della doccia.
Doveva essere la madre.
Appoggiò sulle spalle la vestaglia da camera, scosse la testa.
Si accorse che era sessualmente eccitatissimo.
Strano effetto gli faceva il ricordo di quanto aveva ascoltato.
Si diresse verso il bagno, abbassò cautamente la maniglia, socchiuse la porta, entrò, la richiuse dietro di sé.
Alda era sotto la doccia. Le piaceva farsi carezzare dall’acqua tiepida, a lungo, lasciando che portasse lentamente via la schiuma dal corpo. Un corpo bello, attraente, sodo, con tette ben erette e un culetto che ben faceva comprendere i desideri del partner.
Andrea era andato via, al suo lavoro.
Il rumore dell’acqua che scorreva non aveva consentito ad Alda di sentire il pur lieve rumore che aveva fatto il figlio entrando nel bagno. Volgeva le spalle alla porta.
Le cadde la spugna. Andrea si avvicinò a raccoglierla, e nel contempo aveva fatto cadere a terra la vestaglia, restando nudo, nella sua atletica prestanza e visibilmente eccitato.
Prese la spugna e la passò sulla schiena della madre.
Alda si voltò di scatto, spaventata.
Non immaginava di trovarsi di fronte a quello spettacolo.
I suoi occhi si posarono sul figlio, da capo a piedi, e si soffermarono sulla prepotente erezione.
Ma come si permetteva Alessandro di presentarsi così, di spugnarle la schiena nuda, di scendere sulle natiche, di insaponarle abbondantemente, specie nel solco che nascondeva quello che lei aveva assolutamente difeso dalle brame di Andrea.
Alessandro la spingeva verso il muro, non le consentiva di voltarsi.
Aveva messo la sua mano tra i glutei e con decisione, agevolato dalla schiuma di sapone, le aveva infilato un dito, il suo grosso dito, nel sedere.
Alda stava per gridargli qualcosa, ma non riuscì a pronunciare parola, si trovò in ginocchio, con le natiche dilatate e il glande di Alessandro che, ben insaponato, la stava penetrando decisamente, senza tentennamenti, di colpo, fino in fondo.
Sul momento le sembrò che un palo enorme l’avesse invasa.
Alessandro s’era fermato. Le stava palpeggiando le tette, la frugava tra le gambe, le infilava le dita nella vagina che s’andava sempre più irrugiadendo.
Quando sentì che la donna andava pian piano rilassandosi, e che l’attività delle sue dita stava ottenendo risultati, cominciò a stantuffare, lentamente, poi sempre più energicamente, ad ogni spinta sussurrava.. ‘ecco’. ecco” fin quando non l’allagò con un torrente tiepido e infinito.
Alda aveva emesso qualche gemito.
Rimase immobile, non sapeva cosa fare.
Alessandro era dietro di lei, in lei. Fermo, ansante.
Alda temeva che comunque si fosse mossa avrebbe provocato imprevedibili reazioni del ragazzo.
Poi, sentì il grosso fallo sgusciare lentamente.
Alessandro sedette, nel bagnato, col filo d’acqua che ancora cadeva dalla doccia. Appoggiò la schiena alla parete maiolicata, rimase inerte, ma col pene ancora eretto.
Alda si voltò, gli si mise accanto. Lo carezzò dolcemente.
‘Sandrino, tesoro’ cosa hai fatto’!’
Lui respirava profondamente, la voce era incerta, rotta dall’affanno.
‘Dovevo mamma’ dovevo’ volevo qualcosa di tuo’ solo per me’ solo per me”
Alda aveva gli occhi pieni di lacrime.
‘Sta buono, amore mio’ sta buono’ si’ la mamma è tua’ solo tua”
Era sconvolgente quanto era accaduto, ma estremamente commovente.
Pensava al turbamento, al dolore, al subbuglio che aveva stravolto l’animo di quel ragazzo.
Si andava convincendo che non era stata violenza, violazione, sopraffazione, ma un amore così forte che s’era mutato in passione irrefrenabile.
Il suo Sandrino. Ora era un omone. In tutti i sensi.
Alda raccolse con le mani l’acqua che cadeva dalla doccia e si mise a lavare il sesso impiastricciato del figliolo che ancora gli sembrava di sentire nelle sue viscere.
Lo lavava amorevolmente, attentamente, lo risciacquava con cura.
Era sempre vispo e rubizzo.
Lo baciò delicatamente’ abbassò il prepuzio, con la lingua titillò il glande e poi la passò intorno al solco balanico, lo accolse in bocca, e lo ciucciò raffinatamente, golosamente, ma si ritrasse quanto percepì dalle contrazioni del ragazzo, e dal suo carezzarle i capelli, che stava per raggiungere il godimento. Il seme le schizzò sul seno, sul grembo, le impiastrò i riccioli del pube.
Aveva gli occhi lampeggianti, Alda, le nari frementi, il grembo palpitante, la voce roca.
‘Ora, bambino mio, hai avuto quello che è solo tuo.’
‘Lo caccerai mamma? Lo manderai via?’
‘Certo, amore, non metterà mai più piede nella mia casa, nella tua casa, nella nostra casa.
Gli farò trovare le valige sul pianerottolo.’
‘Mi vorrai bene, mamma?’
‘Per sempre, tesoro.’
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2 HANS UNT GRETEL
Hans è il figlio di mia sorella.
Lo so che la notizia vi lascia indifferenti, ma non lascia me insensibile.
Ho anche pensato che quello che provavo per Hans fosse una specie di transfert, di spostamento, da mio cognato Peter al figlio.
Cioè che io desideravo Peter, ma per non far torto a mio sorella Hilde avevo riversato su Hans la mia concupiscenza.
Sono giunta alla conclusione che Peter non c’entra per niente, di lui non mi interessa nulla, mi è del tutto estraneo, ho cercato di immaginarmelo virilmente possente.
Nessuna reazione!
Quando vedo Hans, invece, quando lo penso, mi sento scombussolata, agitata, eccitata, bramosa, infoiata più di una cagna in calore.
Se volessi, e non è per vantarmi, potrei avere quanti uomini desidero, ed anche dei bei fusti.
I miei trentasette anni sono portati benissimo, tutto sodo e ben curato, e un appetito sessuale gagliardo.
Ma solo Hans potrebbe appagarlo del tutto.
Credo di non essergli indifferente.
Non ha mai mancato di assicurarsi dello stato delle mie tette e delle mie natiche.
In piscina, con la scusa di asciugarmi mi ha fatto capire che il toccarmi non lo lascia insensibile, ho sentito chiaramente qualcosa di piacevole che premeva tra i miei glutei, e quando mi sono voltata, per farmi asciugare il volto, quella grazia della natura si è andata a ricoverare tra le gambe che, per puro caso, avevo dischiuso e poi serrato.
Ma mai che mi avesse carezzata intimamente, strizzato le tette, sbattuta sul letto e montata!
Ora era ad Heidelberg, all’Università.
Chissà quante ragazze si faceva.
Beate loro!
Ho deciso, lo vado a trovare, all’improvviso, senza dirgli niente.
So che ha un minuscolo monolocale.
Se lo trovo con una donna, me ne torno a casa con la coda tra le gambe. Anzi no’ a gambe vuote’!
Se è solo gli dico che vorrei trattenermi qualche giorno e che avrei potuto dormire sul divano!
Qualcuno mi dirà che è poco dignitoso, per me, concupire un ragazzo che non ha ancora diciannove anni.
Io non so se riuscite a parlare di dignità al vostro sesso. Io non ci riesco.
Tante Gretel, la zia Gretel, smania per Hans.
Ed è così che sono andata a bussare alla sua porta, ad Heidelberg.
Rimase con la bocca aperta quando mi vide, aprendo l’uscio.
Era scalzo e in pantaloncini. A torso nudo.
Caspita ‘pensai- lui è già sulla strada giusta, aspetta e mi tolgo questo fastidio da dosso, questi abiti inutili.
‘Salve zia Gretel, che piacere vederti, entra.’
Mi abbracciò stretta e mentre schiacciava sul suo petto le mie turgide tette, mi aveva abbrancato le natiche e tirata a sé, come a presentarmi il suo arnese, che mi puntava sulla pancia e la diceva lunga su proporzioni e consistenza.
Non potevo non dimostrargli il mio affetto e mi capitò, invece che sulla guancia, di stampargli un bel bacione sulle labbra, senza affrettarmi a ritrarle.
‘Come stai, Hans?’
‘Adesso che sei qui non potrei stare meglio.
Qual buon vento ti mena a Heidelberg?’
‘Fare un bagno nel Nekar!’
‘Dai, zietta, ti piace sempre scherzare.’
‘No, questa volta faccio sul serio, o la va o la spacca.’
‘Tu cosa preferisci?’
‘Ciò che va, senza spaccare.’
‘OK, l’essenziale e tu sia qui.
Non ho molto da offrirti, ma possiamo dividere quello che c’é.
Qualcosa in frigorifero, il mio piccolo monolocale.’
‘C’è posto per me?’
‘Basta mettersi d’accordo.’
‘Non ti preoccupare, accordo raggiunto.’
‘Allora, vieni, ti faccio vedere il mio studio-letto-residence-tinello ecc. Sistema la tua roba tra armadio, comò, bagno’ e mettiti a tuo agio’ non vedi come sto io?’
Era un vano molto ampio.
Anche il letto era abbastanza vasto, quelli che vengono definiti, in Francia, grand lit, e in Italia a una piazza e mezzo. Poi divanetto, poltrona, due sedie, armadio, comò.
Insomma, come arredamento non mancava niente.
Pensai di togliere i jeans, indossare una gonna ampia e leggera e una blusa annodata in vita.
Essendo l’ora del pranzo, Hans si dava da fare in cucina: pollo e patate, torta di mele, birra.
Quando lo raggiunsi, rimase con le posate a mezz’aria.
Ach! zia Gretel, ma sei uno schianto, se vieni al Campus non ti fanno uscire più.’
‘E tu, Hans, mi farai uscire?’
‘Ho sempre la chiave in tasca. Vedremo.’
‘Ti sto svuotando il frigo.’
‘Niente affatto, c’è sempre una buona scorta.’
‘Per eventuali ritiri didattici?’
‘Dipende da chi è docente e chi discente. Adesso, a tavola.’
La gonna, appena abbottonata alla cinta, si aprì sulle cosce non appena mi issai sullo sgabello.
Hans le guardò e non nascose un assenso di approvazione.
Presi il piatto di portata e glielo porsi.
‘Preferisci petto o coscia?’
‘A me piacciono tutti e due, e moltissimo.’
‘Si ma da dove vuoi cominciare?’
‘Tu cosa suggerisci?’
‘Io direi che, di solito, si inizia dal petto.’
‘D’accordo’ anzi, facciamo così’ ne assaggio un po’ e poi tu mi fai assaporare la coscia.. va bene?’
‘Solo se lo meriterai, enkel, nipote.’
Quella schermaglia mi piaceva e prometteva bene.
Ottima la birra, fresca al punto giusto e gradevole.
Gli scambi di degustazione funzionarono benissimo.
Parlammo della nostra famiglia.
Seguitammo la chiacchierata sul divanetto.
Hans, mi sovrastava di un palmo.
Di fronte c’era lo specchio.
Mi rallegravo nel guardarmi. Si, si vedeva che Hans era più giovane di me, ma solo di qualche anno. A me si potevano togliere benissimo dieci anni, e a lui aggiungerne un paio.
Mi aveva messo la mano sulla spalla e con naturalezza era sceso a sfiorarmi la tetta. Sempre più audacemente, con le dita stringeva il capezzolo che s’era già abbondantemente inturgidito. Fu naturale stringermi a lui. E pensai anche che, come avevamo detto a tavola, si comincia sempre dal petto.
Appoggiai la mano sulla coscia di Hans.
Io cominciavo dalla coscia.
Poi la spostai al centro, sul gonfiore dei pantaloni.
Hans infilò la mano nella blusa, ora carezzava a pelle. Era bellissimo.
Avevo fatto proprio bene a venire ad Heidelbeg.
Gli afferrai decisamente il bel pisellone.
‘Vieni, tante Gretel, vieni.’
Mi condusse vicino al letto, mi slacciò la blusa, sbottonò la gonna, mi sfilò rapidamente le mutandine.
Fece un passo indietro.
‘Gulp! Zietta, ma sei veramente un bocconcino. E cosa aspettavi a venirmi a trovare?’
I suoi pantaloncini, intanto erano sul pavimento.
Anche lui, grazie a dio, non mancava di nulla.
Mi sdraiai sul letto, si avvicinò a me, mi alzò una gamba e pose il suo grosso affare all’ingresso della mia vagina che trovò pronta, palpitante, rorida.
Mi penetrò con lentezza, deliziosamente.
‘Ecco, zietta, conservalo bene, è prezioso.’
Lo sentivo che era prezioso, incantevole.
Il desiderio che era covato in me, per anni, ora era esploso completamente, non riuscivo a controllarmi.
E non volevo.
Perché avrei dovuto farlo.
Avevo raggiunto il mio intento.
Che bello, Hans era in me, stavo facendo l’amore con lui.
Che estasi, che paradiso.
Quel suo andare avanti e dietro mi mandava in visibilio, mi stava facendo godere come non mai.
‘Dai, Haensel, dai tesoro’ lo senti che sto godendo’ eccomi amore’ come sei bravo’ e come sei grosso’ mi stai occupando tutta’ vengo Hans’ vengo’ vengoooo!’
Fu un grido di liberazione, ero squassata dal piacere.
Mi sembrò perdere cognizione del tempo di ciò che accadeva.
Il piacere mi aveva invaso, dalla testa ai piedi.
Dopo un po’ che s’era riversato in me, allagandomi del suo nettare, si levò, mi dette una bella strizzata alle tette, uscì dal mio grembo e mi salutò con una dolce pacca sulla vulva.
‘Che femmina meravigliosa, tante Gretel. Chi lo avrebbe mai immaginato.
Sei un po’ sudata, agitata. Calmati’ credo che sei un’amazzone perfetta’
Devi dimostrarmelo, di devi farmi sentire come sai cavalcare, sono certo che sei una incantevole Walchiria”
Si sdraiò, supino, con la sua asta pronta ad impalarmi.
Non lo feci attendere troppo. Anzi, neanche un po’
Era troppo bello per essere vero.
Tutto era accaduto al di là di ogni rosea speranza.
Volevo saziarmi, ad ogni costo.
Ci sarei riuscità?
Hans ne aveva tutti i mezzi e da quanto avevo capito era decisissimo a soddisfarmi.
Mentre lo cavalcavo voluttuosamente, e lui mi titillava tra le gambe mi strizzava le tette, mi disse che aveva in serbo una sorpresa’ non sapeva se per quella sera, per l’indomani’ o più in là’
Più in là!
Quindi mi voleva con sé:
A quel pensiero la mia vagina si contrasse e lo strinse.
Poi non capii più nulla.
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3 QUALCOSA DI ESOTICO
Mamma sorride ancora adesso quando parla di Aurelio, il suo secondogenito, il figlio frutto della riserva aurea del suo grembo, di un filone nascosto e sconosciuto, rivelatosi inaspettatamente quando credeva che la sua fertilità fosse già tramontata.
Frutto della riserva aurea, per questo l’aveva voluto chiamare Aurelio.
Quindi, io ho avuto un fratello che potrebbe essere mio figlio, per età, perché quando andò a scuola, all’asilo, io già ero ingegnere aeronautico.
Tra me e mio fratello ci sono giusto venti anni di differenza.
Mamma ne aveva venticinque quando nacqui io, e quarantacinque quando mise al mondo Aurelio.
Un giorno, tornato dall’asilo dove avevo accompagnato Aurelio, abbracciai la mia mammina, una bellissima donna di quarantotto anni, ancora molto avvenente e stimolante, e le dissi scherzando che il frutto del suo ‘infortunio sul lavoro’ era entrato a scuola allegro e saltellante.
Mamma mi carezzò il volto con dolcezza e con quella particolare espressione di adorazione che aveva sempre per me, il suo ‘uomo’, come mi chiamava. Mi sorrise incantevolmente, con un sorriso che ammaliava.
‘Nessun ‘infortunio sul lavoro’ caro Piero, ma l’improvvisa scoperta che dopo il gioiello inestimabile che è il mio primogenito, ancora nascondevo in me, senza saperlo, una pepita preziosa.
Sono felice, bambino mio, infinitamente contenta.’
Strinsi ancora più forte, a me, la mia affascinante mamma, la baciai commosso, e tornai nel mio studio, in attesa di iniziare a lavorare presso la società aeronautica che mi aveva selezionato.
Quando iniziò ad andare alla prima elementare, Aurelio mi disse che anche lui avrebbe avuto a che fare con le ‘macchine volanti’, e così seguitò ad affermare, sempre. Volle iscriversi all’Istituto Aeronautico, studiò da matto. Conseguì la maturità col massimo dei voti, ma allorché si trattò di iscriversi all’Università, ci comunicò che era stato ammesso alla scuola di pilotaggio di una famosa compagnia aerea internazionale.
Anche lì raccolse allori, superando gli stessi allievi cittadini della nazione di cui quella compagnia recava le insegne.
Fu il più giovane secondo pilota.
Roma era spesso una delle sue tappe.
Più spesso era sulle rotte dell’oriente
Il suo libretto di volo recava frequentemente le sigle di partenza (LHR) Londra Heatrow, e di arrivo (DAC) Dacca.
E fu proprio in un volo da Londra a Dacca che incontrò Thana, una splendida ragazza, universitaria che aveva trascorso tre mesi in UK per perfezionarsi nella lingua inglese.
Era interessata ad apprendere l’Italiano, Thana, e Aurelio a insegnarglielo.
A casa, nelle sue brevi soste, ci parlava sempre di questa splendida fanciulla, e quando ce la condusse per farcela conoscere, potemmo constatare che le descrizioni di Aurelio non avevano affatto esagerato.
Appena vedutala, compresi come Aurelio fosse stato folgorato da quella bellezza che univa in sé una dolcezza tenera e un’attrazione irresistibile.
Forse era quel ‘qualcosa di esotico’ che mi stimolava, mi eccitava.
Aurelio ci disse che si sarebbero sposati, presto, a Roma, e che Thana, islamita non praticante, avrebbe accettato solennemente di battezzare l’eventuale prole di allevarla seguendo la religione cattolica.
Thana aveva rapidamente appreso l’italiano, e si mostrò affettuosa, soprattutto nei confronti di mamma Rosa, di cui decantò la bellezza e la dolcezza.
Quindi, divenne la moglie di Aurelio.
Un fisico non appariscente, ma perfetto.
Un volto soave, incantevole.
E, per me, un sex appeal travolgente.
Dovevo cercare di allontanare questo tarlo dalla mia mente.
Avevo qauarantasei anni, Aurelio ventisei, Thana ventidue.
Per età poteva essere mia figlia.
Ma non lo era.
Era, però, la moglie di mio fratello, mia cognata.
Tutto vero, sta di fatto, però, che al cuor (chiamiamolo così’) non si comanda. Thana mi accendeva da morire.
Mi tuffai nel lavoro per non pensarci, e ciò mi era relativamente facile quando era lontana da Roma: a Dacca, a casa sua, a Londra, nel loro piccolo appartamento, ma quando era ospite nostra, a Roma, era un supplizio inenarrabile.
La mia vita da single mi portava a molteplici divagazioni erotico-sentimentali. Insomma, non mi mancava chi mi scaldava piacevolmente il letto, ma l’attrazione di Thana era ossessiva, maniacale.
La cosa peggiorò quando Aurelio fu assegnato allo scalo di Roma, su tratte europee, come comandante. Il più giovane della sua Compagnia.
Thana mi sorrideva, ogni tanto mi ricordava la responsabilità che mi ero assunta avendo accettato di essere stato loro testimone alle nozze, cercava di essere sempre gentile e profittava della mia presenza per migliorare la già buona conoscenza della nostra lingua.
Io dovevo fare un enorme sforzo per essere presente a me stesso, e per vincere l’impulso di saltarle addosso, spogliarla, possederla.
Come avrebbe reagito? Scuotevo la testa e cercavo di ascoltarla.
‘
Aurelio disse che doveva assentarsi per una settimana. Andava negli Stati Uniti ad addestrarsi su un nuovo aeromobile. Una settimana collegiale, in un centro addestramento dell’Arizona.
Io pensai bene di sfuggire quella situazione.
A cena, la sera, alla vigilia della partenza di Aurelio (era un sabato) mi inventai che dovevo redigere una relazione impegnativa e delicata, in inglese, e che, forse, sarebbe stato meglio se fossi andato a scriverla nella nostra villetta di Fregane, sul lungomare, all’angolo di via Portorose.
Thana si offrì di accompagnarmi, poteva prepararmi i pasti, far fronte alle necessità della casa, specie nelle ore in cui non ci sarebbe stata la colf, ed eventualmente aiutarmi nella stesura, in Inglese, del mio elaborato.
Mi guardò incantevolmente, e nel suo non perfetto italiano mi disse che sperava di essere utile al mio ‘affare’.
Riuscii a frenare un moto di disappunto: io mi allontanavo per sfuggirla, per evitare qualcosa di incontrollato, lei distruggeva inconsciamente (?) ogni mio tentativo di rimanere calmo ed equilibrato.
Dissi ai miei vecchietti, ai genitori, che forse era l’occasione buona per stare un po’ insieme, calmi e tranquilli, al mare.
Risposero che preferivano rimanere nella loro quotidiana comodità, ma che l’idea di Thana era veramente apprezzabile e generosa.
Fu così che l’indomani accompagnammo a Fiumicino Aurelio e poi, Thana ed io, proseguimmo per Fregene.
Già guidare con quel gran pezzo di ragazza rendeva difficile concentrarmi su quanto dovevo fare, immaginavo la tortura della convivenza, a Fregene.
In effetti dovevo scrivere qualcosa, allo scopo avevo il portatile e alcune cartelle.
Ci fermammo nel Piazzale, in fondo al viale della Pineta, al ristorante che di solito frequentavamo in estate, per un brunch.
Thana era incantata dal mare, e disse che se c’era un po’ di tempo avrebbe fatto una corsa sulla spiaggia.
Andammo sulla spiaggia.
Thana mi sorrise.
‘You know, Piero, I’m wearing my bikini under my chemisier, ho il bikini sotto il vestito!’
E prima ancora che potessi proferire parola, rimase nel suo due pezzi mozza fiato e alzò le braccia al sole.
Ero completamente shocked, sconvolto.
Ho perfino imbarazzo ad ammetterlo, ma fui assalito da una erezione non solo scabrosa, ma anche penosa.
Thana era corsa sulla battigia, si voltò, mi salutò, tornò saltellando, si avvicinò a me, mi schioccò un forte bacione sulla guancia.
‘Sei meravigliosamente buono, Piero, I like you, mi piaci!’
Si chinò per raccogliere il vestito, con generosa esposizione di splendide tette e mostra di appetitose chiappe.
Al ristorante riuscii a mandar giù qualcosa.
La nostra villetta non era lontana, vi giungemmo subito
Ricordai a Thana che non avevamo avvertito la colf.
Mi rispose che per oggi non serviva, avrebbe pensato lei a quanto serviva e la sera potevamo tornare a quel ristorante.
Eccoci a casa.
Thana già la conosceva.
Era allegra, come una bambina.
Mi detti una rapida rinfrescata, in bagno, poi andai nel mio studio.
Ero in comodi pantaloni di canapa e camiciola.
Thana si presentò con due bicchieri di aranciata. Sapeva che ve ne era in frigo.
Era ancora col vestito che aveva durante il viaggio, ma il movimento del seno mi diceva che s’era liberata del top del bikini.
E il bottom? Lo slip?
Quando andò a sedere sul divano fu evidente che non indossava nulla del suo costume da bagno.
Era troppo, non ne potevo più.
Forse è questo che si chiama ‘la goccia di sangue al cervello’.
Mi sembrava che tutto fosse confuso, intorno a me.
Mi alzai di colpo, la presi per le mani la feci alzare, le strappai il vestito e mi denudai in frazioni di secondo, la sbattei, letteralmente, sul divano, la penetrai immediatamente.
L’abbondante secrezione della vagina mi disse che non ero inatteso, o quanto meno sgradito, e l’entusiasta collaborazione di Thana, i suoi movimenti meravigliosi, la sua partecipazione eccitata, il suo volto estatico mi spinsero a darmi sempre più da fare.
‘Yes, I like you, I like it’ wonderful’ I’m coming’ coming’ cooooooming!’
Si le piacevo, le piaceva anche il mio coso’ meraviglioso’ veniva’. Mi diceva.
L’orgasmo ridusse a un gorgoglio il suo lungo mugolare soffocato.
Ebbe un sobbalzo, si rilassò, la vagina mi munse violentemente quando sentì il mio seme che l’invadeva.
Rimasi estaticamente in lei, mentre le sue contrazioni si attutivano gradualmente. Aveva gli occhi socchiusi, le nari frementi, il respiro affannoso.
Non ricordavo un appagamento così totale.
Anche la mia eccitazione andava sedandosi.
Mi stavo rendendo conto di quanto era accaduto.
Thana era stata assalita, forse aveva ceduto per evitare chissà quali mie irragionevoli reazioni. O no?
Comunque, era stata travolta dai sensi, come me.
Mi sollevai, pensieroso, non pentito ma certamente preoccupato.
Thana era mia cognata, la moglie di mio fratello!
Sedetti sul divano.
Lei era ancora lì, distesa, meravigliosa nella sua affascinante nudità. Aprì gli occhi.
Ecco, era il momento della verità.
Come avrebbe reagito?
Mi sorrise dolcemente, allungò la mano, mi carezzò.
Bastò quel contatto per far rinascere il desiderio, l’eccitazione.
Si alzò lentamente, si pose a cavalcioni sulle mie gambe, impalandosi voluttuosamente, e iniziando una cavalcata che mi portò tra i beati.
Compresi che era solo l’inizio di una storia.
Infatti, durò per sempre.
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4 VIALE DEL TRAMONTO
La vecchia Agha fu assegnata ai bagni pubblici, o meglio, al recinto dove, dopo l’immersione nelle acque limacciose del fiume, gli uomini andavano a sdraiarsi, ad asciugarsi, strofinando la pelle cosparsa di un residuo limaccioso e alquanto grasso, che la credenza diceva salvifico e che, in fondo, aveva solo qualche proprietà cosmetica, per le sostanze che conteneva e che traeva dal fango e dalle alghe fluviali.
La vecchia Agha, si aggirava tra quei corpi, di tutte le età, e si offriva di aiutarli a stendere quel limo anche sulla schiena, dove le mani dei bagnanti non potevano giungere.
Era stata prescelta per la sua età, quella in cui, secondo molti, quasi tutti, ma solo gli uomini, la donna raggiunge la pace dei sensi.
Per Agha non era proprio così.
Quanti anni avrà avuto, Agha?
Non lo so, ma le sue mani ben presto non si limitarono al dorso dei penitenti, e in loro soccorso si aggiunse un particolare accosciamento, ben protetto dal lungo sari che indossava la donna, e che nascondeva numerosi impalamenti, piacevolissimi per lei e non sgraditi ai’ pazienti.
Pace dei sensi.
L’avrei dovuta raggiungere anche io?
A quale età?
Sono Maureen Galewick, e insegno lingua e letteratura italiana al College di Galway, in gaelico Gaillimh, nel Connaught, alla foce del Corrib.
Non è una città grande, ma il College è tra i più antichi ed è frequentato da numerosi allievi.
Anche Iris, mia figlia (che ho chiamato così perché la prima cosa che scorsi, quando nacque, dal balcone della mia camera, in clinica, fu un bellissimo arcobaleno, un Iris, appunto) ha intrapreso l’insegnamento: storia dell’arte, nella locale scuola secondaria superiore.
Alfred, mio marito, ufficiale dell’aeronautica militare, ingegnere collaudatore, ha preferito sacrificarsi per evitare di andarsi a schiantare su case abitate.
E’ passato tanto tempo, diciotto anni, ma quel giorno lo ricordo ancora, compivo il mio trentasettesimo compleanno.
Appresi la notizia dalla TV.
Avevamo preparato tutto per la sera, per festeggiarmi.
Iris aveva dieci anni, Alfred quaranta.
Non riuscii a spargere neppure una lacrima.
L’incidente era accaduto al largo di Shannon, più o meno quaranta miglia a sud di Galway.
I funerali si sono fatti nella nostra cattedrale.
Non ho mai saputo, e non voglio saperlo, cosa contenesse la bara avvolta nella bandiera irlandese.
Da allora mi sono sentita come spenta, da zolla fertile a pietra arida.
Mi sono dedicata al College, a Iris.
Quando venne a dirmi che voleva presentarmi Peter, un ragazzo col quale usciva da qualche settimana, non feci tante domande, anche perché aveva già ventisette anni, ed era ora che trovasse un equilibrio nella sua vita.
Così, Peter venne a cena!
Ci mancò poco che non mi venisse un colpo, quando me lo presentò, era un giovane maggiore pilota!
Non so spiegare cosa avvenne in me, ma quella divisa, quell’aquila sul petto, i capelli corti, quel sorriso’ mi colpirono come una folgore.
Mi sentii pervasa da una scarica.
Dopo tutti quegli anni, mi ricordai improvvisamente di essere una femmina. Violentemente, travolgentemente.
Avevo l’impulso di andargli incontro, di dirgli, che era bentornato, che lo aspettavo da sempre, e lo avrei preso per mano e condotto nella nostra camera, nel nostro letto, per fare l’amore, come avevamo sempre fatto.
Peter mi strinse la mano. E disse che era felice di conoscermi.
Io non ero felice, ero sconvolta.
Non fu facile nascondere il mio turbamento, ma vi riuscii.
Avevano già pensato a tutto, al matrimonio, a un brevissimo viaggio di nozze, in Italia, e affrontarono abilmente il problema dell’alloggio.
Avevamo una casa grande, era logico che venissero ad abitare qui. Del resto, il povero Alfred aveva già programmato che avrebbe voluto vivere con la figlia, col genero, con i suoi nipotini.
Quindi, dopo tanti anni, in quella casa tornava un ufficiale pilota.
Ormai erano sposati da un anno.
La base di Peter era Shannon, facilmente raggiungibile.
Iris sempre con i suoi allievi.
Io sempre più tormentata da quella presenza. Peter mi sconvolgeva.
Dunque, non avevo raggiunto ancora la pace dei sensi.
A cinquantacinque anni s’era risvegliato, pressante, prepotente, l’imperio dei sensi.
Forse non è esatto, alla mia età ero stata presa dalla brama incontenibile di fare l’amore con Peter, il marito di mia figlia, mio genero.
Avevo cercato di spostare il mio interesse erotico su altri uomini. Niente da fare. Solo Peter, e con la sua semplice presenza, mi faceva sussultare il grembo, contrarre la vagina, bagnare le mutandine.
Cosa dovevo fare?
Dire a Mia figlia che la pregavo di prestarmi suo marito for a quickie, per una ‘sveltina’?
E chi ha detto che volevo una ‘sveltina’?
A me necessitava, tanto per iniziare, a satisfying good fuck, una appagante bella scopata.
Inoltre, che ne pensava Peter della sua vecchia suocera?
Avevo quasi i miei cinquantacinque, ma nessuno me li dava.
Nella mia camera avevo un grosso specchio a tre ante e, se non mi mentiva spudoratamente, mi diceva che non ancora ero da buttar via.
Del resto, curavo molto il mio fisico: nuoto, tennis, palestra, jogging’
Adesso, poi, ero ancora più diligente, volevo apparire a mio genero meno anziana di quanto in effetti non fossi.
Insomma, mi illudevo di potergli interessare.
Interessare a lui, malgrado avesse una moglie che, oltre l’amore, poteva offrirgli un fisico attraente.
Anche nell’intimità Iris doveva andare forte, perché passando dinanzi alla loro camera, l’avevo sentita gemere quasi senza ritegno e gridare al marito che era il suo gorgeous golden prick, il suo incantevole cazzo d’oro!
Guarda caso, quando Alfred mi pompava appassionatamente, con mio sommo godimento, mi gridava (si, gridava) che ero la sua lovely golden cunt, la sua deliziosa topa d’oro.
Era da tempo che non mi carezzavo in solitaria, ma non bastava.
Ero anche tentata di acquistare un vibratore, ma era un surrogato meschino e insoddisfacente.
M’era venuta in mente l’idea di tentare un rimedio sconvolgente: farmi rimorchiare da uno dei tanti muscolosi camionisti che si fermavano alla stazione di servizio dove io facevo rifornimento, e di farmi fare da lui un pieno che m’avesse provocato una nausea incancellabile, per sempre.
Era come credere che l’attrazione dello champagne potesse essere cancellata da una sbornia di cattivo vino.
Io volevo Peter.
Cercavo di farglielo capire in ogni modo, sempre curando che Iris non fosse presente, e in un certo senso mi sembrava che lui l’avesse compreso. Che poi tra sé e sé sorridesse al pensiero che la suocera era una vecchia allupata che lo concupiva, non volevo neanche pensarlo.
L’occasione fa l’uomo ladro.
Leggiamola in altra chiave: l’occasione rende temeraria e imprudente la femmina infoiata.
Iris in clinica, per una improvvisa appendicite e peritonite.
Operata d’urgenza.
Tutto bene.
Peter solo, nella sua camera.
Io assatanata come sempre.
E quando mi sarebbe ricapitata una tale situazione?
Entro nella camera di Peter, nuda, lui è sul letto, senza nulla addosso, come mi vede strabuzza gli occhi ma nel contempo alza immediatamente il suo poderoso pinnacolo, io non mi tolgo nemmeno le scarpe, mi ci metto a cavallo e mi ci impalo senza dargli nemmeno il tempo di accorgersene.
Lui mi accoglie come un vero gentiluomo.
Capisce di cosa ho bisogno e non vuole negarmela.
Mi afferra per le chiappe e dirige la cavalcata.
Eccitata come ero, ho subito un orgasmo.
Mi fermo un momento.
Lui è paziente, aspetta che mi riprenda, il ché accade rapidamente, e poi da una di quelle scovolate al mio caminetto che me la farà ricordare per tutta la vita.
Prima di salutarmi, mi lascia un delizioso ricordo, irrorando dolcemente ogni piega della mia vagina e ripassandoci più volte la sua grossa cappella affinché non ne rimanga priva una sola grinza.
E’ anche generoso, Peter.
Finora non ha detto una parola.
Mi spinge giù, delicatamente, mi guarda sorridendo.
Mi carezza tra le gambe.
‘Che topa meravigliosa, Maureen, una vera fica d’oro! Un magnifico scrigno. Vuoi riporci il mio scettro?’
Anche lui! Allora è vero.
Anche per lui sono’d’oro.
Ma certo che puoi riporci il tuo vibrante scettro.
Lui, però, non ha bisogno di consenso.
E’ già tra le mie game, le divarica, poggia lo scettro all’apertura dello scrigno e lo immerge fin quando non tocca il fondo.
Il fondo lo deve attrarre, perché ogni volta che fa finta di uscire torna indietro, rientra.
E così, all’infinito.
Io sobbalzo, gli artiglio i fianchi.
Cerca le mie labbra, la mia bocca, vi immerge la sua linguona, e così sono piena sopra e sotto.
Questa sì è una scopata appagante.
Ho appena il tempo per chiedergli se posso ancora contare sulle sue attenzioni, che lui riprende a pompare.
‘Ti scoperò fin quando non si consuma, Maureen.’
‘E’Iris?’
‘Non ti preoccupare, ce n’è per tutte.’
‘Non temi che se ne accorga?’
‘Non temo nulla’ dai’ che sei una insuperabile bang!’
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