Curiosità, desiderio di sapere, di conoscere, ma per molti ero, e sono, solo indiscreta, importuna, ficcanaso, in una parola ‘impicciona’. Questa la mia principale caratteristica, da alcuni detta ‘difetto’, ed é la ragione per quale non sono poche le volte in cui mi si dice: ‘ma fatte ‘na padellata de cazzi tua!’
Come potete notare, un modo’ gentile e sbrigativo.
E’ proprio di quei ‘cosi’, degli organi sessuali maschili, insomma dei ‘cazzi’, che voglio accennare e della curiosità ad essi connessa.
Dopo aver letto riviste e articoli in tutte le lingue che conosco, che sono pochissime, mi sono chiesta: come sono? come dovrebbero essere?
Alla curiosità adolescenziale, certamente pruriginosa e stuzzicante, si è aggiunta quella di ‘prossima fruitrice’ divenuta ossessiva all’avvicinarsi del momento fatidico. Certo che ci vuole l’amore alla base di tutto, ma il sesso è parte determinante in esso. Non volevo, del resto, affidarmi alle sole esperienza materiali perché ‘farlo’ senza amore non mi avrebbe consentito di accertare la effettiva adeguatezza e idoneità dell” utensile alle mie esigenze’ morfologiche, oltre che emotive e sentimentali. Insomma, quale era la dimensione ‘ideale’ di ‘lui’ considerato che, leggendo il rapporto Kinsey, il mio apparato uro-genitale era in perfetta media?
Se questa è stupida curiosità, allora quali sono i c…i miei?
La ginecologa mi aveva misurato tutto con massima cura e attenzione, e l’aveva anche scritto l’esito dell’E.O., che sarebbe, poi, l’Esame Obiettivo.
Altezza 165 centimetri, peso 58 chili, petto, vita fianchi, tutto in proporzione, e misurò perfino la lunghezza della mia vagina, in stato di quiete poco più di 7 centimetri, e anche dopo essermi eccitata titillando il mio clitoride, anch’esso misurato, in questo caso la mia ‘passerina’ s’allungava fino a più di dieci centimetri.
Mentre mi rivestivo, la ginecologa mi disse che la vagina è elasticissima, tanto vero che nella stessa vagina toccano il fondo tanto un pene da 16 centimetri quanto una da 20.
Concluse che ero l’ideale per un uomo nella media. Tirò fuori tabelle e lesse: la media di ‘lui’ è una lunghezza di 15,2 centimetri e una circonferenza di 9,5.
Presi il foglietto e me ne andai. Sapevo come comportarmi.
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Ecco che, quando mi accorsi che Carlo sembrava proprio il mio tipo, dovevo verificare alcuni particolari non accertabili in un incontro al bar o in una passeggiata quasi sentimentale.
Un bel ragazzo, certo, alto uno e ottantacinque, un palmo più di me, con un fisico prestante, armonico. Ero andata appositamente a vederlo giocare a tennis. Ma’ per il resto?
Mi dette lui l’occasione per poter appagare la mia curiosità. Mi invitò a vedere un film a casa sua, un nuovo DVD proiettato dal suo home-theatre che a suo dire era spettacolare.
Mi presentai vestita un po’ come una educanda: gonna nera, abbastanza lunga, a pieghe, blusa celestino-chiaro, allacciata in vita.
Carlo mi accolse affettuosamente, mi condusse nella stanza multiuso, dove c’era un divano letto, scrivania, il suo PC, complesso HiFi, e questo tanto decantato home-theatre.
Mi offrì coca e salatini, e c’era anche del pop-corn.
Sedemmo sul comodissimo divano, mise in moto l’aggeggio, e mi cinse le spalle, accostandomi a lui, mentre, con fare distratto e da gattamorta, la sua mano, controllava dimensione e consistenza di una mia tetta e del capezzolo che s’era subito inturgidito. Niente male, di riflesso anche tra le mie gambe qualcosa pulsava.
Mentre sullo schermo apparivano delle immagini, ma non ricordo nulla intenta com’ero a seguire le sue manovre, con altrettanta nonchalance avevo poggiato il mio avambraccio sul suo ‘malloppo’ che reagì prontamente aumentando di volume.
Mi guardai intorno, sulla scrivania c’era un righello centimetrato. Premendo l’avambraccio e guardando il righello mi feci una certa idea della dimensione, ma era una cosa troppo vaga.
Carlo cominciò a sbaciucchiarmi e poi a baciarmi, con foga, con la sua linguina che frugava nella mia bocca, e le mani che non lasciano inesplorato un centimetro del mio corpo. In fondo, era piacevolissimo, ed io ne profittai per agguantarglielo saldamente, poi cercai di armeggiare con la zip. Lui mi guardò per un attimo e poi lasciò fare, attendendosi chissà cosa. Io, invece, una volta riuscita a tirarglielo fuori del tutto, mentre con una mano lo tenevo ben in’ pugno, con l’altra mi allungai a prendere il righello. Fu cosa di un attimo: 17,8!
Intanto, lo stringevo per cercare di comprenderne la circonferenza. Ne riportai una pallida idea.
Glielo rimisi delicatamente ma con grande difficoltà nei pantaloni.
Lui spalancò gli occhi.
‘Scusa, Giovanna, ma non ti capisco proprio’ ma che fai’ lo misuri?’
Annuii, senza parlare.
‘Dagli un bacetto, almeno.’
Mi venne un’idea’geniale.
Presi il mio fazzolettino, glielo ritirai fuori e mentre mi chinavo per sfiorarlo con le mie labbra, presi le esatte misure della circonferenza col mio fazzoletto. Quando controllai risultarono di 12 centimetri esatti. Ottima media!
Mi rialzai presto, cercai di rimettere tutto a posto. Ma Carlo era letteralmente partito, la sua mano s’era infilata nelle mie mutandine e frugava deliziosamente. Le sue dita’
Mi avvicinai al suo orecchio.
‘Fa piano’ fa piano’ non infilare le dita dentro’ attento a non rompere nulla”
Mi fissò quasi spaventato.
‘Sei vergine?’
‘Si. Ma carezzami, non fermarti”
Per invogliarlo gli ritirai fuori il pene e cominciai a carezzarlo, sempre più in fretta, e mentre io sentivo invadermi da una sensazione paradisiaca, lui afferrò qualcosa, sul divano, e la mise prontamente sul glande dal quale stava sgorgando una crema calda e appicicosa.
Mi trovavo bene con Carlo, mi piaceva e mi faceva godere al solo tocco delle sue dita. Del resto lo sapevo che ero, e sono, una ‘clitoridea’.
Superata la fase ‘razionale’,si doveva procedere oltre, ma prima dovevo sapere se per Carlo sarebbe stata ‘una botta e via’, evento che non prendevo in considerazione’ od altro. Cosa? Ma stare insieme tutta la vita. La reciproca dotazione era OK, da parte mia il coinvolgimento erotico-sentimentale-emotivo andava rapidamente aumentando, quindi’
Quella volta troncai lì tutto e me ne andai.
L’indomani mi telefonò, volle rivedermi subito.
Mi disse che mi voleva bene, mi amava, mi desiderava.
‘Si Carlo, ma avrai capito che non sono per gli ‘esperimenti’, altrimenti non sarei ancora ‘illibata’ per usare una espressione cretina. Non sono in cerca di un maschio con cui scopicchiare, così, tanto per farlo”
‘E se fosse per sempre?’
Ci guardammo come due cretini, e ci ritrovammo abbracciati in un bacio più voluttuoso d’un amplesso.
A proposito. Quello, o meglio, quelli, gli amplessi, vennero dopo, innumerevoli, instancabili, perché siamo proprio l’uno per l’altra e viceversa, tanto vero che dalla prima volta sono trascorsi venticinque anni, e in mezzo ci sono le nozze e un figlio, Claudio, che adesso ha quasi diciannove anni. Non è alto come il padre, no, è 175 centimetri, ma ha un corpo statuario e un carattere simpaticissimo.
Sono sempre curiosa di conoscerlo meglio: sapere come è, cosa fa, con chi va, cosa pensa. Si anche cosa pensa. E lui non lo sa, ma io per un certo periodo ho letto il suo diario, da appena lo ha cominciato, dopo le medie. Non ho potuto più farlo da quando, dopo un anno, ha acquistato degli speciali quaderni, con copertine rigide, resistenti, e chiusura a combinazione. Sono tutti intitolati, da lui ovviamente, ‘SCROM’, che va a capire cosa significa. Più volte sono stata sul punto di chiedergli il mistero di quella intestazione, ma lui, allora, avrebbe capito che spiavo tra le sue cose.
Nelle pagine che avevo potuto scorrere, c’erano infinite impressioni, e parlava anche delle problematiche del suo primo avvicinamento al sesso. Il padre lo considerava un ‘gran buon uomo’. Mamma ‘diceva- è bellissima, dolcissima, e vorrei poterla sposare per trascorrere con lei tutta la vita. Mi intenerivano, quelle espressioni, e gli davo qualche carezza in più, qualche bacio in più, proprio per gratitudine di quanto diceva di me. Peccato che non possa più sapere, ora, come mi considera.
Certo, che per una curiosa come me non poter leggere quei diari è un vero e proprio tormento.
Comunque, ero orgogliosissima di quel ragazzone. Per me bello come un Nume, e molto attraente.
All’improvviso, scattò la curiosità.
Dunque, mi chiesi, se Carlo è alto 185, lo ha lungo, quando è ben eretto, 17,8, con una circonferenza di 12, cioè un diametro di 3,82, misure perfette per la mia sempre affamata ‘passerina’ che quel manganello rimpinza così spesso e deliziosamente, Dario che è meno alto del padre di 10 centimetri, cioè del 5,40%, aveva tutto ridotto in proporzione? In tale case le misure del ‘suo’ sarebbero dovute essere, 16,8 per 11,35 di circonferenza.
Corsi a consultare la tabella del rapporto Kinsey. Era in media. Comunque per una femmina che avesse le mie misure ‘sessuali’ ce n’era in abbondanza.
Strano pensiero il mio, di una donna di quasi 45 anni, con tanto di marito e pienamente appagata nei sensi. Mettersi a pensare se l’attrezzatura riproduttiva del figlio fosse o meno idonea a soddisfare sessualmente una femmina. Già, perché io facevo tutto riferendomi a me! Mi venne da ridere.
Ma non tanto, infine, perché nella mia curiosità c’era più o meno inconsciamente la domanda se il mio Dario sarebbe stato in grado di contentarmi come femmina.
Dario come maschio! Questa si che era bella! Però, quella sera, prima di infilare la camicia da notte, rimasi a lungo a guardarmi allo specchio, e mi compiacqui con me stessa, perché tutto era abbastanza piacevole, ancora ben conservato e, tra l’altro, tutto pieno di vita e di ‘. desiderio.
A letto, mentre ero intenta a una delle mie frenetiche cavalcate, deliziosamente impalata sul voluttuoso manganello vivo e pulsante di mio marito, in attesa di raggiungere il settimo cielo, mi venne da chiedermi se sarebbe stata la stessa cosa qualora nel mio grembo ci fosse un ‘coso’ delle dimensioni di quello che io avevo assegnato a Dario.
Forse sì, perché pensando a ‘quelle’ misure e quindi al mio bambino, venni improvvisamente travolta da un orgasmo veramente eccezionale. Tanto che Carlo mi strinse a sé, quando mi riversai su lui, mi agguantò le chiappe, mi invase col suo nettare vitale, e mi disse cosa facevo per essere sempre più ardente. Gli sorrisi, e lo strizzai voluttuosamente in me.
Comunque, quei pensieri, la curiosità, la strana reazione, durante l’amplesso con Carlo, al solo pensiero di Dario, mi impensierirono.
Quando al mattino, in cucina, entrò Dario per la colazione, lo guardai sotto un diverso aspetto. Il suo abbraccio, come al solito impetuoso e vigoroso, la sua stretta, il suo bacio sulla guancia, vicinissimo alle labbra, le mie tette sul suo petto, le sue mani sui miei fianchi’ insomma’ tutto aveva un’espressione differente dalle altre volte, c’era qualcosa di indefinibile, un senso di fisicità, sensualità che fino ad allora non avevo percepito. Mi sembrò che in quella stretta, in quelle pacche fino a quel momento ritenute solo innocentemente affettuose, ci fosse un messaggio che solo ora stavo riuscendo a decifrare. Dario era seduto al tavolino, stava mangiando, lo guardai di sottecchi. Seguiva, furtivamente, ogni mio movimento.
Mi venni in mente che forse c’era un modo per accertarmi se mi stava osservando. Mi misi di fronte alla credenza, dove c’era un lungo specchio, lui poteva vedermi riflessa in esso. Sbottonai la camicia da notte che avevo sotto la vestaglia, tirai fuori quasi del tutto una tetta e la guardai allo specchio.
Vidi gli occhi di Dario strabuzzare, e sentii che tossiva, come se gli fosse andata qualcosa per traverso.
Rimisi tutto a posto, mi voltai.
‘Cosa ti succede, caro?’
‘Niente’ niente’ un po’ di biscotto”
Mi avvicinai a lui, mi chinai per osservarlo meglio, il bottone non era stato riallacciato. I suoi occhi frugavano nella scollatura. I miei corsero tra le sue gambe. Non era il normale rigonfio di sempre, ma molto di più.
‘Bevi un po’ di latte, tesoro, manda giù il boccone. Quando ti allattavo se ti capitava di mandare qualcosa per traverso ti attaccavo subito al seno.’
‘E mi passava?’
‘Certo che ti passava.’
Mi sorrise.
‘Hai delle tette miracolose, mamma, lo sapevo.’
Gli detti un buffetto affettuoso e uscii dalla cucina.
Rimasi a lungo seduta alla mia toletta. Ero agitata.
La mia maledetta curiosità mi aveva condotto a pensieri contorti, tormentosi. Ero ossessionata, inoltre, dalla frenesia di conoscere cosa mai scrivesse Dario in quei suoi quaderni, gli ‘Scrom’. Parlava anche di me? E in che termini? C’era stato uno sviluppo, una evoluzione nel suo pensiero da quando aveva scritto: ‘Mamma è bellissima, dolcissima, e vorrei poterla sposare per trascorrere con lei tutta la vita.’? E cosa intendeva, allora, e ancora adesso posto che confermasse quel suo proposito, per ‘sposare’?
Mi venne in mente, improvvisamente, il titolo di un romanzo e di un film, anche se la trama del libro di Stone Irving e la pellicola nulla avessero a che fare con la mia pena. ‘The Agony and the Ecstasy’, il Tormento e l’Estasi!
Era quella parola, ‘agony’, che mi affascinava. Per me voleva dire tutto, ogni genere di tormento, primo tra tutto quello del dubbio, ma v’era qualcosa di più morbosamente sottile: agonia, momento in cui spesso dalla gola esce un respiro affannoso, un gemito’ come quello che precede l’orgasmo! Orgasmo, estasi’ Ecco la mia tortuosità mentale!
Cercai di tornare alla realtà. Ci riuscii a fatica e non del tutto.
Quando Dario uscì andai nella sua camera, per rimettere un po’ d’ordine. Sul piano della scrivania, chiuso con quella dannata serratura a combinazione, il suo diario: ‘Scrom’.
Quando tornò, per il pranzo, con aria innocente, nascondendo la mia curiosità, gli chiesi cosa volesse dire quella parola, ‘Scrom’.
Divenne rosso in volto, ma seppe rispondere subito.
‘Niente, ma’, una civetteria presuntuosa della prima pubertà, mania di mischiare le lingue, ‘Scrom’, nella nostra fantasia di ragazzi doveva significare ‘scritti on moments’, momenti di vita quotidiana.’
Si avvicinò e mi abbracciò forte, più forte delle altre volte, e mi baciò sugli occhi.
Non mi convinceva quella spiegazione, anche pensando all’improvviso rossore del suo viso.
L’indomani, a scuola, ne parlai con Connie, la collega che insegnava inglese una simpatica e disinibita italo-newyorkese, la più allegra di tutti.
‘Perché’ ‘mi chiese- ‘dove lo hai letto?’
‘Su una rivista americana, sfogliata dal parrucchiere.’
‘Si vede che tu non navighi in internet, altrimenti sapresti che un affollato sito è proprio ‘scrom’.’
‘Va bene, ma cosa significa?’
Mi sorrise furbescamente.
‘Ma tu con un figlio come Dario e i suoi amici, e col fisico che ti ritrovi lo dovresti sapere.’
Mi stavo spazientendo.
‘E invece non lo so, Connie, me lo vuoi dire o no?’
‘E’ un sito che ospita racconti e foto, come dire, erotici, tutti con lo stesso tema: la mamma! Perchè ‘scrom’ è tratto da screwable-mom. Alla lettera, mamma scopabile, ‘bona’, da letto.!’
La guardai sbalordita.
Inutile, decisi subito, Dario mi doveva chiarire la cosa.
Ero agitata, turbata, non me la sentivo proprio di fare lezione, in quel momento.
Entrai in classe che sentivo di vacillare, sedetti alla cattedra, e pregai gli alunni, maschi e femmine, di scusarmi, e di svolgere un tema sull’ultimo argomento di letteratura italiana che avevamo trattato. Un breve saggio. Potevano anche consultare i libri, e scambiarsi delle idee. Per favore, però, sottovoce, molto sottovoce.
Durante l’intervallo telefonai a Carlo. Avevo bisogno di non restare sola, a pranzo.
Mi rispose che sarebbe stato, come sempre, felicissimo di essere insieme, ma che era sul punto di chiamarmi per informarmi che era in improvvisa partenza per Milano, sarebbe tornato l’indomani, nel pomeriggio.
Mi sentivo perduta.
Dario restava all’università fino a quasi l’ora di cena.
Mangiai un tramezzino, al bar, una spremuta d’arancia.
Bighellonai un po’ per la strada, tornai a casa, mi cambiai, andai nella camera di Dario, ma quell’odioso quaderno non c’era sulla scrivania, e il cassetto di centro era chiuso a chiave.
Tornai nella mia camera. Sentivo la necessità di rilassarmi. Di solito facevo la doccia, ma quella volta preparai il bagno, con molti sali profumati. Mi immersi pigramente, sfogliai una rivista che avevo portato con me. Indugiai a lungo. Mi asciugai, sistemai i capelli, un lievissimo tocco di trucco.
Controllai se ci fosse tutto per la cena.
C’era del roast-beef, julienne di verdure, macedonia di frutta. Non mancava nulla.
Guardai l’orologio. Era quasi ora che Dario rientrasse.
Trillò il telefono. Carlo mi assicurò che andava tutto bene, mi augurò buona cena, e buona notte, aggiungendo che l’indomani avrebbe provveduto a ‘. conguagliare l’assenza.
Sentii aprirsi la porta di casa, richiudersi. La voce di Dario.
‘Ciao ma’, dove sei?’
‘In salotto.’
Venne ad abbracciarmi, a baciarmi, sugli occhi e quasi sulle labbra.
‘Ma’, vado a cambiarmi e a fare una doccia.’
‘OK, poi vieni qui così facciamo quattro chiacchiere.
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Mi raggiunse dopo pochi minuti, allegro, fresco dopo la doccia, vivace e scherzoso come sempre. Indossava shorts e una polo; sandali. Venne a sedere al mio fianco, mi abbracciò a suo modo, con un braccio sul mio petto.
‘La mia bella mamma!’
Gli sorrisi, cercando di non far sprizzare dagli occhi tutta la mia felicità a sentirlo così vicino a me.
‘Forse, Dario, più esatto dire ‘la mia vecchia mamma’! Sono ben quarantacinque, tesoro!’
Mi strinse ancora a lui, mi baciò sul collo, di fianco, sulla gola.
‘Ma che dici, mammina, sei bellissima.’
‘Si, lo dicevi quando eri bambino, e aggiungevi che volevi sposarmi per stare con me tutta la vita.’
Sorrise compiaciuto. Seguitò a tenermi stretta a lui.
‘Sono sempre stato un intenditore, in materia di mamme!’
Fu quasi con cattiveria che mi avviai sulla strada che avevo stabilito di percorrere.
‘E’ mi sposeresti ancora?’
‘Certo, mammetta.’
E ancora bacetti. Era il momento dell’affondo, del colpo decisivo.
‘Quindi, Dario, mi consideri ‘screwable’!’
Sobbalzò, mi lasciò di botto, si rizzò sulla persona. Mi fissò turbato, allarmato.
‘Come?’
‘Hai capito benissimo, ragazzo mio, ‘screwable’, una ‘scrom’, insomma!’
Rimase perplesso per qualche istante, mordendosi il labbro inferiore. Poi pose le mani sulle mie spalle, mi fece voltare verso lui, mi fissò negli occhi, nei quali c’era un bagliore che non gli conoscevo. La sua voce era un po’ roca, e quasi dura.
‘Sei ‘screwabilissima’ mom, infinitamente e incantevolmente ‘screwable’; sei il sexappeal personificato, hai una seduzione immensa, fascino, carica erotica, sensualità’!’
Ero travolta, sommersa, da quel diluvio di parole, ero sorpresa da quella imprevista e inattesa risposta, lo guardavo senza sapere cosa dire. Non so se il mio volto esprimesse meraviglia, sbigottimento, oppure, involontariamente, compiacimento, soddisfazione, lusinga. Ero paralizzata.
Dario mi prese il viso tra le mani.
‘Sei splendida, ma’!’
Avvicinò il suo volto al mio, mi baciò dolcemente sugli occhi’. Poi sulla bocca’ con forza’ con ardore’
Non riuscii a controllarmi, lo abbracciai, impetuosa, dischiusi le labbra’ sentii la sua lingua’ roba da morire di piacere’
Sentii le sue mani, frenetiche, che mi aprivano la vestaglia, s’infilavano dentro, nel reggiseno, prendevano una tetta, la tiravano fuori, con dolce violenza, e si precipitò a ciucciare il mio capezzolo, con foga, sempre più golosamente’
Non riuscivo a star ferma, vibravo come una foglia al vento’
Si staccò un momento’
‘Tette miracolose, ma”’
Ero esaltata all’inverosimile, eccitata, in preda a un’iressistibile smania sessuale, come mai m’era capitato, irrefrenabile e impaziente bramosia della mia carne, del mio sesso, della mia vagina furiosamente implorante di essere penetrata, invasa’
Allungai la mano tra le gambe di Dario, ne sentivo la sua erezione. La tensione rendeva impacciati i miei movimenti’
Dario, intanto, aveva del tutto aperta la mia vestaglia che era caduta sul pavimento, e slacciato il reggiseno, ci mise poco ad abbassarmi, quasi lacerandolo, il mio leggero slip, la sua mano mi carezzava, palpava, mi aveva dolcemente spinta sul divano, col bacino sulla sponda, le gambe aperte. Lui era di fronte a me, nudo, con una incantevole espressione di desiderio nel volto. Si avvicinò, in silenzio, prese le mie caviglie, le alzò, le poggiò sulle sue spalle, si accostò ancora di più, sentii qualcosa di caldo, pulsante, di enorme che si avvicinava alla mia rorida e fremente vagina, spingeva, la dilatava, e vi si introduceva, gigantesco e maestoso, fino a toccarne il fondo.
Cominciò lentamente, poi sempre più in fretta, mentre io sentivo le convulsioni del mio grembo, le contrazioni della vagina che lo stava mungendo golosamente, voluttuosamente’
Ecco’ ecco’ l’estasi’ il gemito del piacere, lo sconvolgimento dell’orgasmo, i sobbalzi travolgenti, la sua spinta prepotente, e poi’ dopo un attimo’ la meravigliosa invasione del suo balsamo che si spandeva in me. Eccezionale, incantevole, fantastico. Mi sembrava vivere un sogno, perché tanto piacere era irraggiungibile nella realtà.
Era profondamente in me, abbassai le gambe, carezzando il suo corpo con esse, le intrecciai dietro la sua schiena, lo attirai a me, su me.
Mi accorgevo che, ancora respirando affannosamente, muovevo lentamente la testa a sinistra e destra, per manifestare la mia incredulità. Non riuscivo a credere a ciò che era accaduto, e al come. Tutto improvvisamente. Come se una diga avesse ceduto, di schianto, lasciando libere le incontrollabili e irrefrenabili forze della natura. Una vera e propria esplosione dei sensi, della sensualità, sessualità, concupiscenza!
Era riverso su me, e non mi guardava.
Lo sentivo. Lo sentivo. Era ancora rigido, duro, vigoroso, resistente. Come se nulla avesse compiuto.
Tra l’altro, pur nel particolare momento, nell’ebbrezza che mi estasiava, pensai alle dimensioni del sesso che era entrato in me, e ancora mi invadeva voluttuosamente.
Era certamente il più grosso che conoscessi. E mi venne da ridere, con quel ‘conoscessi’. Fino a quel momento solo Carlo era il maschio col quale avessi avuto rapporti sessuali.
Quello che era in me, però, era l’ideale e giusto complemento indispensabile al mio eros, perfettamente rispondente alle mie esigenze sessuali. Quella era l’altra metà del mio cielo! La ‘giusta misura’.
‘Misura’, ecco, questo era la chiave di tutto. Conoscere la ‘misura’ di Dario, compararla con quella di Carlo, e stabilirne la percentuale.
Sì, ma come fare. Potevo chiedere a Dario di farselo misurare?
Intanto, lui cominciava a darsi da fare di nuovo, ed io mi sorpresi a stringerlo sempre più a me, con le gambe, e ad alzare e abbassare il bacino, dolcemente. Avida, smaniosa, ancora affamata!
Era veramente splendido il suo modo di entrare e uscire in me, con movimenti lenti e lunghi. Era un attimo di attesa spasmodica quello che intercorreva da quando il suo glande era quasi all’orificio della mia vagina, a quando riprendeva la trionfale avanzata fino a baciarne il fondo. Rabbrividivo, avevo la pelle d’oca, fremevo. Stavo godendo! Sentivo che l’orgasmo mi stava portando al settimo cielo. Oddio’. Oddio’. Era bellissimo’ Gemevo, non riuscivo a controllarmi’
‘Oddio’. Dario’ Dario’ Darioooooooooooooooooo!’
E sentii di nuovo il calore eccitante e nel contempo placante, appagante, che si spargeva in me.
Sì, pensavo, si può morire d’amore!
Era su me, dolcissimo peso. Quasi immobile. Respiravamo ancora con un po’ di affanno. Poi, come sempre, prevalse la natura e sentii che lentamente sgusciava da me, quasi del tutto.
Mi guardò come rapito, stordito. Mi sorrise debolmente.
‘Mamma!’
Non potrò mai dimenticare come lo pronunciò: invocazione, gratitudine, ammirazione, dolcezza, passione, desiderio, appagamento, completezza, magnificazione di quell’imprevisto ma certamente fantasticato momento.
‘Tesoro!’
Si alzò lentamente.
In piedi, di fronte a me. Io ero ancora scompostamente sdraiata sul divano, con le gambe larghe, i talloni sul pavimento, e la traccia della nostra voluttà che andava piano piano distillando dal mio grembo.
Ebbi come un lampo, una intuizione.
Mi levai, anche se a fatica, raccattai la vestaglia, la indossai alla meno peggio, afferrai il fallo di Dario, appicicaticcio e quasi del tutto svigorito, e mi avviai al bagno. Feci entrare quel bellissimo ragazzo sotto la doccia tiepida, lo lavai accuratamente, incurante che mi bagnassi o meno, ponendo particolare cura al su sesso; carezzandolo, abbassando e alzando la pelle del glande, finchè sentii che stava riprendendo pieno vigore, anzi pienissimo. Allora, con l’asciugamano, partendo da un angolo, lo misurai e presi nota della lunghezza incidendo con l’unghia, e altrettanto feci per la circonferenza. Cambiai asciugamano, Seguitai ad asciugarlo, lo aiutai a indossare l’accappatoio.
‘Tesoro, la mamma fa una doccia e va a preparare la cena.’
Mi guardò con gli occhi lucidi.
‘Si, ma” e dopo?’
‘Dopo, amore, saremo stanchi’ sarà bene andare subito a letto”
Mi fissò ansioso.
‘A letto?’
‘Certo, bambino mio’ non vorrai lasciare sola la tua mammina, no?’
Il suo voltò s’illuminò, raggiante. Mi prese il volto tra le mani e mi baciò con foga mentre il suo ‘coso’ si strofinava sulla mia pancia.
Si allontanò mal volentieri.
Quando fui sola ripresi l’asciugamano coi segni.
Misurai’ rimisurai’ Avevo preso lunghezza e circonferenza con estrema precisione. I segni erano chiaramente visibili.
Eppure era così, proprio così. Niente da fare: 16,5 e 10,8. Questo era il responso. E non c’è nulla da osservare, il fallo di Dario era in tutta la sua massima rigidità, lo avevo bel osservato, soppesato, palpeggiato.
Nonostante ciò, il piacere che mi aveva regalato era infinitamente maggiore a quello che mi procurava un rapporto con Carlo.
Aveva ragione la nostra vecchia domestica: Coso piccolo piacere grande.
Io sapevo, però, che non era quella la ragione, ma solo la consolazione per i meno dotati.
Lo sapevo.
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