Io avrei volevo chiedere e rivendicare, però senz’implorare né invocare troppo Evelina se solamente lei m’avesse potuto accogliere e ospitare per quel fine settimana, dal momento che io avevo già previsto un effetto un po’ contrapposto, contrastante e alquanto discorde. Lei era felicissima d’avermi a casa, tuttavia sapeva che io m’affliggevo e m’amareggiavo di continuo per il nuovo dirigente che c’era stato assegnato al nostro ufficio per quel recente incarico, in quanto quei pochi giorni di vacanza a dire il vero sarebbero stati poco festosi e lieti, addirittura Francesco era allegro e contento, però nessuno dei due appariva né si mostrava raggiante e tutto questo io potevo capirlo benissimo.
La grande casa colonica era fasciata dall’edera e abbracciata dalla vite, dal momento che io restavo sempre da sola per rimettere a posto i pensieri più in disordine e a distinguere chiaramente quelli da buttare sotto l’ombra di quel grande albero di castagno, adeguatamente al riparo dal sole di settembre fuori mano dalla mia vita convulsa, delirante e frenetica della metropoli. Un venerdì, infatti, appena prima di pranzare con un pretesto io ero stata nella biblioteca accanto alla mia camera per deporre un grande mazzo di rose, poiché era il dono per gli ospiti che avrei rivelato all’ora del tè. Dopo aver bevuto il caffè sotto il pergolato sono andata in camera per cambiarmi per poi uscire a leggere e ho avvertito che nella biblioteca c’era qualcuno.
Io lì dentro sentivo chiaramente conversare in modo attutito dietro la porta chiusa a chiave, naturalmente dalla mia parte, eppure si capiva molto poco, in realtà quasi niente, ciononostante qualche cosa s’intuiva, dato che s’indovinava una specie di salto nei loro pensieri. Io ho girato prudentemente la chiave, ho socchiuso la porta osservando che Evelina ringraziava Francesco, che a sua volta si beffava confuso e piuttosto incerto. Dopo d’improvviso un bacio lungo e profondo, poi un’esplosione di passione e di trasporto, con le mani impazienti e irrequiete sui quei corpi a spogliarsi l’uno con l’altro in modo accalorato ed eccitato. A questo punto quasi nudi, tutti e due si erano fermati come indugiando con gli occhi e restando in silenzio, sotto la porta il tappeto sembrava come elettrizzato, le rose donate erano lì in attesa d’essere apprezzate e considerate. Quella che io al momento intravedevo era una scena d’amore di un’incertezza stupenda, visto che io avrei voluto offrire una mano, non so bene se a lei oppure a lui. In seguito hanno incominciato a toccarsi delicatamente e dolcemente spogliandosi degli ultimi indumenti, mentre da dietro la porta io muovevo le mani sul mio corpo proprio come Francesco faceva su quello di Evelina: sul seno, sui fianchi e tra le gambe, fin tanto che lui baciandola la penetrò in piedi contro la scrivania, mentre io mi masturbavo con la stessa gradualità e l’identica lentezza.
Ben presto, però, quell’amorevolezza e quella dolcezza prontamente lasciava posto all’esaltazione decisiva e radicale sia dei sensi quanto della passione più totale, perché la flemma allo slancio e i miei compiacenti e piacevoli lamenti, si fondevano mescolandosi ulteriormente in modo omogeneo e sincrono assieme ai loro. Successivamente, difatti, non potendo più resistere, Evelina ha strillato il suo poderoso orgasmo spolmonandosi, in brevissimo tempo appresso a quello di Francesco, sicché io mi sono morsicata d’istinto le labbra per non annunciare evitando accuratamente di segnalare l’acme radicale del piacere che mi sconquassava in modo quasi bestiale e vigoroso, visto che mi scuoteva fortemente in quell’adorabile e delizioso silenzio.
In conclusione, in realtà, nessuno dei due aveva capito di chi e per chi fossero quelle le rose, ciononostante immaginare né esigere né rivendicare molto spesso è la situazione migliore, perché nemmeno io in realtà avrei saputo a chi tra i due concedere e regalare quelle rose.
A volte è così arduo, incomprensibile e problematico essere l’affezionato e il premuroso amante d’entrambi.
{Idraulico anno 1999}
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