“Come avrei potuto non esserlo? Come avrei potuto continuare a fingere di non notare quel petto dal pelo leggero spuntare dalla cerniera della tuta lasciata un…”
Erano anni che veniva a casa mia, amico di mio padre da
quando lavoravano insieme in un’altra ditta. Ed erano anni che impazzivo per il suo odore, quello del vero maschio mediterraneo.
Lo sentivo arrivare quando era ancora al cancello, che salutava mia nonna con la sua cordiale allegria. Lo sentivo camminare sul vialetto fiorito, con i raggi del sole che gli illuminavano quello splendido sorriso. E quando apriva la porta ed entrava in casa, con la sua tuta azzurra, spesso macchiata, e la cassetta degli attrezzi in mano, era come se fossi morto e qualcuno avesse spalancato la porta del paradiso. Perché lui, indubbiamente, era un angelo, ne aveva tutto il fascino, anche se per molto tempo ho creduto che fosse un diavolo tentatore, che mi istigava alla liberazione della libido primordiale insita in ogni essere umano.
In realtà , era soltanto Antonio, il trentatreenne trapanese che periodicamente chiamavamo per effettuare qualche riparazione. Segnale della parabola scarso, cavi staccati, qualche nuovo lampione da mettere lungo il vialetto del giardino. Tutte occasioni per poterlo ammmirare al meglio. Perché, e il mio pene in continua erezione potrebbe testimoniarlo, era davvero un capolavoro da ammirare. Viso sempre abbronzato, come se il sole non smettesse un attimo di baciarlo, occhi neri e intriganti, che sapevano penetrarti con un solo sguardo, capelli corti, scuri, lasciati al vento per essere spazzati via, e un fisico che Fidia non avrebbe saputo ricreare al meglio.
A volte, quando ero ancora al liceo, lo aiutavo a sistemare dei cavi o mi sedevo sul divano ad osservarlo, approfittandone per parlare con lui, che aveva sempre una bella parola per me, che aveva sempre voglia di abbracciarmi, salutarmi con affetto e con una pacca col sedere. E ogni tanto, scherzando, si chinava per strizzarmi le palle, facendomi arrossire con qualche commento su quanto fossero gonfie.
“Ma non le svuoti mai?” Amava ripetermi con quel sorriso da bello e dannato. “Prima o poi ti scoppieranno!”
Non sono mai riuscito a dirgli che avrei voluto che fosse lui a farle esplodere. Sebbene nei sogni, più volte, sia realmente accaduto.
Avevo pensato spesso a come sedurlo, girando per casa in costume d’estate e mostrando il mio fisico asciutto da ventenne, che molti uomini avevano ben saputo apprezzare, nelle nostre cavalcate furibonde. A volte, casualmente, mi aveva sorpreso mentre uscivo dalla doccia ed ero dovuto correre a ripararmi dietro il primo asciugamano, lasciandogli il tempo di intravedere il mio sedere e commentare quanto fosse sodo e liscio.
“Se ti ritrovo con il culo all’aria, la prossima volta ti scopo!” Mi aveva detto con una risata il mese scorso, prima di andarsene.
L’avevo presa come l’ennesima battuta, del resto cosa dovevo aspettarmi da un uomo sposato con due figli? Di cui una splendida bambina di sei anni, perfetta copia di un padre perfetto.
Forse avrei dovuto prevedere che nemmeno lui era tale. Avrei dovuto sapere che la perfezione non esiste, le mie esperienze passate avrebbero dovuto insegnarmelo. Insegnarmi soprattutto a non perdermi in quegli sguardi di ghiaccio, né in quei muscoli che potevano prendermi e sbattermi al muro in pochi attimi, il tempo di sentire il suo respiro affannoso sul collo. Non so neanch’io come sia successo, ma ieri l’ho sentito dentro di me. E ancora oggi non riesco a liberarmi dal suo odore, dal suo sapore.
Colpevole? Forse. Come avrei potuto non esserlo? Come avrei potuto continuare a fingere di non notare quel petto dal pelo leggero spuntare dalla cerniera della tuta lasciata un pò aperta? Forse per provocarmi. Forse per istigarmi, con un sorriso, a sfiorarlo, per poi scendere giù.
“Più giù!” Mi aveva detto, aprendo la cerniera e rivelando un paio di mutande bianche su cui eretto svettava già il suo membro.
In quel momento, credo di aver penso ogni barlume di razionalità che ancora fosse rimasto in me, avventandomi famelico sull’ambita preda, venti centimetri di felicità , che ho assaporato con passione, fino all’ultima goccia di nettare che è stillato fuori dall’odorosa cappella. Nutriente, corroborante, maschio.
“Ti avevo detto che te le avrei fatte esplodere prima o poi?” Aveva aggiunto, spingendomi in camera da letto e strappando via i miei boxer, l’unico indumento con cui lo avevo accolto in casa. Uno sputo di saliva solleticò vivace il mio buchetto, un dito, un altro e poi di nuovo il suo membro in tiro. Il suo membro dentro. Con lui che mi guardava in faccia, con quella faccia gagliarda di chi sa di sapere, di chi sa di aver sempre saputo.
Se ne va con un bacio, portandomi via il labbro inferiore, dopo avermi scaricato dentro un fiotto di seme bollente, mentre la sua mano destra, al ritmo perfetto della sua inculata, portava a termine il lavoro, svuotandomi finalmente.
“Voglio immaginarti così!” Commenta rivestendosi e osservandomi ancora steso sul letto, con il mio latte sul ventre e il suo che macchia ancora le lenzuola. “E io vorrei non lavarle mai!” Ho commentato, stupido come un liceale. Forse lo sono, forse lo sono stato, ma per una volta sono stato felice. La vita, del resto, dovrebbe servire a questo, no?
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