“Come l’avresti presa
quel giorno in cui tu stesso, anche con un solo sguardo, mi avevi detto “Ti amo”…”
Quando tornai a casa dal lavoro quel giorno trovai una lettera nella
buchetta della posta. Nome e
indirizzo stampato sulla busta. Nessun mittente. Mentre facevo le scale la aprii e cominciai a leggere.
Era un foglio pieno di parole, scritto sicuramente al pc. Era una lettera, lunghissima. Guardai prima
se ci fosse una firma, ma niente. Cominciai a leggerla incuriosito mentre aprivo la porta di casa.
“Alessandro, vieni subito a mangiare, il pranzo se no si fredda” disse mia madre appena entrato.
“Arrivo subito, vado prima un attimo in bagno”.
Volevo leggere quel che c’era scritto e inventai la scusa e non sarei uscito se non dopo averla letta
tutta:
“Ci sono cose che si possono dire e altre no. Cose che se anche si vorrebbero dire poi alla fine non
ci si riesce, forse bloccati da quel senso di razionalità che ci portiamo sotto la pelle, fa parte della
nostra natura a volte cercare di renderci invisibili e questo solo per paura di una reazione negativa.
Come l’avresti presa se io quel giorno ti avessi detto freddamente “Ti amo”. Come l’avresti presa
quel giorno in cui tu stesso, anche con un solo sguardo, mi avevi detto “Ti amo”. Ma cosa c’è poi
alla fine dietro un ti amo? Io posso sapere cosa c’è dietro a un mio “Ti amo”, ma non sono abbastanza
telepatico da entrarti nei pensieri e non posso sapere cosa ci fosse dietro al tuo. La voglia di una
carezza? Di un bacio? Di dormire con me? La voglia di fare sesso con me? Di penetrarmi, di
masturbarmi, di schizzarmi in faccia o farti schizzare in faccia? Questo io non lo so. Tu lo puoi sapere,
io no. Io posso sapere il significato di amore da me nei tuoi confronti. Posso sapere che avrei voluto
condividere la mia vita con te, con il tuo viso, con il tuo corpo, con il tuo cuore, con la tua voce, con i
tuoi occhi. Avrei voluto nutrirmi dei tuei gesti, dei tuoi sguardi, delle tue parole, del sapore della tua
pelle, delle tue labbra, del tuo cazzo, di tutto il tuo corpo. Avrei voluto. Ma non ho fatto niente perchè
cio’ accadesse, non ho tentato, non ho rischiato, non mi sono messo in gioco, non ti ho pregato, non
ti ho chiesto niente perchè avevo il terrore che tu da me niente volessi anche se quel giorno avevi
gli occhi completamente innamorati. Trovo stupida e inutile e gratuita la paura ma è di questa che ci
nutriamo noi uomini. Ed è questa che ci fa bloccare e desistere per avanzare nei nostri progetti.
E più la posta è alta e più desistiamo. Quanto avrei dato di me per averti? Quanto amore sarei riuscito
a spargere sul tuo corpo se tu me ne avessi dato la possibilità. Se io io avessi fatto in modo che tu
me ne dessi la possibiltà? La colpa è solo mia. Tu non sei colpevole di niente se non di avermi fatto
credere all’amore. L’amore che ti violenta, l’amore che ti entra dentro potente, l’amore che ti
trasforma in briciole e poi le ricompone per dare forma a un nuovo nome, l’amore che rifiutiamo
anche se è tutto quello che poi vogliamo, l’amore che ci impossessa, l’amore, quello che forse è di
più di cinque lettere messe insieme.
L’amore che ci incanta, che ci attanaglia, che ci fa attraversare anche oceani senza acqua, o volare
nei cieli dove non è necessario ci siano azzurro o nuvole. Avresti potuto essere qualcosa di tutto o
nulla di tutto questo. E per decisione mia, per mia sentenza sei diventato il nulla e il tutto. Io non
riusciro’ mai a scordare quegli occhi che mi incantarono, che mi legarono, che si impressero
indelebili nelle pieghe della mia anima, che mi si attorcigliarono attorno in una serie di nodi che
nessuno potra’ mai piu’ sciogliere. Tu quanti nodi hai legato e poi sciolto e quanti non sei riuscito a
sciogliere? Quante persone hai amato? E dico persone perchè è bene non specificare se uomini o
donne. Non importa questo. Mi interessa riconoscere il mio errore, l’errore di un codardo e chi è
codardo non raggiunge obiettivi nella vita.
Mi premerebbe sapere quanto tu abbia provato per me. Sarebbe bello se io ti avessi suscitato lo
stesso sentimento che ho avuto nei tuoi confronti, che ho ancora, che avro’ per sempre, perchè lo
sguardo degli sguardi che ti entra dentro e si conficca nel cuore non lo dimentichi, non lo cancelli,
non fai delete come per eliminare un file. Cerchi di nasconderlo, di metterlo da parte ma prima o poi
ritorna, riemerge prepotente e ti manda in subbuglio perchè ti trova privo di energie per affrontare
un ricordo che non è mai stato ricordo. E’peggio di un ricordo perchè è un ricordo che non c’è. Ma
non ci sono lacrime per alleviare questo stato, ne’ farmaci, palliativi, nè panacee.
Quello che non ho mai avuto di te è quel che mi resta di te e mi lascia vuoto e l’immaginario non mi
concede di fantasticare e di costruire scene o immagini di noi. Io mi costituisco e mi proclamo
colpevole e non c’è condanna peggiore del tuo silenzio, delle tue labbra e della tua voce che non
avro’ mai. Le parole che non ti ho detto mi bruciano dentro, sono come foglie morte che il vento
d’autunno stacca dagli alberi, sono come le gocce di pioggia che non raggiungeranno il mare e si
seccheranno per terra, sono come le nuvole che nascono e poi si dissolvono, sono come come lo
sperma eiaculato sul ventre che si secca e non feconderà mai nessuna. Ti chiedo perdono per non
aver ammesso il mio amore. Ti chiedo perdono di non essere lì accanto a te. Ti chiedo perdono
anche quando un errore così risulterà per sempre imperdonabile”
“Alessandro? Alessandrooo!! Ma stai male? é un quarto d’ora che si in bagno. Ormai il pranzo si è
freddato!” Mia madre bussando alla porta mi riportò’ alla realtà. “No mamma, adesso esco, non
preoccuparti”. Tirai l’acqua per far capire che ero andato al cesso. Piegai quel foglio che avevo in
mano e me lo misi in tasca e andai a mangiare. Non avevo molta fame, diciamo per niente.
Una lettera di questo genere e poi senza firma può fare più male di qualunque altro scritto firmato a
volte. Mi misi a pensare chi potesse essere stato l’autore.
All’inizio non uscì niente ma poi forse ricordai. Poteva essere stata solo una persona a scrivere
questo. Una cosa di tanti anni prima, ma il suo viso me lo ricordavo ancora da quanto mi piaceva.
Una persona di un’altra città, un quasi collega visto sole due o tre volte. Ma non sapevo il suo nome,
non so come lui sia riuscito a trovarmi, ad avere il mio indirizzo, a contattarmi. Io sono colpevole
quanto lui di non essermi fatto avanti quel giorno. Quanto tempo pensai a lui nel tempo.
La maggiore condanna restò la mia. Mentre mi sedetti a tavola trangugiando un bicchiere pieno di
vino rosso mi prese un brivido e il panico. Un panico totale che mi porto dentro tuttora. Quella lettera
fu come un esecuzione per me, un buco nel cuore che neanche tutto il sangue del corpo potrà mai
riempire.
Quelle parole scritte echeggieranno sempre dentro di me. Ma il particolare più agghiacciante è che
non potrò mai in alcun modo replicare a quella lettera. Non sarei mai riuscito a confessargli le parole
che non gli ho detto…
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