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Le mie calde allieve – Capitolo 8

“Rosina si infilò la tuta da jogging con movimenti impazienti…”

Le mie calde allieve – Capitolo 8

Essendo stato invitato diverse
volte per le vacanze invernali da un collega, insegnante di ginnastica, originario di quella regione, conoscevo già le località dove avremo trascorso la vacanza. Era stato lui, di fatto, che mi aveva dato alcuni indirizzi di impianti alberghieri specializzati nella ricezione di gruppi studenteschi. Un grazioso chalet, sulle sponde di un bellissimo lago.
La proprietaria che telefonicamente mi era sembrata una persona molto simpatica, ci aveva enumerato una quantità impressionante di possibili attività che si potevano fare tutte insieme a un prezzo forfettario: windsurf, canoa-kajak, tennis, minigolf, tiro con l’arco, equitazione…
C’era solo l’imbarazzo della scelta ma ci concentrammo su ciò che ci pareva essenziale per dei ragazzi di periferia: la scoperta della montagna.
L’Ostello si affacciava sul lago che dominava per qualche decina di metri e sorgeva in mezzo a pascoli verdeggianti e ripidi, un luogo ideale per la vacanza che avevamo progettato e la scarsa pericolosità dell’ambiente avrebbe permesso ai ragazzi di godere di una certa libertà.
Mentre i miei allievi si insediavano nel nuovo ambiente e andavano a studiare un po’ i dintorni, in attesa della cena, noi ci eravamo messi a preparare i programmi per la settimana.
Su mia richiesta mi furono assegnate Mariella e Samira, oltre che Gioele e Giovanni, due intrepidi ragazzetti che si succhiavano ancora il pollice e che piangevano quando si facevano male. A scuola intenerivano tutti: dal preside alle allieve più grandi e perfino i professori delle classi superiori, noti per la loro severità. Benché dotati nello sport Gioele era un centravanti notevole, un temibile cannoniere, e Giovanni un portiere fuoriclasse muscoli notevoli, avevano ancora facce da bambo lotti, lineamenti delicati e una dolcezza un po’ ambigua. Mentre la maggior parte delle ragazze più grandi si lasciavano conquistare dal loro fascino e cedevano a tutti i loro capricci, Mariella era l’unica ad averli domati.
Provava un piacere maligno a picchiarli dopo averli buttati a terra. Era una cosa che avevo già notato diverse volte: al minimo dispetto che le facevano lei ne rincorreva uno, lo buttava a terra e lo puniva senza pietà. Stranamente, i due ragazzi accettavano la legge di quella ragazza più grande di loro senza lamentarsi. Le qualità sportive di Mariella, leader femminile incontestata, non erano estranee alla cosa, ma, secondo me, in quel loro rapporto “vittima-carnefice” c’era una dimensione perversa. Tanto è vero che i due si ritrovarono inclusi nel gruppo di quella maschietta decisa, come se cercassero ulteriori punizioni. Che provassero piacere nell’essere picchiati da una ragazza? Forse, con il tempo, avremmo avuto una risposta precisa.
Intanto, per parte mia, provavo una sorta di ambigua soddisfazione nel seguire quel loro strano rapporto.
Qualcuno dei ragazzi “più grandi” si era degnato di partecipare agli stages. Gli alunni di terza, di solito, passavano un periodo difficile, durante il quale tendevano a denigrare tutto ciò che aveva a che vedere con la scuola. Erano stati i soli, d’altronde, a parlare di locali notturni, dal momento in cui erano arrivati all’hotel. Noi che ci sforzavamo di offrir loro qualcosa di nuovo giudicammo la loro richiesta fuori luogo e demmo una risposta molto evasi.
Dopo la partenza da Rosina e Sara si era un po’ appartate, civettavano con discrezione con due compagni più grandi di loro ma, al contempo, sembravano annoiarsi in loro compagnia.
Anch’esse stavano attraversando un brutto periodo dovevano il loro successo soltanto al loro aspetto fisico, perché i ragazzi, a mio avviso, perdevano tempo con quelle verginelle viziosette e non avevano la tempra sufficiente a cambiare questo stato di cose.
Le due avevano sempre qualcosa di segreto da comunicarsi e queste confessioni erano irritanti meno che le voci che correvano su Sara non fossero la pura verità. No, non c’è fumo senza arrosto e ad onor del vero, la nera e la meticcia sarebbero state un bel bocconcino! Ecco che le mie fantasie erotiche superavano di nuovo la realtà!
La prima notte fu piuttosto agitata come spesso accade in questo genere di situazioni. In seguito i ragazzi, stremati, dopo cena in genere crollavano.
Ma, quella prima sera, dovemmo fare i carabinieri nei corridoi, tra le due camerate e l’accesso alle docce. Il rumore che veniva dai dormitori mi svegliò varie volte e mi mise di cattivo umore. Scorsi Mariella e Samira che facevano le matte in mutandine e babydoll, e questo certo non mi favoriva il sonno!
Verso le tre del mattino, il silenzio parve calare in modo definitivo. Riuscii ad assopirmi per qualche minuto, ma ahimè ero attanagliato dal desiderio per le mie due pupe. Senza contare, poi, che le masturbazioni non avevano avuto su di me l’effetto calmante delle belle scopate alle quali mi ero abituato con le donne. Sognavo il culo di Samira, l’unico buco nel quale avrei potuto veramente scaricarmi. Girandomi e rigirandomi, alla ricerca di un sonno che tardava a venire, mi dissi che dovevo assolutamente incastrare quella puttanella, sfondarle la figa, altrimenti sarei diventato pazzo!
A questo punto la voglia di scopare mi tirò fuori dal letto. Senza accendere la luce, mi avviai verso le toilettes, ma dei bisbigli e l’odore di fumo mi indussero a girare in direzione delle docce. Con passi felpati, avanzai verso la stanza da bagno e vidi due figure che stavano stranamente vicine l’una all’altra.
A dispetto dell’oscurità individuai, senza troppa fatica, Rosina e Sara che stavano fumando e guardando fuori della finestra la notte stellata, Vedrai che non ci molleranno un momento sospirò Sara. Stava parlando dei professori o dei loro ragazzi?
Lo ignoravo.
«Ooh, domani tutto il giorno in giro in bicicletta, Che galera!», bisbigliò Rosina.
«Non ti preoccupare, ti massaggerò le chiappe io!».
« Porcona!»,
Poi si azzittirono. Rosina si appoggiò con i gomiti sul davanzale della finestra e Sara prese ad accarezzarle la schiena. Nel timore che tornassero a letto battei in ritirata, ma deciso però a tener d’occhio le due pollastrelle in modo da poterle spiare nella loro intimità. Non sapevo come ci sarei riuscito, ma volevo essere in prima fila ogni volta che le avessi viste sole.
Il mio intuito maschile mi spingeva a seguire tutta la faccenda da vicino.
Il primo mattino non pose gravi problemi e, alle otto, dopo la prima colazione, erano pronti a metterci in movimento. Silvia fu la prima ad andar via, seguita da nove biciclette che procedevano in modo piuttosto esitante. Barbara ed io avevamo appuntamento al rifugio per le tredici.
Era una piccola camminata per consentire al gruppo di fare un primo allenamento; si trovava su un dislivello di settecento metri e in vetta si poteva godere di una bella vista panoramica di tutta la vallata. Ci dividemmo subito dopo la partenza.
Barbara prese la via più diretta verso sud, e io mi avviai verso ovest, per raggiungere al più presto la prima fila dli creste montane, con l’intenzione di fiancheggiarla tino al punto in cui avremmo potuto ammirare dall’alto il paese. II tempo era sereno. Desideravo guardare il paesaggio con il binocolo e per questo dovevo anzitutto salire verso il punto più ripido. Mariella mi si affiancò per non abbandonarmi più. Alle mie spalle il resto del gruppo procedeva a zigzag a qualche decina di metri di distanza, Samira era tra gli ultimi, mi voltavo spesso per aspettarli e il mio sguardo si posava inevitabilmente sui begli occhi di Mariella, estasiata e orgogliosa di starmi appiccicata di continuo.
«Bambina mia! Come mi piacerebbe essere solo con te!»,
Invece di rispondermi, lei mi sorrise e si fermò con me ad attendere gli altri.
La sera l’atmosfera si rivelò eccellente. I ragazzi si raccontavano quello che avevano fatto in quella prima giornata.
Dopo cena i ragazzi si divisero tra la televisione e il gioco a carte. Mariella e Samira andarono ad accarezzare l’asino che brucava l’erba nel prato fuori dell’albergo. I ragazzi più grandi chiesero il permesso di andare a fare un giro in paese. Con mio grande stupore non furono seguiti da Rosina e da Sara, che rimasero tranquille in un angolo ad ascoltare la musica in cuffia.
Per parte mia andai ad allenarmi contro un muro dell’edificio vicino all’albergo. Era un granaio isolato e al momento inutilizzato.
L’oscurità stava calando in fretta e mi apprestavo a rientrare quando vidi Rosina e Sara che stavano avvicinandosi. Mi ritrassi subito, in preda a una viva curiosità. Avevo indovinato, fin dalla sera prima, che quelle due desideravano isolarsi e fui travolto da uno stato di eccitazione febbrile. L’occasione di rifarmi gli occhi con quelle due troppo allettante! Fece rapidamente il giro del granaio e mi ci infilai a livello del piano alto dove veniva ammucchiato il fieno.
Li mi nascosi in un angolino, in fondo al soppalco. L’assito malconcio mi avrebbe permesso di spiare attraverso i punti sconnessi quello che stava succedendo in basso. Rimasi in attesa, col fiato so speso.
Come avevo previsto le due gazzelle in cerca di isolamento fecero di li a poco il loro ingresso. Le due silhouettes si stagliarono nell’oscurità in controluce. Più che vedere riuscivo a sentirle.
Che puzza!», disse Rosina parlando forte.
Ti ci abituerai presto», rispose Sara, tirandola per una mano.
«Oh, mi fai camminare nella merda!».
«Ma non è merda, è concime!».
«Sara no, non qui!».
«Di’ un po’, non ti tirerai indietro, adesso!. »
«Sei sicura che nessuno ci abbia viste uscire ?.
«Nessuno, nessuno. Erano tutti occupati. E poi, avremo bene il diritto di fare due passi, o no? Vieni, da questa parte, qui è più pulito.»
Un silenzio inframmezzato da sospiri mi fece capire che le due ragazze si stavano baciando. Mi chinai per veder meglio. Sara aveva preso Rosina per la vita e le stava facendo un lingua in bocca.
«Sara, ho sentito un rumore!».
«Oh, ma come sei fifona! Vieni, andiamo su a vedere. Li potremo anche distenderci..
Sentii cigolare i gradini e mi ritrassi, nascondendomi nell’oscurità. Il mucchio di fieno che riuscivo a veder davanti a me sarebbe sicuramente servito da giaciglio erotico. Benissimo! Mi si prospettava un bellissimo spettacolo! Il pertugio attraverso il quale io mi ero arrampicato diffondeva una luce grigiastra sufficiente per illuminare la scena che già pregustavo.
Sara fu la prima a salire.
«È carino, qui! Vieni su, presto! Oh, sta’ attenta! L’assito è marcio!».
Rosina, più timida, fece la sua comparsa. Sara la acchiappò subito e la trascinò verso il mucchio di fieno sul quale entrambe si lasciarono cadere ridendo. Sara non perse tempo e si avventò sull’amica, con una voracità inaspettata da parte di una bellezza così raffinata come lei. Le abbassò in fretta i pantaloni e appoggiò il mento sul pube scuro della ragazza nera che protestava mollemente.
Approfittando del fatto che mi trovavo alle loro spalle, mi avvicinai ancora di più, avanzai di un metro nell’oscurità, carponi. Sara stava leccando i peli ricci di Rosina.
«Oh, Rosina, Rosina, mi fai impazzire! Come mi piace la tua figa!».
L’altra, distesa sulla schiena, si lasciò denudare passivamente. Il suo corpo muscoloso e ben fatto risaltava sul fieno chiaro. Riuscivo anche a intravvedere il bianco dei suoi occhi e, di tanto in tanto, lo scintillio dei denti, quando emetteva un grido soffocato, allargando un po’ di più le cosce.
Sara le sfilò le mutandine e le si sistemò davanti al sesso che prese a leccare dal basso in alto e a succhiare. Rosina si inarcò per offrirsi meglio, poi piegò pudicamente le ginocchia avvicinandole al seno. Si mordeva le labbra e spalancava gli occhi, sospirando rumorosamente e tremando dalla testa ai piedi.
«Saraaaa! Oooh! Che bello! Mi piace quando me lo fai! E come lo fai bene, brutta porca! Non smettere….! »
Lo schiocco delle labbra e della lingua della leccatrice riempiva il granaio. Di tanto in tanto la ragazza emetteva una sorta di grugnito nella sua fregola di divorarsi l’amica. Io immaginavo l’odore di Rosina pensando che leccarle la gatta doveva essere una cosa da delirio. Provavo l’impulso di intervenire. Mi sentivo impazzire dalla voglia…
«Girati», ordinò la vorace.
Sicuramente si erano già trastullate insieme, quelle due, perché Rosina obbedì immediatamente
e assunse la posizione più eccitante che si possa immaginare: sollevò le chiappe verso il tetto e si inarcò al massimo, aprendosi generosamente. Le sue rotondità scure e perfette luccicavano nella penombra. Vidi il volto chiaro di Sara schiacciarsi contro la figa nera, sfregarla con la punta del naso e del mento, quindi insinuarsi più in alto per poi avventarsi tra le natiche, a divorare quel piccolo buco.
Rosina fece un verso che sembrava un tubare di colombe, si agitò sollevando la testa, pronunciando parole inframmezzate da ansiti rapidi.
«Sara.. Mi sento così bene quando me lo fai. Mi sento così viziosa… Oh, mi rendi porca… viziosa…perché… perché ti ho incontrata? Perché i ragazzi non mi fanno nessun effetto quando mi toccano? Con te è talmente bello!».
Vidi la sua bocca dalle labbra grosse mordere l’aria e la sua testa agitarsi freneticamente… Immaginai il mio grosso dardo che le riempiva la bocca, mentre l’altra le leccava la figa… Mi parve di sentire le sue labbra che mi risucchiavano fino alla base, lascive, insaziabili! Oh, che martirio pativo! Ma se avessi fatto anche il minimo gesto, se avessi fatto anche la minima parola, le avrei terrorizzate…
Sara fece risalire la lingua verso l’alto dei glutei e continuò il suo viaggio sulle reni e sulla schiena. E mentre la leccava dappertutto la mordicchiava sul collo, sulla nuca, sulle spalle, la sua mano frugava dalla figa aperta all’ano, nel quale rigirava energicamente un dito.
Si infilò sotto il corpo bronzeo per andare a bere alla fonte. Rosina le si mise sopra e, sua volta, la cavalcò e si installò cavalcioni su di lei. Al contatto delle molli carni il suo appetito parve aumentare e ora era lei che succhiava e leccava le calde mucose della ragazza bianca. La vulva di Sara luccicava, i suoi umori dovevano essere più grassi che acidi.
Mmmmh!, che bocconcino da re, quelle tenere carni, sotto il nero velluto del pube. Come se la spassavano quelle due porche. Rosina teneva sollevate in aria le cosce bianche dell’altra e aveva piantato la lingua nella fenditura con la violenza di una zagaglia! Mi venne alla mente l’immagine di una bella cannibale e lo spettacolo di quella grande bocca che inghiottiva voracemente la corolla delle rosee mucose prese a tormentarmi.
Rotolarono sul fieno sempre allacciate l’una all’altra. Rosina si mise sopra l’amica, consentendomi di ammirare la snella silhouette di Sara. Aveva veramente un corpo da sogno. Se le natiche erano meno pronunciate di quelle provocanti della giovane nera, le sue mammelle erano più pesanti e puntavano sfrontatamente verso l’alto ogni volta che lei si sollevava. Sopraffatta dalla voracità di Rosina e sicuramente più eccitata e meno timorosa dell’altra, cominciò a dimenarsi tutta, gemendo. Si eresse e sfregò il bel culo sul volto dell’amica. Gli occhi chiusi, le labbra socchiuse, fu scossa a lungo da un tremito violento e da piccoli spasmi. Palpeggiava i seni di Rosina ai quali si appoggiava mentre questa ultima continuava a brucarla e a berla. Improvvisamente Sara si rimise eretta.
«Oooh, Rosina… E stato fantastico! Non mi avevi mai fatto godere tanto!».
«Si, lo so… Ma tu non mi avevi mai pisciato in bocca, brutta porca!» ribatté la ragazza pulendosi le labbra.
«Oh, perdonami! Ma era una sensazione così forte che non ce l’ho fatta a resistere!».
«Be’ non è grave, sai! Mi piace persino la tua pipì!».
Rosina si distese sulla schiena e divaricò le cosce.
«Prova su di me… Vorrei riuscire a godere come te. Non ci riesco. Prova ancora una volta…».
«È colpa tua! Ti controlli! Lo sento benissimo. Come se avessi sempre paura di qualcosa. Invece devi dimenticare tutto, lasciarti andare, sei troppo contratta…».
Guarda, guarda. Quell’osservazione di Sara l’avevo fatta io a Rosina durante le lezioni di ginnastica. La sua tensione interiore la metteva in imbarazzo, frenandola, sia quando faceva gli esercizi sia quando faceva ballo con Silvia. Effettivamente non riusciva a raggiungere uno stato totale di rilassamento.
« Preferirei che mi venissi sopra. Mi piace vederti da sotto!».
Rosina si rialzò e si accovacciò come sulla tazza del cesso. Sara strisciò sul dorso a mo’ di rettile e cominciò a leccarle la figa, sospesa sopra le sue labbra.
«Abbassati un po’. Vieni a sederti sulla mia bocca…».
L’altra allargò i piedi e il suo culo nero copri il bel volto bianco di Sara. Prendendo il ritmo necessario, cominciò a oscillare lentamente dall’alto in basso. Sara, col palmo delle mani schiacciato sulle natiche dell’amica, l’aiutava ad alzarsi e ad abbassarsi, spostando al contempo il mento per leccarle la vulva e succhiarle il clitoride. A intervalli regolari si interrompeva, per infilarle le dita ora in vagina, ora nel buco del culo.
«Rilassati, tesoro, dimentica tutto! Pensa solo alla mia bocca che ti mangia la figa! Pensa che la tua figa è fatta per questo! E pensa che io godo facendo così. Pensa che siamo due porcone….
Rosina cominciò a gemere mentre Sara ora alternava ai baci in profondità parole sconce che bisbigliava.
« Si. Lo sento che mi stai sborrando in bocca. Dai, godi, bagnati tutta. Voglio che tu mi dia tutto. Sei la mia porcella adorata. Sono io che ti ho insegnato tutto! Rilassati! Dammi tutto! Dammi!».
La sua lingua e le sue dita sfarfalleggiavano frenetiche nei punti più sensibili dell’intimità dell’altra. Nonostante avesse la bocca piena di tutte quelle carni, Sara riusciva a pronunciare ugualmente le sue viziose preghiere.
«Rosina, pisciami addosso. Pisciami dentro. Su non avere vergogna! Penso che mi piacerà! Era tanto che te lo volevo chiedere, ma non osavo. Dai, adesso, ti prego, pisciami in bocca! Ti farà bene! Su, intanto io ti succhio! Tesoro, piscia, su!».
Rosina lanciò un grido acuto e scosse violentemente la testa agitando la chioma pettinata con le treccine alla “rasta”. Mi accorsi in quel momento delle gocce lucide che bagnavano il volto di Sara.
Lei era rimasta avvitata alla figa dell’altra e ne stava bevendo l’orina.
Rosina si girò su un fianco, urlando. Sara la imitò e le cacciò le dita nella vagina per masturbarla con maggior forza. I getti di orina continuavano a schizzar fuori senza sosta. Sara, che teneva la mano dentro quella polla, sembrava voler pompare il liquido dorato. Poi entrambe si immobilizzarono per qualche secondo. La vergogna si impadronì di loro dopo quel delirio carnale. Rosina si teneva la mano sul sesso, come a volte ci si porta la mano al la bocca dopo aver detto qualcosa di sconcio, Sara, in ginocchio accanto a lei, si asciugava le dita le guance con un kleenex.
« Non ci staranno cercando?», chiese Rosina con voce languida.
«Si, adesso è meglio rientrare».
Ora entrambe parlavano con un tono diverso di voce, quasi fossero pentite di quanto era successo.
«Hai goduto?».
« Sì, è stato bello», rispose Rosina con imbarazzo.
«Ma è stata anche una cosa un po’ sporca!».
Sara rimase in silenzio.
« Sarà meglio non rientrare insieme!».
Estrasse un pacchetto di sigarette dai jeans che stavano sul fieno.
«Be’, rientra tu per prima».
« Si sta facendo buio. Non avrai paura di tornare da sola?».
Sara scrollò le spalle, espirando il fumo.
Rosina si infilò la tuta da jogging con movimenti impazienti. Prima di andar via si chinò sull’amica, che sedeva con le gambe incrociate sul mucchio di fieno.
«Mi ami sempre?».
«Stupida, credi che potrei bere la tua piscia, se non ti amassi?».
L’ombra di Rosina si dileguò nell’oscurità. Dal basso richiamò l’amica.
«Verrai alle docce stanotte?».
«Si, non temere, attenta a dove metti i piedi!».
«Beh! Sto camminando nella merda!», esclamò Rosina mentre usciva dal granaio.
Attesi qualche secondo prima di farmi vedere. Non volevo che Rosina sentisse l’urlo che Sara avrebbe lanciato avendo scorto un uomo sbucar fuori dall’oscurità. Lei continuava a fumare. Sicuramente voleva finire la sigaretta prima di andarsene.
Fissava nel muro di pietra il riquadro grigio formato dall’apertura. Nel buio il biancore del suo corpo nudo risaltava nettamente. Mio Dio, come era bella! E come si sarebbe spaventata! Cercai di assumere il tono di voce più dolce possibile.
«Sara! Sono Gianni, non aver paura, ti prego!».
Lanciando un grido stridulo lei si rotolò nel fieno, in preda al terrore.
«Sono Gianni! Sono Gianni! Non urlare!».
Si azzittì, ma rimase come paralizzata. Non riuscivo a vederla bene e sicuramente nemmeno lei riusciva a vedermi.
« Sono solo! Ero qui quando siete arrivate e sono rimasto a guardarvi nell’oscurità!».
Lei scoppiò in singhiozzi, spaventatissima al pensiero di essere stata vista. Mi avvicinai silenziosamente. Era tutta raggomitolata, con il volto nascosto tra le braccia. Sembrava inconsolabile. Le spalle erano scosse dai singhiozzi. Le infilai una mano nei capelli e l’accarezzai con dolcezza.
« Porco! Porco! Porco!», ripeteva con la voce incrinata.
«Gattina mia! Ero eccitato quanto voi! Avevo troppa voglia di guardarvi. Sei bellissima e io ti adoro!»,
«Sono una sporca puttana e voglio solo morire!».
Mi sentivo in imbarazzo, non volevo addentrarmi in lunghe spiegazioni, volevo semplicemente metterla a suo agio, rassicurarla e godermi il suo piccolo, grazioso corpo! Continuai ad accarezzarla e lei si lasciava fare. Le parlavo a bassa voce e il suo pianto si placò trasformandosi in sospiri.
«Non dirai niente?».
Le assicurai che il suo comportamento con Rosina sarebbe rimasto un segreto tra noi.
«Mio Dio! Se i miei genitori lo venissero a sapere mi ammazzerebbero !, mormoro, scoppiando, di nuovo in lacrime. La strinsi a me con forza.
«I tuoi genitori non lo sapranno mai, angelo mio ! Soltanto io sono al corrente del vostro segreto, devi avere fiducia in me. Mi piaci tanto, piccola Sara, ogni volta che vieni a darmi il bacio sulla guancia ho una voglia pazza di stringerti forte a me, lo sai?».
Le sollevai il mento per scrutarla meglio in viso. Da vicino riuscivo a distinguere i suoi lineamenti delicati. Lei alzò la testa e mi fissò con espressione imbronciata. Cercai di baciarla sulla bocca, ma girò il volto.
« Puzzo di piscia, lo sai?».
Avevo avvertito quell’odore acre fin da quando mi ero avvicinato.
«Non mi dà fastidio», ribattei con dolcezza, «Il tuo odore e quello di Rosina non mi disturbano. Può darsi che anch’io vi ami».
La rovesciai sul fieno e mi distesi sul suo corpo nudo. Aveva le labbra salate. Presi a leccarle le guance. Era così graziosa che il disgusto che doveva provare per quanto aveva fatto poco prima non riusciva a trasparire dal suo viso. Si lasciava fare, come stordita. Mi resi conto che era in uno stato di choc. Era evidente che l’eccitazione di cui era stata preda con l’amica non si sarebbe manifestata subito con me. Bisognava che prima lei si sentisse rassicurata, che si familiarizzasse all’idea di dividere con me le sue intimità carnali. Non volevo sciupare quel fiore dagli istinti velenosi, ma egualmente fragile! Gustai la sua lingua parimenti salata, assaporando il mio primo bacio odoroso di orina.
Scesi verso i capezzoli inturgiditi: erano durissimi. Quanto era diabolica l’età di quelle fanciulle dotate di attrattive che le donne mature cercano. Apprezzai la morbidezza delle sue mammelle.
Dopo che avevo baciato il suo viso striato dalle tracce lasciate dall’orina, le sue tette mi parvero
dolci come miele. Nella mia voracità sessuale mi trascinai come una lumaca verso la parte interna delle cosce.
La sua figa morbida mi commosse: sembrava fatta di soffici piume. Ritrovai l’odore acre della pipi sulle carni violacee della vulva. Passivamente lei accolse la mia lingua avida e mi offri l’orifizio della sua vagina, La distesi sul ventre. Era cosi che la volevo! Con il suo sublime culo rivolto verso la mia bocca!
Il mio membro si sfregava contro il legno putrido del soppalco mentre ficcavo la lingua nell’ano ancora bagnato dalla saliva di Rosina. Era molle. Quella porcella l’aveva lavorata proprio per benino! Mi misi a mia volta all’opera, movendo la lingua come se fosse stato un pistone. Lei sospirò e i suoi piccoli pugni artigliarono il fieno secco. Non potevo chiedere nulla di più..
Avrei dovuto ancora una volta farmi una sega…
Ero decisamente stufo di finire sempre in questo modo! Ma non c’erano altre possibilità con quelle verginelle fottute! Strofinando l’uccello contro il buco del culo e la figa le sborrai addosso, inondandole il corpo nudo. Lei udì l’urlo roco del maschio in fregola nel momento dell’eiaculazione e avvertì anche gli schizzi vischiosi che le si abbatterono sulle chiappe e sulla schiena.
«Voltati, Sara, e guardami il cazzo!».
Lei rimase immobile per qualche secondo davanti al mio membro turgido e sporco di candido sperma.
«Toccalo, sentilo, devi imparare a conoscerlo ! »
Mi sfiorò il pene con dita leggere.
«Vedi, è caldo, è morbido, è fatto per te! Assaporalo!».
Sentii le sue labbra e il calore della sua bocca.
« Puliscilo!».
Lei obbedì. Lo fece con dolcezza e quello mi parve un inizio promettente.

Disclaimer! Tutti i diritti riservati all’autore del racconto – Fatti e persone sono puramente frutto della fantasia dell’autore.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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