E’ prassi piuttosto comune nei gruppi sportivi organizzare incontri culinari, spesso pizzate, durante la stagione; vuoi che sia per il periodo natalizio, vuoi per la chiusura della stagione o per compleanni. Alcuni gruppi fissano pizzate puntualmente dopo ogni partita, ma io sono dell’idea che queste cene abbiano un valore maggiore se fatte sporadicamente, per dare enfasi all’evento, in modo che tutte partecipino, evitando la creazione di gruppetti per le sole atlete libere e vogliose di cenare fuori ogni settimana.
La stagione stava proseguendo con alti e bassi, si vinceva praticamente sempre in casa mentre in trasferta la vittoria era quasi un’utopia. Dopo l’ennesima vittoria casalinga, all’allenamento proposi che, se avessimo vinto la partita successiva in trasferta, la sera stessa saremmo andati a mangiare in una pizzeria della zona. L’occasione era ghiotta, le avversarie erano ad un solo punto da noi in classifica ed in caso di vittoria avremmo avute grosse possibilità di raggiungere i play off.
Partiamo, le ragazze con la tuta d’ordinanza; il viaggio in macchina proseguiva più silenziosamente del solito, probabilmente avevano capito l’importanza dell’incontro. La partita è stata tra le più brevi dell’annata, un 3 a 0 conclusasi a nostro favore in meno di un’ora ! La felicità delle ragazze era alle stelle, finalmente una bella vittoria anche lontano da casa ed io era pienamente soddisfatto. Come dunque promesso, la pizzata per tutti era assicurata.
Esco dalla palestra per telefonare alla pizzeria e prenotare il tavolo. Era tutto pieno al momento ma nel giro di mezz’ora si sarebbe liberata una tavolata. “Perfetto, considerando che siamo ad un quarto d’ora di strada da voi, confermo 13 persone” . Nel frattempo la gente usciva dalla palestra: i tifosi di casa si erano radunati in un angolo sul piazzale, a cui si aggiungeva il loro allenatore e dirigenti vari. Uscivano poi alcune ragazze, tutte della squadra avversaria, mentre delle mie neanche l’ombra. Stavo cominciando a preoccuparmi per l’ora e mi maledicevo per aver prenotato il tavolo così presto quando vedo uscire un paio delle mie ragazze. “Finalmente !” dico loro con aria scocciata. “Le altre arrivano ?”. “Si stanno asciugando i capelli, stai tranquillo”. Devo ammettere che le 2 ragazze in questione non avevano giocato ed erano pure rimaste con la tuta societaria. Passano altri 10 minuti e arriva un gruppetto numeroso della squadra e comprendo i tempi d’attesa: truccate, capelli ben sistemati che sembravano appena curati da una parrucchiera ed un abbigliamento molto femminile, la maggior parte con tacchi almeno da 10 cm, non volgari ma attraenti. Mancavano ancora 3 ragazze che anche il bidello della palestra stava attendendo con aria stanca ed indispettita.
“Fate con calma !” urlo alle ritardatarie appena le vedo aprire la porta d’uscita, con il resto della squadra vicine alle macchine pronte per partire. Salgo in macchina poco curante di come fossero uscite.
Ci raduniamo fuori dalla pizzeria e non posso non notare che alleno proprio delle belle ragazze. Sarà che han preso l’occasione per vestirsi “in tiro”, sarà che esce il lato femminile per alcune occasioni particolari oppure che dopo la pizzata hanno in programma altro, ma in quella serata mi sentivo ancor più responsabile verso di loro, l’unico maschio accanto ad una dozzina di ragazze che non passavano di certo inosservate e, sinceramente, ero anche orgoglioso.
Ognuna vestita con il proprio stile, un paio in tuta, un altro paio ancora un po’ infantili nei loro vestiti passati di moda, ma la maggior parte sembrava dovesse andare ad un matrimonio, contornate da tutti quei braccialetti, tacchi, trucco più o meno marcato.
Entro per primo nel locale con un sorriso a 32 denti, sapendo che al seguito sarebbero entrate 12 belle ragazze, consapevole che molti avrebbero pensato alla mia fortuna. Le lascio sedere dove preferiscono e lasciano libero il posto a capotavola. Di fianco a me Laura e Dany, 2 tra le ragazze uscite per ultime. Noto subito che, a differenza di tutte le altre compagne, spensierate e festose, Dany aveva un velo di tristezza, un sorriso forzato, un’immagine che cozzava con l’ottimo gusto che aveva avuto nel presentarsi per la serata, con un trucco lievemente marcato che risaltava il colore celeste degli occhi, un fondotinta su tutto il viso e grossi orecchini ad anello alle piccole orecchie. Stava spesso al cellulare e mentre io scambiavo battute a distanza con le altre compagne, guardavo di sotterfugio Dany mentre alternava pigiate con le dita a lanci sul tavolo dell’oggetto ormai divenuto indispensabile ad ognuno di noi.
No, non mi convinceva affatto, ma il pensiero sulla sua inquietudine lasciò spazio allo stupore quando s’alzò dal tavolo per andare a telefonare: minigonna nera, calze scure con scarpe tacco largo da 12 cm che le facevano arrivare a 1.80 d’altezza e che accompagnavano quelle gambe affusolate e leggermente muscolose. Non potei non guardare quel culetto allontanarsi dal tavolo, così ben fasciato ma che non lasciava immaginazione alla sua forma, che ben si notava. Al rientro dalla telefonata fu ancora più attraente, con la sua maglia grigio chiaro aderente e una giacchettina bianca, aperta. Risaltava in quel modo un seno più prosperoso di quanto credessi. La scarpa, nera aveva la punta con brillanti e plateau, anch’esso nero. L’ammiravo, spudoratamente, mentre si avvicinava al tavolo. Si tolse la giacca e restò con la maglietta aderente senza maniche, che lasciava intravedere un tatuaggio sulla spalla, zona deltoide. Si mordeva le labbra, risaltate da un rossetto rosso acceso e gli occhi erano tristemente umidi.
La fissavo, e fu Laura a rompere il ghiaccio. “Era lui ?” le fece con tono grave. Annuì, con gli occhi bassi. “Ti fa storie perché sei uscita con la squadra?”. Altro cenno affermativo con il capo. Attimi di silenzio e finalmente aprì bocca “Dice che sono una troia, che non devo più chiamarlo, che gli racconto balle e che se mi vede mi fa nera”. L’ultima frase mi fece salire il sangue alla testa. Odio, profondamente, atteggiamenti oppressivi e violenti, fatti da piccoli ometti incapaci di accettare d’avere una donna di pari livello al proprio fianco, con il bisogno di tenerla ad un piano inferiore a sé. “Scusa Dany, non ho capito bene ! Immagino sia il tuo ragazzo ‘sto idiota che ti ha detto questo… e soffri per una persona che si permette di dire questo?!”. Finalmente alzò lo sguardo e gli occhi erano pieni di lacrime. Guardo la compagna che sconsolatamente scuoteva la testa. “Dany, sai quanti uomini potresti avere?! Non capisco cosa vi prende quando non riuscite a tagliare con certa gente, ma se hai bisogno di sfogarti o chiedere aiuto e consigli io sono, sì, il vostro allenatore, ma anche dalla vostra parte per qualsiasi cosa. Se ti va, confidati e parlami, io ci sono”.
Questa era una frase pericolosa perché mi poneva in una situazione di spalla amichevole, che poteva essere vista come da colui che si approfittava di una situazione di debolezza ma anche aumentava la mia responsabilità e non ero ben sicuro d’essere realmente in grado eventualmente di supportarla.
La serata comunque proseguiva nel migliore dei modi e, complice Laura con la sua innata simpatia, anche Dany sembrava aver dimenticato la situazione che l’aspettava a casa. Fummo gli ultimi a lasciare il locale, baci ed abbracci tra tutti ed ognuno alla propria macchina. Non sembrava avessero seconde serate organizzate e pure io mi diressi a casa, soddisfatto per la partita e la serata. Mentre parcheggio, ricevo un whatsapp di Dany “Coach, scusa se ti scrivo ma io sono fuori dalla palestra e avrei bisogno di parlarti”.
Ammetto che, se il primo pensiero fu da persona amica e più matura per essere di conforto ad una mia atleta, il pensiero della sua bellezza evidenziata durante la serata mi riempì la mente subito dopo. L’immagine delle sue gambe velate, che lasciavano uno spazio evidente di luce tra le cosce, sembrava essere diventata un ingrandimento davanti ai miei occhi.
Scacciai quel pensiero e arrivai al parcheggio. Lì, solo la sua Smart blu.
(continua…) Le strade a quell’ora erano deserte e raggiunsi il parcheggio in breve tempo. Misi la mia macchina di fianco a quella di Dany, che mi fece cenno con la mano di salire sulla sua.
Appena entrato fui invaso da un intenso profumo di vaniglia che stordiva quasi i sensi e dava una piacevole sensazione d’essere in un ambiente sicuro. La prima cosa che vidi era un piccolo acchiappasogni appeso al finestrino e, sul cruscotto, un pacchetto di fazzoletti di carta. E poi lei, nuovamente con gli occhi umidi, segno di un pianto appena terminato, che mi accolse con un sorriso il più possibile solare, che denotava piacere per il mio arrivo.
“Grazie d’essere venuto” disse con voce tremolante; poi riprendendo un po’ fiato “avevo proprio bisogno di parlare con un maschio di cui mi fidassi”. Faceva tenerezza con quei occhi celesti bagnati e quella dolcezza nella voce. “Dany, ci mancherebbe. Faccio il possibile. Spiegami bene che c’è”.
Da quel momento sembrava si fosse appena aperta una diga e piombarono nell’abitacolo un fiume di parole incessanti, che prendevano sempre più forza man mano che mi parlava. Il suo rapporto con lui, la sua gelosia, le difficoltà che avevano a comunicare in quel periodo, il rapporto con le sue compagne, soprattutto con Laura che cercava d’esserle amica ma che non riusciva a capire fino in fondo il suo disagio. L’ascoltavo ma l’attenzione scemava man mano che proseguiva, confuso da quel mare di parole lanciate tutte in una volta. La guardavo ma lei a volte distoglieva lo sguardo, guardava fuori dal finestrino, poi per terra, poi prendeva un fazzoletto ed io che, non riuscendo ad intervenire, mi limitavo a fare smorfie per dare segni di comprensione. A volte gli occhi cadevano sulle sue gambe, poco coperte dalla sua minigonna leggermente sollevata dalla sua posizione di seduta. E l’immagine di lei in pizzeria che camminava, le sue gambe e quel corpo che semplicemente si muoveva, tornò alla mia mente. Persi alcune parole ma tornai in me fingendo d’essere pienamente attento a quanto mi stesse dicendo “…e io non voglio lasciarlo ma capisci che lui così non mi aiuta ?” e calò il silenzio per qualche secondo.
Venne il momento di dire qualcosa: “Mi sembra una situazione chiara Dany ma, innanzitutto tutto, sei giovane, hai una vita davanti a te e la cosa fondamentale è che fai scelte per il tuo bene. Se tu stai bene, anche chi ti è vicino può prendere e darti cose positive. La vita è talmente breve che non possiamo perdere momenti con chi non ci valorizza”. La mia filippica esistenziale sembrava però non fare breccia visto che vagava con gli occhi e mostrava quasi disinteresse. Si tolse la giacca, in effetti con i finestrini chiusi e per di più in una macchina così piccola, i vetri si stavano appannando e l’aria cominciava a farsi grave. Non potei non guardare il suo seno, alto e gonfio, specie quando si staccò dal sedile per prendere il pacchetto di fazzoletti, che sembrò restare appeso nell’aria.
La fissai un attimo e mi venne fuori una domanda irrazionalmente “Almeno sessualmente le cose vanno bene ?” e quella domanda riaccese la sua attenzione “Ah sì, quello va alla grande ed anzi, è uno dei motivi per cui resto con lui” non entrò nei dettagli, quelli li avrebbe probabilmente confidati alle sue amiche ma improvvisamente scoppiò a piangere. “Hey, sfogati pure, piangere spesso fa bene” e questo sembrò accentuare il suo pianto a dirotto. “Posso abbracciarti ?” non rispose alla mia domanda, si girò verso di me ed aprì le braccia. Le andai incontro, ci abbracciammo a metà strada, con i corpi distaccati e riuscendo a mettere le braccia al collo all’altro. Sentii un buon profumo di shampoo e un calore sulle spalle. Staccai leggermente il capo per darle un piccolo bacio sulla guancia ma in quel momento, pensando probabilmente che l’abbraccio fosse finito, si allontanò pure lei con il viso e il mio bacio terminò la sua corsa all’angolo della sua bocca. Una saetta d’imbarazzo, quel bacio nato con candide intenzioni cambiò il clima all’interno della macchina; ci staccammo continuando a guardarci ma lo sguardo era interrogativo per ciò che era successo e curioso di sapere cosa potesse accadere ora. I miei occhi andarono sulle sue labbra, leggermente dischiuse e risaltate dal suo rossetto, le piccole crepe sembrava solchi da riempire. Più le fissavo e più mi avvicinavo. Le vedevo sempre più nitide, grandi, attraenti.
Non so lei cosa stesse guardando e non so quale fosse il suo sguardo ma io ero fisso su quelle labbra disegnate e dal loro color rosso acceso. Inevitabilmente finii con appoggiarle sulle sue ed il contatto mi diede un forte calore in tutto il corpo, una scossa d’emozione mi percorse da capo a piedi. Un bacio con labbra aderenti, immobili, come se una ventosa c’impedisse di staccarci. Entrò nella mia bocca un leggero sapore di caffè ed ebbi una generale sensazione di stordimento. Le sue labbra sembravano perfette per le mie, assaporavo la loro morbidezza e più ero lì e più saliva la voglia di mangiarle.
Cominciai a chiudere le mie labbra e a riaprirle e lei a copiare i miei movimenti. Ricordo che una forte eccitazione salì tra le mie gambe, specie quando sentii la sua mano sulla mia coscia. Approfittai della situazione per appoggiare la mia mano destra tra le sue gambe, che furtivamente tendeva a salire su di lei. Mi fermò chiudendo forte le cosce, restando così con le dita piantate in mezzo ad esse e con il pollice sopra la coscia. Sentivo comunque un calore tra le sue gambe mentre un po’ di saliva bagnava le labbra; cercavo di muovere le dita ma la sua morsa con le gambe m’impediva alcun movimento.
Il bacio continuò, le lingue si cercarono, il mio corpo si sporgeva verso il suo fino ad appoggiarla tra sedile e finestrino. La spinta le fece perdere la forza delle gambe, che si aprirono leggermente, quanto bastò per far arrivare la punta delle mie dita a tastarle la fighetta, che sembrò già umida, nonostante fosse coperta da calze e slip. Perse il controllo di sé, aprendo decisamente le gambe e permettendomi di muovermi con più disinvoltura. Le dita scorrevano tra le sue gambe, percepivo le grandi labbra sui miei polpastrelli che spingevano con sempre più audacia. Li spinsi più sotto, tra lei ed il sedile, ed un piccolo gemito uscì dalla sua bocca; mi diressi verso il bordo delle calze, lo sollevai sentendo la morbidezza della sua pelle; mi stavo facendo spazio, arrivando a lambire il bordo degli slip quando, d’improvviso, mise la sua mano sopra la mia, scostandosi da me, chiedendomi di fermarmi “No coach, non posso” e dicendo quello abbassò lo sguardo, che cadde sui miei pantaloni gonfi che mettevano chiaramente in evidenza la mia voglia “Oh merda !” esclamò “no no, meglio smettere, sarebbe un gran casino !” e continuò ad imprecare con sé stessa, denotando la voglia di fermarsi insieme all’apprezzamento di quel momento “Andiamo a casa ?” e lì per lì colsi la domanda come il desiderio d’andare a casa mia, “Ci avrà ripensato” pensai, ma la sua successiva precisazione chiarì l’equivoco “ognuno a casa propria intendevo” disse con un leggero sorriso per stemperare il momento. “Scusami, davvero” disse con aria di pentimento “Mi stava piacendo, non pensare male. Ma no, non saprei che fare la prossima volta che ti vedo” con il viso che si colorò e con l’espressione di chi si stava tirando indietro con molta fatica. Del resto, dopo quello che mi aveva confidato in macchina, il fatto che fosse una mia atleta e che quindi non potessi forzare troppo la mano e che eravamo in un parcheggio un poco illuminato, mi portò ad acconsentire alla richiesta, che era effettivamente la cosa più sensata da fare.
Tornando a casa finii da solo il piacere di quella serata; ricordo una sega forte e piena di sperma, immaginando Dany nuda sotto di me sui sedili della sua macchina.
Non ci furono altri momenti con lei; gli allenamenti proseguirono come se niente fosse e a fine anno si trasferì per avvicinarsi all’università.
Rimane il piacevole ricordo di un’interessante ragazza, dolce ed attraente, conosciuta per un solo anno, nella speranza che abbia imparato a ad avere accanto solo chi la rispetti.
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