Barricarmi, chiudermi e trincerarmi alla vita, non innamorarmi, non interessarmi e partire senza giammai arrivare a toccare il nucleo dell’animo. Ebbene sì, perché questa era la mia percezione, il mio indizio che io rilevavo dai convogli. Io montavo su d’un capolinea qualunque e venivo giù laddove il paesaggio m’attraeva e mi conquistava, oppure quando il nome d’una località mi ricordava richiamandomi qualcosa, un non so che, qualcuno che non avevo più, un ricordo e un segno che non avvertivo né provavo né sentivo più mio. Il ricordo e il rimpianto degli affetti, delle tenerezze e della vita che avevo prima dell’incidente al cuore, prima d’essermi infatuato di Roberta, l’esemplare, l’ideale e la lodevole ragazza che s’innamora, che t’incanta e che attualmente non c’era più.
Io avevo fatto con lei il mio cammino, il mio tragitto dell’animo e del coraggio poiché l’avevo conosciuta su quel convoglio, che tempo addietro mi riportava a casa dopo tanti anni persi a girovagare e a vagabondare per il mondo, per cercarci molto probabilmente. Forse il mio istinto era di non rimanere mai fermo, può darsi che io avvertivo la necessità d’avere sotto di me dei solidi e resistenti binari che m’impedivano di perdermi. Il ferro, la solidità e la robustezza d’una costruzione che attraversava monti e nazioni, che valicava paesi in guerra, la povertà , la ricchezza e l’amore. Stazioni locali abbandonate e lasciate in disparte per il passaggio dei treni ad alta velocità , come tanti amori perduti, sciupati e presto dimenticati, come gli amori d’una notte ardenti e infuocati dei binari rimasti esposti al sole, le traversine dei cartelli usate come degli stendi biancheria nei paesini di regioni lontane e sperdute dove i convogli attraversano e fendono gli affanni, la povertà e gli stenti senza tuttavia accorgersene più di tanto.
Quei binari erano paragonabili alla vita, perché conducevano e defluivano di continuo al tempo stesso, chi può dirlo oggigiorno con accuratezza, perché se non faceva cilecca il deviatoio chiaramente forse adesso io desideravo quella facilità di farmi sopraffare da un convoglio in corsa. Talvolta ne avevo schivati tanti, agevolato e aiutato dal ‘sesto senso’, a volte però si può incontrare e sfidare uno scambio, obiettivo tale, tenuto conto che se viaggia attraverso quelle rotaie dell’esistenza nell’imparziale e appropriato senso, infine puoi cambiare strada. Io l’avevo sennonché modificata propriamente, in caso contrario mi ero fermato a una stazione in disuso, se invece percorri i binari al contrario ti ritrovi a tallonare gli scambi senza la possibilità di tornare indietro, visto che t’appare una crudele e una spettrale impressione vedere quei punti in cui la tua vita avrebbe modo d’evolvere e di migliorare, ciononostante ti rammarichi di non poterli sfruttare né utilizzare in pieno, tutto questo perché sono come le colpe e gli errori, in quanto hai la possibilità di ripensarci, ma non di modificarli, per il fatto che loro silenziosi si ripresentano. A quel tempo io supponevo d’essere come il sale, un piccolo granello di sale della vita, perché aromatizzavo e condivo la vita delle persone che incontravo rendendola appetitosa e succulenta, rimanendo impregnato e incorporato nel corpo insieme agli altri condimenti e alle altre spezie del cuore, è vero, delle volte lasciavo un po’ di desiderio in ogni donna, poi all’improvviso scoprivo che troppo sale fa male, perché è un guaio, visto che troppo sodio e troppa gioia di vivere non dura per molto tempo.
In quell’occasione scappavo e riprendevo un convoglio qualsiasi, al chiuso nel vagone dove i miei pensieri si sentivano protetti e tutelati. L’odore di rancido, d’avariato, di disinfettante, di tovaglioli per pulire le natiche ai marmocchi, di bibite cadute sui rivestimenti, di tabacco, di gomme americane da masticare attaccate sui vetri, di profumi di donna, di dopobarba maschili, d’esalazioni evaporate a causa della sudorazione, di valigie da quattro soldi, di tendaggi impolverati, di calzature insudiciate, di caffè, di tartine sbriciolate, dato che affliggevano, annientavano e annullavano ogni pensiero, giacché tutto restava concentrato nella mente, eppure ben attenuato, compattato e rinchiuso all’interno del vagone. Il convoglio si muoveva, avanzava prima lentamente, partiva, prendeva velocità e i miei pensieri erano sempre lì mischiati e uniti agli odori, bloccati, intorpiditi e messi a tacere nel cuore. Io avvertivo e coglievo addosso talmente ben appiccicato l’odore di tutti i vagoni in cui ero stato, mescolato insieme ai profumi delle donne che avevo posseduto, perché ogni convoglio, ogni luogo era allacciato a un ricordo e in special modo a un nome di donna. Dal finestrino potevo squadrare in quell’ordinata sequenza quegli arbusti carichi di frutti con il loro prelibati e sostanziosi prodotti, amabili e zuccherini alla maniera del capezzolo d’una donna, levigato e rifinito talmente bene proprio come una susina paragonabile alla lingua d’una femmina che ti sfiora il corpo, gli ulivi nodosi e temprati come il carattere energico d’una donna, però maggiormente mi era rimasto impresso l’odore di Roberta con un misto di lussuria e di puerizia, vale a dire di prima età .
Era come se lei stesse dileguandosi, dandosi alla fuga dalle afflizioni, dalle delusioni e dai fallimenti, salendo sul primo convoglio in partenza visto che lasciava amici, amori e confidenti, abbandonava e mollava i ricordi e le testimonianze comprate nei negozietti, gettava i vestiti d’un paese che non era più suo e ricominciava dal principio. Era sempre un’altra in ogni luogo dove andava, perché non aveva patria né terra, in quanto era esule e profuga di sé stessa. Lei aprì la porta dello scompartimento con uno scatto e fu l’ingresso del sentimento per entrambi, dato che ci riconoscemmo subito sull’unico convoglio che avremmo mai potuto prendere, quello del cuore per l’appunto. Un eccezionale, speciale e unica corrente d’energia percorse i nostri corpi con lo stesso moto ondulatorio del convoglio, un rollio del sentimento nello sperduto e nel recondito dell’essere e della mente, giacché a me parve pressappoco che i suoi capezzoli puntassero diritti verso il mio cuore colmi di desiderio per colpirmi all’interno. Questa era esclusivamente un’impressione, perché in fondo era unicamente un altro viandante introverso e taciturno nello scompartimento d’un convoglio, giacché erano soltanto due sconosciuti che si sarebbero tenuti compagnia per un breve periodo, però entrambi sapevamo che non era in fin dei conti così. Roberta si sedette accanto al finestrino di fronte a me, poiché i battiti del cuore seguivano l’andamento del convoglio in partenza, un breve ronzio, le carrozze che si muovevano, la velocità che aumentava di continuo. Una lunga gonna di raso rossa e stretta, una camicetta che lasciava intravedere l’attaccatura dei seni e l’ombelico con un pullover scagliato quasi per casualità sulla schiena, come per fatalità era salita su quel convoglio.
‘Perché nel bene, nell’amore si mette in atto e ci si provoca del male?’ – esclamò di botto lei, iniziando a discorrere d’improvviso cogliendomi di sorpresa, infine lei proseguì dirompente e incontenibile proprio come quel convoglio in movimento:
‘E’ come se ci si raccontasse l’anima mediante un rapporto sessuale, tuttavia in seguito non siamo in grado di gestire né il cuore né la mente’ – rispose acutamente Roberta senza bisogno di pensare. Si cerca e s’insegue l’altro per colmare sé stessi, tutto il gioco d’amore segue sempre l’identico e il medesimo andamento: gli sguardi s’incrociano, la bocca si fa arida, si sottomette il cuore, ci si confronta e poi è tutto un aprire, calare, sbottonare, sfilare, slacciare e togliere. Aprire la camicia, slacciare le braghe, sfibbiare il reggiseno, rimuovere il vestito e le calze, calare gli slip, poi le carezze, le lingue arrotolate, le sensazioni, i baci, i graffi, i morsi, i sospiri, le leccate e alla fine l’infiacchimento e la spossatezza totale. Un piacere puro e basta, tuttavia può nascere anche un sentimento, alla fine se c’è il sesso nasce sempre anche l’amore. Molti uomini temono di denudare e di scoprire che cosa vuole davvero la donna che si scopano, s’allontanano e scappano un attimo prima di spingersi oltre in sé stessi e nell’altro, perché siamo sempre pieni d’angosce, d’oppressioni e di piacere per ogni nuovo amore’.
La pelle di Roberta raccontava e rivelava amore e tenerezza, almeno di questo andare ritenne di distinguermi, s’affiancò e mi rasentò la guancia lasciandomi una piccola scia sul mio corpo abbronzato. Nessuno dei due strepitò, perché il cigolio e il dondolio del convoglio avvolgeva qualsiasi vocabolo, probabilmente non c’era bisogno d’includere nulla. Non c’è esigenza né occorrenza d’aggiungere né d’annettere niente all’amore, dal momento che io tentai di spalancare la bocca per propormi, ciononostante Roberta mi tappò abilmente la bocca passandomi delicatamente le dita sulle labbra, lì, in quel preciso istante ambedue c’eravamo riconosciuti dentro il cuore e non c’era necessità dei nomi.
Io cominciai a sfiorarle il corpo sopra i vestiti, sfiorai la sottana facendo scivolare le mani lungo i fianchi per esplorarla fino ai piedi. Le slacciai le scarpe, toccandole le dita come se volesse suonare una sinfonia con i suoi piedi, dopo risalii verso le caviglie e le ginocchia permettendole di sollevare solo un poco la gonna per intravedere a stento l’orlo delle mutandine e intuire così il suo desiderio. Lei era bagnata, risalii ancora per slacciare i bottoni della blusa, uno per volta, adocchiandola costantemente negli occhi, dopo io le agguantai un seno mentre s’inginocchiava di fronte a me scostandole gli slip e aprendole delicatamente la fica per godere di lei. Roberta s’inarcò schiacciando la schiena sul sedile, tirò su la sottana e si sfilò gli slip, quegli slip erano candidi come latteo era in ugual modo il reggipetto.
Adesso io ero dentro di lei, con la lingua che si muoveva su e giù, per iniziare a suggere la piccina bontà ingrossata, per disserrare e per scoperchiare le sue ultime resistenze e per approntarla al meglio all’assoluto e al totale piacere. Il convoglio continuava a superare le stazioni con la veloce corsa della modernità , dato che i borghi, le frazioni e i paesi dai lunghi nomi, visto che erano soltanto una macchia di colore blu di cartelli a stento comprensibili, mentre all’interno d’un vagone due ragazzi si chiamavano con i soli nomi che potevano avere: affezione e amore. Roberta aprì maggiormente le gambe, agguantò la mia testa tra le sue mani carezzandomi, mentre sentiva la chiusura lampo dei miei jeans scendere e il mio membro infilarsi nel suo ventre. Io la sollevai per i fianchi alternandola, al momento ero io a essere pigiato di faccia al sedile con lei adagiata su di me, mentre io affondavo lentamente dentro la carne lucida e pulsante.
Il rumore del convoglio sui binari, quell’armonioso e intonato dondolio tante volte trasmetteva il voltastomaco, al momento era lo spostamento azzeccato e ideale per i nostri corpi, perché era Roberta a seguire il ritmo del mio desiderio muovendosi sopra il mio cazzo e facendo pressione contro il mio pube fino a sentire la carne dura riempirla tutta. Il convoglio prima rallentò, poi frenò dopo un ultimo burbero e inaspettato movimento, in questo modo come il nostro ardore, visto che era giunto ormai all’apice del godimento, perché il mio bianco seme si sparse totalmente interiormente dentro di lei inondandole il ventre e macchiando perfino il sedile.
Un altro odore, quell’odore di desiderio, di nostalgia e di rimpianto che sarebbe rimasto racchiuso nel vagone, congiuntamente all’attraversamento d’un baleno d’esistenza di numerosi altri individui. In conclusione scendemmo insieme da quel favoloso convoglio in un posto qualsiasi, dirigendoci nella stessa direzione, intanto che ci aspettava un altro convoglio: quello del cuore e del sentimento immobile e invariato nella stazione dell’amore.
Nessuno al momento, avrebbe potuto affermare, ripetere e sostenere per quanto tempo.
{Idraulico anno 1999}
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