“Non so se in quei meravigliosi momenti, avvolto dal profumo intimo di maschio selvaggio, ho pensato a come avrebbe potuto ridurre il mio culetto ma il…”
Avevo 26 anni, un buon lavoro e, per le vacanze, mi riservavo
la trasgressione. Impeccabile sul lavoro, sempre in giacca e cravatta, tanto che incutevo soggezione anche ai miei superiori, quanto puttana (in un modo o nell’altro) durante le ferie. Ho detto in un modo o nell’altro perché sono sempre stato un po’ strano, a detta degli amici. Ero attivo con chi mi stimolava ad essere attivo e passivo viceversa. Mai le due cose con la stessa persona. A qualcuno può sembrare strano ma in un certo senso, avevo trovato il mio equilibrio.
Ero andato ad Ibiza. Isola allora dove la movida era esclusivamente gay. Sentendone parlare, ci si potevano trovare anche giovani coppiette etero che però si sentivano molto a disagio nel passeggiare, la sera, sui vari terrazzamenti che pullulavano di pub omosessuali. I fidanzatini stringevano per le spalle le loro morose come per difenderle, senza rendersi conto che chi si sarebbe dovuto difendere erano proprio loro.
Mi ero trovato un bellissimo ragazzo che lavorava come cameriere in uno di quei pub. Molto bello ed anche molto effeminato, senza essere però un travestito. Con lui, naturalmente, ero solo attivo e quanto! La mattina dormiva, il pomeriggio mi svuotava le palle almeno due o tre volte al giorno e la sera andava a lavorare fino a notte inoltrata.
Quella vacanza era dunque impostata solo su uno dei miei ruoli e la cosa mi andava pure bene. Il ragazzo era molto “recettivo” e una gran porca che non mi faceva mancare niente.
Verso sera lo accompagnavo al lavoro e rimanevo un po’ lì, a bermi qualcosa (gratis, naturalmente) prima di andare a cena in un ristorantino sulla rocca. A lui piaceva ostentarmi ai suoi colleghi come un vero maschio. Uno di quelli che, già allora, non se ne trovavano più. Ripassavo poi a salutarlo in chiusura e tornavo al mio albergo, mentre lui andava a dormire in una casa che divideva con alcuni colleghi.
Devo dire che anch’io ero piuttosto piacente. Una sera due milanesi, seduti accanto a me sulla terrazza del pub, cominciarono a fare apprezzamenti positivi nei miei confronti. Uno era giovane e l’altro era il suo ricco “mentore”, sposato e con figli naturalmente rimasti a casa. Io facevo finta di non sentirli e pensarono che non li capissi, così cominciarono a disquisire su di quale nazionalità fossi. Il più grande però era convinto che, nonostante tutto, fossi italiano.
La cosa andò per le lunghe. Io stavo sempre sulle mie finché questo se ne uscì dicendo che somigliavo a Franco Nero. A quel punto mi voltai verso di loro e, sorridendo, dissi “grazie”, facendogli vincere la scommessa. Non era la prima volta che venivo paragonato al bell’attore e sapevo che c’era effettivamente una somiglianza. C’era allora. Adesso io sono vecchio e lui, invece, è sempre uguale. Boh, gli anni sono passati solo per me, a quanto pare.
Da lì cominciammo un’amicizia da definire “vacanziera” perché poi non ci vedemmo più, ma quei giorni li passammo spesso insieme e furono molto piacevoli. Senza alcun coinvolgimento sessuale però perché al “vecchio” (sarà stato poco più che cinquantenne) piacevo ma l’altro era gelosissimo e aveva paura che gli sottraessi la fonte di reddito.
Non è di loro che vi voglio raccontare ma di un’avventura che ebbi e che mi avrebbe lasciato uno splendido ricordo e, purtroppo, nulla più. Ma è meglio avere rimpianti che rimorsi. Una sera ero piuttosto stanco e non avevo per niente voglia di sesso. Lo giuro. Ne avevo abbastanza. Prima di ritirarmi in albergo, però, volli fare una capatina nell’allora unico locale notturno della cittadina. Unico e gay, naturalmente. Si chiamava “L’Anfora” (chissà se c’è ancora). Non cercavo nessuno. Volevo solo vedermi un po’ di filmini porno al televisore che tenevano sopra il bancone del bar. Filmini di cui sono sempre stato appassionato. Non avevo intenzione neppure di eccitarmi ma solo di rilassarmi.
Mi sedetti dunque su uno degli sgabelli del bancone e non spostai mai lo sguardo dal televisore. Ero sul punto di andar via quando accadde l’imprevisto. Da dietro il mio fianco destro, tra la folla assiepata intorno, qualcuno, uno spagnolo, chiese da bere al barista. Sarà stata la sua voce profonda, sarà stato il suo braccio muscoloso e completamente peloso che si protese a ritirare la “copa”, saranno state le sue grandi mani callose da lavoratore, fatto sta che venni sopraffatto come da una folata di maschio all’ennesima potenza. Bastò uno sguardo e, assieme alla bibita, anche io fui risucchiato con lui sulle poltroncine della parete dietro di me.
Tra noi fu subito “feeling”. Cominciammo a baciarci ed a pomiciare sempre più pesantemente, tanto che arrivai a tirarglielo fuori e cominciare un pompino coi fiocchi, per quanto potessi fare perché aveva una sventola di cazzo da paura. Ovviamente la cosa non passò inosservata agli astanti e, benché fosse un locale gay, un cameriere ci venne a chiedere di smetterla, forse per paura di una qualche denuncia di atti osceni in luogo “pubico” che avrebbe potuto arrivare a far chiudere il locale.
Ovviamente ci ricomponemmo subito ed uscimmo. Con la sua macchina, mi portò in un posto isolato ma con una splendida vista notturna sulla città illuminata come un presepe. Avrà avuto una cinquantina d’anni, più alto di me di una decina di centimetri, pelosissimo di un pelo nerissimo, con due grandi baffi e la barba non rasata da qualche giorno, maschio fin nel midollo. Fu automatico che io mi lasciai andare fra le sue forti braccia ad ogni suo volere. Si calò pantaloni e mutande, mentre io mi spogliai completamente e ricominciai da dove ero stato interrotto.
Ragazzi, dovete credermi, in tutta la mia vita ne ho visti di cazzi grossi ma quello è stato il più grosso di tutti. Se non erano 30 centimetri poco ci mancava e proporzionato nello spessore, quindi non era poco nemmeno la circonferenza. Perfetto nella forma dell’asta e della grossa cappella. Sotto aveva una foresta di pelo da cui pendeva un grande scroto strapieno e, inutile dire, anch’esso coperto di pelo. Leccai, lappai, succhiai quanto più potevo.
Ero nelle sue mani (letteralmente). Poteva fare di me quello che voleva e quello che voleva era chiaro: voleva scoparmi. Non so se in quei meravigliosi momenti, avvolto dal profumo intimo di maschio selvaggio, ho pensato a come avrebbe potuto ridurre il mio culetto ma il problema non mi passò di certo per la testa. Ah, l’incoscienza della gioventù!
Era rozzo ma gentile, ruvido e focoso senza essere violento. Presto mi ritrovai a pancia in giù sul mio sedile ribaltato e lui sopra di me che pesava e si strusciava. La massa di pelo del suo petto aderiva alla mia schiena e il suo enorme fallo premeva nel solco delle mie natiche, superando alla grande lo spacco tra loro.
Eccitato al massimo, non perse tempo. Si abbassò, allargò il mio culo con le grosse mani mettendo in evidenza la mia giovane rosellina, ci sputò sopra un grumo abbondante di saliva ed altrettanta se ne mise sulla mano per bagnare la mazza completamente in tiro. La puntò e non ci pensò due volte. Con un colpo secco mi infilzò fino a metà del suo palo. Mi mancò il fiato per gridare ma al secondo affondo, quello che mi trafisse fino all’ultimo millimetro, riuscii ad emettere dei rantoli che non sò ancora se definire di dolore o di goduria estrema.
Cominciò subito a fottermi con forza anche perché io, già in preda ad un indescrivibile orgasmo anale, mi aprii naturalmente ed il mio buco rinunciò immediatamente ad ogni resistenza a quella forza animale. “Tieni, tomalo todo cavron… Te gusta? Te gusta la polla?”. “Si, si, si, siiii, asiiii” ripetevo. Non si prese un attimo di pausa, fotteva a ripetizione, mi sventrava con nostro reciproco massimo godimento.
Dopo almeno 20 minuti di quel trattamento ero già venuto due volte e cominciavo a non farcela più. Il budello del culo mi bruciava e, facendo leva sul suo orgoglio di maschio superiore etero convinto, gli dissi: “Fojame, fojame. Jo soy un hombre che con la tu poja me vuelto en mujer” (Scopami, scopami. Io sono un uomo che col tuo cazzo mi trasformo in donna). Era la frase giusta. Bastò questo per farlo grugnire ed esplodere in una sborrata eccezionale, tutta sparata su per il mio culo senza farne sprecare una goccia. Quindi, si lasciò andare su di me per qualche minuto, fino a riprendere fiato.
Si sfilò da me e, premuroso, mi dette dei fazzolettini per asciugarmi il suo succo che fuoriusciva dal mio buco irrimediabilmente spanato. La sborra era talmente tanta che era un lavoro inutile, tanto che li usai per tapparmelo e tenermi dentro tutto il suo piacere.
Ci rilassammo parlando finalmente un po’ di noi. Mi disse che era muratore e che era separato, con due figli con sé perché la moglie se ne era andata mollando tutto (che scema!). Uno dei due era pure più grande di me. Arrotondava le entrate andando a cantare alle feste di famiglia, specialmente matrimoni, perché era considerato un bravo esecutore di canti tradizionali spagnoli. Era proprio per questo che si trovava ad Ibiza, abitando lui a Madrid, pur essendo andaluso.
Il giorno dopo doveva presenziare ad un matrimonio. Mi disse che era innamorato di me, che non aveva mai trovato un ragazzo così “recettivo” come me. Lo posso immaginare! Ma come avevo fatto a prenderlo tutto!? Non me lo sapevo spiegare neppure io, se non con una botta di lussuria pazzesca. E non avevo alcun dubbio nell’essere riuscito a farlo, dato che mi sentivo ancora completamente aperto e come se ce lo avessi ancora dentro.
Mi chiese sinceramente di lasciare tutto (la mia famiglia, i miei amici, il mio lavoro, la mia città ) per andare a vivere con lui a Madrid. Anzi, con loro. Per un attimo mi vidi a fare la moglie perfetta, che governava la casa e la cucina in attesa del ritorno del maritino dal lavoro e tenersi pronta allo sfondamento giornaliero (se poi si fosse limitato ad uno). Magari se così era il padre, avrei potuto avere un incesto col figlio grande, che molto probabilmente non era da meno di lui. Oggi una proposta del genere l’accetterei subito senza pensarci troppo ma allora non potevo: avevo ancora tutta una promettente vita lavorativa davanti.
Gli dissi che non era possibile, che non me la sentivo anche se lui mi piaceva pazzamente. Prima di accompagnarmi in albergo, mi portò in una strada della città e mi dette appuntamento lì per il pomeriggio, ad una data ora, ché mi sarebbe venuto a prendere dopo la festa e mi avrebbe fatto la “festa” ancora una o due volte.
Lo aspettai per due ore ma non venne e non lo vidi più. Ci avrà ripensato? Era forse deluso che non avevo detto di si alla sua proposta? Si sarà ubriacato così tanto alla festa da essersi dimenticato di me o da non potercela fare a stare in piedi? Un’occasione perduta? Non lo saprò mai.
(Si tratta di un racconto vero. Non fate mai l’amore senza il preservativo. Non rovinatevi la vita, godetevela)
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