Cosa t’ha preso, Tesoro mio?
Delusione, sconforto, disappunto?
Chi è stato, chi ha provocato
quella reazione, insolita per te?
Sì, lo riconosco. Ti ho provocata. Ho destato
in te quel giusto moto che ti ha portato
a cancellarmi d’un colpo dal tuo vissuto.
Non è che avessimo mai potuto viverci accanto!
Per questo, forse, è meglio essere arrivati
alla rottura prematura, prima ancora di
conoscerci. Già, perché io t’ho vista,
almeno in fotografia, ma tu solo una parte
hai potuto ammirare e neanche i salenti
tratti del viso. Eppure, ci tenevi a ricevere
i miei scritti, almeno credo, anche se rispondevi
a tratti, quando proprio non potevi farne a meno.
Ti ho desiderata, lo sai, Amore mio!
Nel sogno ti prendevo e, delicata, baciavo
le tue labbra; baciavo il tuo piccolo seno;
i turgidi capezzoli e, poi, scendevo
verso l’asta, la tua meraviglia, la bacchetta
fatata da cui trarre nutrimento per il mio corpo,
per la mia anima; fonte di vita, spina
di botte ripiena dei delizie del creato,
arnia colma di miele, dolce mio inganno,
tenerezza del mio cuore. Come ti terrei
fra le braccia, coccolarti, come tenera
bimba, col tuo caschetto nero, con i capelli
biondi, col tuo essere femmina prima di tutte
le altre, anche se i fianchi stretti mi dicono
che ben altro nascondi, ed è quello che cerco,
e quello che dissimuli nell’anfratto segreto,
nel depilato delta fra le gambe, nel caldo nido
in cui si nasconde, nell’intimo ripostiglio
che racchiude il senso della tua vita terrena.
Il nostro avrebbe potuto essere Amore paritario.
Un “do ut des” in perfetto pareggio contabile.
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