Il governo fascista ti inviava 5000 lire se mettevi al mondo sette o più figli. Una cifra impressionante per l’epoca. Senza contare gli assegni familiari e le polizze d’assicurazione, altrettanto ragguardevoli.
Mio zio sposò sua moglie per sfuggire alla tassa sul celibato. Non so prima di sposarsi cosa facessero, ma sicuramente erano dei poco di buono. Non fu un matrimonio per amore; ma i soldi che guadagnarono con il premio nuzialità gli permisero di abbandonare ciò che stavano facendo e di ritirarsi in campagna, comprando un piccolo pezzo di terra con una casetta e una minuscola stalla, dove poterono dedicarsi all’agricoltura e all’allevamento; lontani da ogni centro abitato, in modo da evitare le noiose quanto estenuanti manifestazioni del regime, oltre ad evitare di poter rincontrare qualcuno che potesse riconoscerli e ricordare loro il passato.
Ero stato adottato da loro, in una maniera che allora come ora sarebbe da considerarsi illegale; non ho mai conosciuto i miei veri genitori, nè so nulla di loro. Sapevo che quelli erano i mei zii, ma io dovevo chiamarli papĂ e mamma, altrimenti erano guai… Ero quindi il primo dei miei fratelli, o cugini, che dir si voglia. Appena fui in grado di muovermi e camminare, mio padre volle che lo aiutassi nel suo lavoro. Facevo piccole cose, quello che la mia etĂ mi permetteva; raccogliere la frutta che cadeva dagli alberi, stare attento che qualche animale non scappasse. Negli anni, poi, si affiancarono a me gli altri fratelli.
Non avevamo una grande senso della civiltà , vivevamo quasi allo stato selvatico. Quando sentivamo e vedevamo passare un’automobile o un aereo per noi era una festa. Non avevamo ricevuto una vera istruzione, anche se mio padre ci aveva insegnato a scrivere e a fare i conti: “tanto basta” tuonava. Non era vivere in campagna che ci portava all’inciviltà , era la mancanza d’amore. Mio padre non aveva il minimo interesse umano per noi; ci trattava come si trattano le bestie. Non che ci picchiava, o almeno non molto, semplicemente eravamo delle bocche che doveva sfamare. Non molto diversa era mia madre. Freddi come il ghiaccio.
Quando poi, anni dopo, vidi “brutti, sporchi e cattivi” di Scola, quasi mi venne un colpo: ecco, la mia infanzia era tutta lì. Sei fratelli abbandonati a se stessi.
Ero in casa a raccogliere la cenere dal camino; in campagna si usava come concime. I miei fratelli fuori a fare chissà cosa. Sentivo i miei genitori discutere nella loro stanza. Mio padre beveva, un’abitudine che aveva sempre avuto. Mia madre parlava con voce energica.
Volevo capire cosa succedeva. In quel periodo incominciavo a sentire la voglia di essere responsabile, forse perchè tutta la vita vissuta fino a quel momento l’avevo passata a curare la terra. Tralasciai il camino e mi avvicinai alla porta. Quel che vidi è rimasto sempre in me, impresso come una fotografia.
Mia madre andò verso il grande comò, vi appoggiò i glutei e rimanendo dritta, prese i lembi della gonna con le mani e la portò su fino al diaframma: “lo vogliamo fare il settimo o no?!”. Non aveva le mutande; potevo vedere la sua figa oscenamente spalancata, piena di peli. Io non ero eccitato da quella visione, ero solo un po’ scioccato. Non avevo mai visto niente prima di quel momento.
Mio padre si avvicinò a lei barcollando. Era molto giù di corda. Senza dire una parola, si sbottonò i pantaloni e tirò fuori il cazzo. Era grosso, lungo e molto venoso, ma non era rigido. Papà lo prese fra le mani e lo puntò verso la figa di mamma, che portò i lembi della gonna dietro la schiena, curvando il bacino leggermente in avanti e aprendo appena un po’ di più le gambe. Scosse un po’ la testa, come per portare i capelli indietro e teneva il mento verso l’alto e gli occhi socchiusi, mentre lui, sempre in piedi, si avvicinava strettissimo a lei, cercando di fare qualcosa che non gli riusciva. Con la mano libera appoggiata su un fianco di mamma e l’altra fra il pube suo e quello di mamma, immagino che stesse cercando di penetrarla.
A un certo punto vidi che incominciò a fare degli scatti avanti e indietro con il bacino, mentre respirava in modo strano; i respiri erano profondi, come il fiatone, ma lenti. Pat pat pat pat. Mia madre abbassò la testa, mantenne gli occhi socchiusi; anche lei iniziò leggermente ad avere quel fiatone. Si era creata una strana atmosfera tra loro due. Come un silenzio pieno di rumore. Lei ansimò un “daiii…”. Lo disse in maniera lentissima. Credo che non usò nemmeno le corde vocali, solo l’espirazione. Anche se si sentiva che era un po’ arrabbiata per qualcosa, la sua voce aveva comunque qualcosa di dolce.
Mio padre invece adesso aveva veramente il fiatone. Incominciò a muovere il bacino più velocemente, quasi con rabbia. Alzò gli occhi al cielo, aveva un po’ le labbra contratte, come chi si sforza di fare qualcosa ma non gli riesce. Di colpo, si fermò e si allontanò da mamma. Il suo pene era ancora moscio, non era riuscito ad avere un’erezione. Appoggiò una mano sul comò, l’altra sul suo fianco, e rimase a riprendere fiato, in silenzio, fissando il pavimento. Mia madre era rimasta immobile per alcuni secondi. Gli occhi fissi su di lui, quasi non respirava, anche lei in silenzio. Quindi, di scatto, allontanò i glutei del comò e disse un “stronzo!”, in modo preciso, secco, ma pieno di enfasi; si abbassò la gonna, l’aggiustò, si ricompose un po’ i capelli e, in silenzio ma piena di rabbia, uscì dalla stanza, passandomi affianco.
Io ebbi un attimo di terrore, ma lei tirò dritto. Non so se mi videro oppure no, sicuramente per loro era come se non esistessi. Mi allontani in silenzio, un po’ perplesso, lasciando lì mio padre che ancora non si era mosso.
Camminai per i campi, lento e pensieroso. Avevo capito cosa avevano cercato di fare. L’avevo giĂ visto fare un sacco di volte agli animali; agli uccelli, i polli, le pecore, persino ai cani. Ma non immaginavo che lo facessero anche gli uomini. All’epoca non erano solo quelli che non andavano a scuola a non aver chiaro cosa fosse il sesso. Eri minorenne finchè non ti sposavi. Prima del matrimonio, andavi al bordello e imparavi cosa dovevi fare, mentre la donna veniva istruita dalla mamma che glielo spiegava. E questa era l’educazione sessuale.
Non ero piccolo, avevo gia i peli sul pube e qualcuno intorno ai capezzoli e sullo sterno. E anch’io, come molti miei coetanei dell’epoca, avevo scoperto il sesso in maniera casuale e morbosa. E dopo la visione di quel rapporto gironzolai tra i campi cosciente di essere più consapevole del mondo, della vita e quindi di me stesso, e guardavo la natura intorno a me in modo del tutto differente.
Quando arrivò la notte tutti andammo a dormire. Io e i miei fratelli alcuni in cucina e altri nello stanzone, i miei nella loro camera da letto. Era piena notte e tutti dormivano, meno che io. Ero irrequieto e quasi preoccupato. Ora all’esigenza di responsabilità si era unita una certa consapevolezza. Volevo fare qualcosa. Ero sdraiato sul materassone di paglia, e anche se era buio avevo gli occhi sbarrati e guardavo il soffito. Ero indeciso se farlo o meno. A un certo punto, raccolsi tutte le mie energie e buttai fuori le indecisioni della paura, e quasi in trance, lento, mi alzai in piedi. Mi diressi verso la camera da letto. Passavo tra i miei fratelli che dormivano.
Entrai nella stanza dei miei. Anche loro dormivano. Si sentiva la puzza del vino, mio padre aveva bevuto molto anche stasera. Mi avvicinai a mia madre, non era sotto le lenzuola e aveva un camicione da notte come si usavano all’epoca. Cercai di parlare, ma la voce, non capivo perchè, non mi usciva. “mamma!” avevo la voce bassissima e non riuscivo a parlare con sicurezza. Mia madre dormiva ancora; allungai una mano verso di lei e le toccai un braccio: “mamma!”. Un secondo di stupore, mia madre aprì con difficoltĂ gli occhi e quando, mettendomi a fuoco mi riconobbe, disse “che vuoi?”
“Eh… vi ho visti oggi, tu e papà ”
“e allora?”
“volevo chiederti se posso farlo io quella cosa che a papà non riusciva”
Mi fissava. Lenta, con il volto impassibile che non emanava nessun tipo di emozione, allungò la mano verso di me; con la punta delle dita, sollevò un poco la maglietta e appoggiò le dita sul mio pancino, all’altezza dell’ombellico. Trasalìi. Sentivo una sensazione strana, dolorosa e piacevole allo stesso tempo, tanto che incominciai a tremare.
“Ma lo sai come si fa?”
Non riuscivo a parlare. Feci solo no con la testa. Con l’altra mano, mise due dita all’orlo del mio pantaloncino e lo tirò giù, appena sotto lo scroto. Girò la mano con il palmo verso l’alto; incominciò a strofinare il palmo sul mio pene, un po’ veloce e con decisione. Sfru-sfru-sfru-sfru. Vidi il mio pene diventare duro. Ancora non mi era successo, e io non capivo se era una cosa buona oppure no.
“sali sul letto” disse. Papà , nell’altra piazza, dormiva profondamente. Mamma si sdraiò con la schiena sul letto, mentre si sfilava il cammicione, rimanendo completamente nuda. Aveva dei seni molto grossi. Era supina, con le gambe piegate, le ginocchia puntate verso l’alto, le piante dei piedi aderenti al materasso e i talloni puntati verso i glutei. Io mi sfilai la maglietta e il pantaloncino; salìi sul letto con le ginocchia, e istintivamente mi posizionai, ritto dai ginocchi in su, fra le gambe di lei, completamente nudo. Potevo vedere di nuovo il pube peloso di mamma e, con gli occhi abituati al buio, potevo distinguere chiaramente la figa, le labbra, l’inizio della vagina.
“sdraiati su mamma. Metti la tua pancia sulla mia.” Obbedìi. Sentivo la mia pelle che incontrava quella di lei, il mio petto sui suoi seni, il mio viso vicino al suo. Sentii un formicolio alle labbra e istintivamente, o forse immedesimandomi in qualche coppia che mi era capitato di vedere passeggiare mano nella mano nei campi, le diedi un bacio con le sole labbra sulle sue labbra. Mi fissò un istante, poi fu lei a darmi un bacio grosso, con lo schiocco, e sentìi una specie di scarica elettrica che dalle labbra arrivava ai genitali, passando per la spina dorsale. Avevamo le labbra unite, gli occhi chiusi, e senza staccare le labbra continuavamo con gli scrocchi. A un certo punto le si staccò e guardandomi, aprì la bocca e tirò fuori tutta la lingua, facendomi la “linguaccia”. Ebbi un attimo di perplessitĂ , non capivo cosa stesse succedendo. Finchè lei mi fece un cenno con le sopracciglia, come a dire “dai, fallo anche tu”. Quindi ancora perplesso e un po’ titubante, tirai fuori la lingua, ma non tutta come lei. E non fu solo per la perplessitĂ , ma anche perchè lei, rapida, presa la mia lingua nella sua bocca; infilò la sua nella mia e incomminciammo a pomiciare. Le perplessitĂ sparirono quando arrivò il piacere, e io, inesperto, feci la cosa migliore, abbandonandomi completamente e seguendo con la mia lingua nella sua bocca i movimenti che la lingua di mamma faceva nella mia.
Slinguazzavamo, e mentre appoggiava la sua mano sinistra sulla mia schiena, con la destra sentìi che aveva afferrato il mio pene, e lo stava mettendo nella sua vagina. In effetti, io non ci sarei riuscito da solo, inesperto. Ma capìi, e feci scivolare il mio pene dentro di lei. Appoggiò la mano destra sui miei glutei ed ebbi la sensazione che volesse dirmi qualcosa; ma forse capì che non c’era bisogna di dirmi niente, perchè io istintivamente avevo incominciato a stantuffare. Così, anche lei si abbandonò, continuando a pomiciare e ad accarezzarmi schiena e glutei.
Quanto era calda! Sentivo la sua pelle a contatto con la mia, sentivo i peli del mio pube che strofinavano sui suoi. Sentivo l’interno della sua coscia che strofinavo ai lati del mio bacino. Sentivo il mio sudore che si univa al suo, tra i nostri petti e le nostre pance. Era una sensazione meravigliosa. Anche gli odori che emanavamo, acri e che sicuramente in un altro momento non mi sarebbero piaciuti, ora erano afrodisiaci e mi davano energia per continuare.
A un certo punto sentìi come un fuoco sotto l’ombellico. Ebbi la sensazione di dover urinare. Glielo dissi “aah… aah… maahmmaah… devo fare pipì…”
lei subito incrociò le gambe, stringendole dietro il mio osso sacro, in modo da non farmi uscire.
“Fai, tesoro… falla dentro la mamma”.
Uno schizzo. Un secondo; un terzo schizzo. Capìi che non era pipì per il modo irregolare con cui stava uscendo. E poi sentivo una sensazione favolosa, piacevolissima per tutto il corpo, che non avevo mai provato prima. Durante quegli schizzi, istintivamente, spingevo al massimo il mio pube a quello di lei, e sentivo l’ano stringersi e i testicoli che facevano uno strano formicolio.
Crollai. Avevo il fiatone; capìi che anche mamma aveva provato quella sensazione. Rimanemmo uno sull’altro, abbracciati, guancia a guancia. Mi accarezzava la testa. Non era mai stata così dolce, ne con me, ne con altri.
Dopo un po’ di secondi, cercai di dire qualcosa, ma per l’entusiasmo non ci riuscivo.
“è… è stato… cosa…”
“shh… stai calmo”
Mi sentivo grande, potente. Sentivo di aver fatto il mio dovere, ed era stato anche molto bello.
“ho sbagliato qualcosa?”
“shh… tranquillo, non sei il primo che svergino”
Non capiì. “mamma, perchè abbiamo fatto questa cosa?”
“questo serve per fare i figli” infilò una mano tra le nostre pance, all’altezza del pube “dentro la pancia di mamma hai schizzato i tuoi figli. Se uno dei tuoi figli raggiunge l’uovo che mamma ha alla fine di quel buco dove hai messo il tuo cosino, allora vuol dire che sarĂ gravida. Avrò un figlio e tu avrai un altro fratellino. A noi serve un altro fratellino, perchè questo ci farĂ avere un po’ di soldi dal governo”
“ma è sicuro che avrai un bambino?”
“Per ora no. Per questo dobbiamo farlo altre volte”
“ah, bene. Ma questo si fa solo per avere i figli?”
“no, si può farlo anche solo perchè è piacevole. Ti farò vedere alcuni giochetti”
“mamma, ti voglio molto bene”
“anch’io sento di volertene”
Rimanemmo ancora un po’ in quella posizione. Lei a volte mi accarezzava la testa e io le davo qualche bacio sulla guancia.
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