Una delle tante epigrafi: “fu casta, si occupò della casa, filò la lana”. Un nome, Caesia, nessun’altra indicazione, per cui non sapevo se fosse una discendente di Caesius Bassus, poeta, o così chiamata per i suoi occhi chiari. Per pura coincidenza, alcuni giorni dopo, frugando in vecchi studi sul ‘Rimedia Amoris’ di Ovidio, mi imbattei in una specie di appunto, ‘Caesia’, dove si parla della moglie di Valerio Vasco, comandante delle Legioni di Pergamo, madre di Fabio e Lucilla.
Ma forse è meglio che riporti integralmente le note che si attribuiscono a Ovidio.
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‘Domo bellique’, è la scritta sulla casa di Valerio Vasco, nel verde degli alberi che costeggiano l’Appia. ‘In pace e in guerra’, quindi, é il motto della sua casa e della sua gente. Lui era spesso, quasi sempre, lontano, e la domina assoluta, la materfamilias, era Cesia, sua sposa.
Donna ancora giovane, dice Ovidio, malgrado alla vigilia dei suoi sex et triginta. Perché a quel tempo a trentasei anni molte donne già risentivano dell’età.
Cesia era rigogliosa, formosa, florida. Ed aveva massima cura del corpo, attardandosi nel calidarium e affidandosi, poi, alle esperte mani della schiava che la frizionava sapientemente e la cospargeva di creme profumate. Quindi, si adornava col peplo e curava l’andamento della casa, affiancando a sé Lucilla, per insegnarle l’arte della donna. Fabio, invece, diciotto anni appena compiuti, frequentava la scuola di Marsilio e la palestra di Decuplo.
Esile e gentile Lucilla, robusto e aitante Fabio.
Imponente, come sempre, Cesia, acconciata elegantemente e con solo un gioiello al braccio, una preziosa armilla aurea, regalatale da Valerio.
Quella mattina, Licya, la massaggiatrice, era malata, e fu lei, Licya a ricordarle che dopo il bagno Valerio si avvaleva delle cure di Suhen, l’egiziano che adoperava antichi e preziosi balsami le cui ricette conservava gelosamente.
Già, Suhen, uno schiavo, che per il diritto vigente è una cosa, un utensile che si muove e parla, come dice Gaio, e come cosa non può, non deve avere, sentimenti, impulsi, necessità.
Lo fece chiamare. Gli chiese se quello che lui definiva il balsamo del Faraone fosse adatto anche alla Faraona.
Suhen rispose che era una pomata portentosa, magica, fatta con ingredienti che solo lui conosceva, secondo la ricetta avuta dai suoi avi, riportata su un antico papiro.
‘Eccezionale, domina.’
‘Va, prendila, raggiungimi nelle mie stanze, Licya è malata.’
Cesia si adagiò si sdraiò sul piccolo letto che usava per i massaggi, coperta da una leggera plàgula.
Suhen entrò recando la cassetta degli unguenti. Rimase in attesa dell’ordine della padrona.
‘Frica, Suhen, ma con delicatezza. Non ho la pelle del tuo padrone!’
Suhen si unse le mani con un po’ di balsamo, chiese alla donna di scostare la plagula, per quel tanto che voleva.
Cesia, distesa sul ventre, l’abbassò sulla schiena, fino alle natiche.
Suhen indossava una corta tunica, con gambe e braccia scoperte. Aveva avuto l’accortezza di circondare fianchi e pube con una fascia che gli passava tra le gambe e stringeva il suo fallo contro il ventre. Cesia per lui era una femmina ‘salax’, molto eccitante, e un gesto falso, anche se involontario, poteva costargli la vita.
Cesia non pensava a Suhen come uomo. Era uno schiavo.
Non appena, però, le mani di lui, con una delicatezza inimmaginabile in un essere della sua corporatura le carezzarono la pelle, fu percorsa da un lungo irrefrenabile brivido. Di piacere. Molto benessere, una vera e propria delizia, e senti contrarsi il grembo, inumidirsi la vagina. Erano più di sei mesi che Valerio era partito.
Socchiuse gli occhi e si abbandonò alle esperte e abili mani dell’uomo.
Era gradevole quel massaggio, sensuale. E quasi senza accorgersene con la mano abbassò ancora la plagula, la fece cadere per terra. Ora era completamente nuda, con le rigogliose tonde natiche che fecero sobbalzare Sinuhe. Per fortuna, aveva fasciato’ tutto!
Cesia pensò se voltarsi o meno’ forse era prudente non farlo. Invitò Suhen a massaggiarle le gambe, e ne alzò una. Le mani dell’uomo frizionarono lievemente i piedi, le caviglie, i polpacci, le ginocchia, si fermarono un momento, poi proseguirono fino a un certo punto delle cosce. Le lasciarono, tornarono a impastare, un po’ più, energicamente le magnifiche chiappe, che a quel tocco si irrigidivano. E l’umidità aumentava tra le gambe di Cesia.
‘Puoi andare, Suhen.’
L’uomo rimise a posto i suoi vasetti nella cassetta, s’inchinò e uscì dalla stanza.
Cesia rimase così, a pancia sotto, e la mano andò a infilarsi tra le gambe, lisciando i riccioli bagnati che contornavano il sesso. Il respiro si fece affannoso, la mano si muoveva, sempre più velocemente, le dita titillavano il clitoride, fu scosse una un lungo, irrefrenabile, travolgente orgasmo che, però, non la appagò; anzi la eccitò ancora di più.
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Cesia aveva consumato il suo pranzo da sola, poi, come d’uso, era andata a riposare nel suo letto coniugale, il talamo, fedele al principio del ‘post prandium stare’.
Fabio era stato in palestra, era rientrato, aveva fatto le sue abluzioni, aveva mangiato qualcosa ed era andato dalla madre, a salutarla.
Lei era sdraiata, indossava un corto e scollato peplo di lino che lasciava scoperte le gambe e mostrava generosamente il rigoglioso tondo seno. Aveva gli occhi aperti, fantasticava.
Fabio si avvicinò accanto al talamo, si chinò e la baciò in fronte. I suoi occhi però, carezzarono piacevolmente ed anche un po’ sensualmente, il bel corpo della madre, e in particolare il seno.
Si fermò un istante ad aspirare il profumo della donna.
‘Hai un odore particolarmente inebriante, madre, non lo avevo mai sentito.’
Cesia gli sorrise.
‘E’ un nuovo balsamo, ti piace?’
Fabio avvicinò il naso alla spalla della madre, scostò il peplo, annusò la pelle e la saggiò con la lingua.
‘E’ particolare, soave, soprattutto eccitante.’
Odorò anche vicino al seno materno.
‘Qui, però, c’è il solito tuo incantevole profumo. Una fragranza che richiama alla mia mente la dolcezza del tuo latte”
Cesia sorrise.
‘Ma come puoi ricordare il mio latte che ti ha nutrito”
‘E’ scolpito indelebilmente nella mia mente, madre’ lo risento sempre’ lo desidero giorno e notte”
Fabio rimase chino, con la mano carezzò teneramente la parte superiore della mammella materna, la baciò, la lambì con la lingua.
Cesia si sentì percorrere dallo stesso fremito che aveva provato al tocco di Suhen. La stessa sensazione, lo stesso’inumidirsi’
Quindi, era una reazione naturale, spontanea, all’essere toccata da un uomo. Sì, perché Fabio era un uomo, e un gran bell’uomo.
Deglutì.
‘Credi che debba cospargere quell’unguento anche sul seno?’
Lui annuì.
‘Se vuoi, madre, prendilo, o dimmi dove prenderlo, e ti aiuterò’.’
Il volto di Cesia divenne serio, pensoso, dubbioso.
Le dita, le labbra di Fabio l’avevano profondamente turbata e in un certo senso spaventata: le piacevano quei toccamenti, li desiderava’
Esitò un istante’ Fabio era sua figlio e, ancor peggio, Suhen era uno schiavo, lo schiavo di suo marito, di Valerio’
Guardò Fabio.
‘Lo ha Suhen, fattene consegnare un po’, mettilo in quella concha.’
Gli indicò una conchiglia di madreperla che era sul piccolo tavolo. Fabio la prese, si allontanò’ tornò dopo poco con quanto gli aveva dato lo schiavo.
Cesia si era sdraiata, la scollatura del peplo lasciava fuoriuscire il seno quasi completamente.
Fabio la fissò, ammaliato e’. sommamente eccitato. La tunica non riusciva a nascondere del tutto l’evidenza della sua esaltazione.
Cesia la notò, strinse le labbra, senza guardare il figlio che era vicino a lei.
‘Spalmala delicatamente, e ricorda sempre e comunque che sono la tua mamma’. non una donna’ meminisse iuvabit’ ‘
D’accordo, rimuginò in sé Fabio, è indispensabile ricordare che è la madre, ma come ignorare che è una femmina’ e che femmina’
Si inginocchiò, prese un po’ di balsamo e lo mise sul palmo della mano e la poggiò delicatamente sulla mammella di Cesia. Era calda, morbida e soda nel contempo. A quel solo contatto, il capezzolo si intumidì e la tetta sembrò gonfiarsi un poco, divenire ancor più soda. Lo stesso, però, stava accadendo tra le gambe del ragazzo.
Girò intorno al capezzolo, poi lo sfiorò. La donna ebbe un leggero sobbalzo. Era con gli occhi chiusi. Ora Fabio unse il capezzolo, deliberatamente, lo strinse tra l’indice e il pollice, dapprima leggermente, poi più decisamente, più volte. Il volto di Cesia era tirato, respirava profondamente’
Fabio si unse entrambe le mani e afferrò contemporaneamente le due tette, i due capezzoli, stringeva e impastava, a lungo’
Le labbra di Cesia si schiusero, aggrottò le sopracciglia, muoveva il bacino’. Una mano di Fabio scese sullo stomaco, ancora di più, gingillò l’ombelico, scese’ lui si sbigottì, tremò, fremé, quando incontro la cresposità del vello che ricopriva il pube. Quei peli sembravano avere una propria vita, si muovevano, si arricciavano’ Sentì le cosce di Cesia aprirsi appena’ e poi le grandi labbra, ancora’ le piccole’. Il clitoride’ la vagina’ il dito che entrava in quel caldo mieloso, e il grembo di lei che sussultava.. un lungo gemito roco dalle labbra della donna’ insistè, ancora’ ancora’
Un lungo, soffocato ooooooooh! E senza più alcun ritegno il corpo di Cesia fu sconvolto da un incontrollabile orgasmo’.
Apparve come invasa da un raptus, con gli occhi sbarrati, vitrei, le labbra dischiuse, tumide, tremanti, si levò di colpo dal talamo, completamente nuda, il seno più turgido del solito, i capezzoli scuri, prominenti’ si pose di fronte a Fabio che, sgomento, la fissava, quasi impaurito, preoccupato’
Cesia afferrò la tunica del figlio, la strappò letteralmente da dosso, lasciandolo in costume adamitico, col fallo prepotentemente eretto’ glielo afferrò, freneticamente, con forza, smania, portò impetuosamente il glande violaceo tra le sue gambe, si alzò sulla punta dei piedi, allargò le cosce, pose il sesso del figlio tra le piccole labbra mielose, si attaccò al collo del ragazzo, con un balzo si infilò sul fallo e intrecciò le gambe dietro il dorso di Fabio. Il giovane, tanta era la veemenza materna che stava quasi per cadere; ebbe un momento di esitazione, poi afferrò le irrequiete natiche materne e ne assecondò i movimenti, con voluttà crescente, sorpreso ma estasiato da quanto stava accadendo. Il suo fallo, eccitato e ingordo, era profondamente nel grembo della donna dalla quale era nato e che, più o meno consciamente, aveva concupito da sempre.
Era fantastica quella donna, inarrestabile, lo stava mungendo impetuosamente, golosamente, con avidità, incurante di tutto e di tutti, ben lungi dal pensare alle possibili conseguenze di quell’amplesso, al fatto che era un accoppiamento incautus, non castus, sì, un incestus; era totalmente impegnata e concentrata nel suo incalzante e imminente godimento travolgente, voluptas gaudium ultimum, insuperabile piacere, orgasmo. E ne godette, palpitante, con intensità crescente, specie quando fu invasa dall’eruzione deliziosa e balsamica del seme della sua creatura, che la teneva appassionatamente avvinghiata a lui.
Rimasero ansanti, sudati, confusi, frastornati, increduli, per qualche istante, poi Fabio si trascinò per qualche passo e si gettò supino sul talamo, sempre stringendo la palpitante donna tra le braccia.
Si guardarono, senza parlare.
Cesia lo carezzò sul volto, lo baciò, mentre grossi lacrimosi sgorgavano dai suoi occhi. Non fu facile, per lei, alzarsi, districarsi da quella stretta, ma, quando vi riuscì, controvoglia e a fatica, cinse i fianchi con la copertina che era al suolo e sedette sul letto, col capo sulle ginocchia.
Fabio raccolse la tunica, la infilò alla meglio, uscì dalla camera.
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In Cesia s’era risvegliata, incontenibile e imperiosa, ossessiva, l’esigenza naturale e pressante di avere un maschio, di avere rapporti sessuali. Il frenetico incontro con Fabio l’aveva comprovato, ma quel pur impetuoso e travolgente coito, quegli orgasmi voluttuosi, inebrianti, lungi dal placarla, aveva maggiormente accesa la sua brama di sesso.
Scosse la testa, con forza. Era stato bellissimo, ma non poteva certo rinnovare ciò che era accaduto. Allora era stata afferrata da un raptus che le aveva fatto perdere ogni capacità di controllarsi. Basta! Anzi non sapeva se parlarne con Fabio, o lasciar cadere la cosa. Per sempre.
Passarono alcuni giorni. Lei ardeva dal desiderio, smaniava, non aveva pace, non riposava’
Poco prima dell’ora in cui, solitamente, si ritirava nella sua camera, fece in modo da incontrare Suhen, gli disse di andare da lei quando era notte fonda, con discrezione, non facendosi notare da altri.
Suhen subdorò qualcosa di strano, anzi lo temeva. Era chiaro l’invito, e Cesia era una donna meravigliosa, ma se lo avessero colto sul fatto e il padrone l’avesse saputo, lo attendeva la morte.
Comunque non poteva ignorare l’ordine.
Quando entrò nella camera della domina, era buio. Lei era sul talamo, gli sussurrò di avvicinarsi, di sedere accanto a lei, di togliersi ogni inutile indumento’
Cesia era nuda, allungò la mano, afferrò la grossa asta dello schiavo’
La sua voce era roca e bassa.
‘Copula Suhen’ copula, statim’. Subito’ illico!’
L’uomo era eccitatissimo, quel contatto gli faceva perdere la testa.
Si posizionò tra le gambe, lei gli condusse il glande al mieloso orificio vaginale, inarcò il bacino.
Suhen la penetrò, di colpo, e cominciò a pomparla con vigore, quasi non credendo che stava giacendo con la sua padrona.
Ci dava dentro, Suhen, lei lo sentiva, era anche piacevole, ma nulla a che fare con la sensazione che aveva provato con Fabio.
Era tutta un’altra cosa. Quasi dovette sforzarsi per godere, e lo respinse di colpo quando ebbe la percezione che lui stesse per riversare il lei il suo seme. No, il serum di uno schiavo nel suo grembo mai!
‘Abi Suhen’ abi! Va, basta!’
Suhen raccolse le sue cose e sgattaiolò alla chetichella.
Cesia si mordeva le labbra. Stava peggio di prima. Si alzò, fece delle lunghe accuratissime abluzioni, una vera e propria purificazione. Prese l’ampolla nella quale era acqua profumata, ne infilò il collo nella vagina, fece uscire il liquido. Ripetè più volte la cosa.
No, non era quello che voleva.
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L’indomani, quando Fabio si recò da lei, nella sala dove si tratteneva, per salutarla, la guardò a lungo.
‘Madre, cosa c’è, ti vedo turbata, inquieta, preoccupata, forse è esatto dire tormentata’ cosa ti amareggia? Posso fare qualcosa per te?’
Si avvicinò alla donna.
Cesia allungò la mano e sfiorò la guancia del figlio.
C’era qualcosa di particolare in quella carezza.
Fabio si sentì pervaso da un fremito, si eccitò di colpo, arrossì.
‘Si Fabio, tu puoi fare, non qualcosa, ma tutto”
‘Parla madre.’
Lo fissò con gli occhi pieni di pianto, le labbra tremanti, senza parlare.
‘Madre, vuoi che venga da te col balsamo?’
Non riusciva ad articolare parola, Cesia, annuì, a lungo. Poi si voltò e scappò nella sua camera.
Il giovane, quasi non credendo al suo pensiero, la raggiunse poco dopo. Lei era in piedi, accanto al talamo, col leggero peplo, le braccia lungo il corpo.
Fabio era in preda a una agitazione che lo sconvolgeva.
Non aveva portato il balsamo.
Si avvicinò alla madre, la guardò fissamente negli occhi, col volto tirato, alzò le mani, sganciò le fibule che, sulle spalle, sostenevano il peplo. La veste cadde al suolo. Cesia indossava solo quella. Ora era dinanzi a lui nel suo più completo splendore, con un volto incantevole, luminoso, estasiato ed estasiante. Fabio la prese sulle braccia e la depose sul talamo, tolse rapidamente la tunica. La raggiunse. Si sdraiò, il fallo eretto come obelisco egizio!
Silenzio, intorno, solo i loro respiri.
Cesia si sollevò, allargò le gambe, gli si mise a cavallo, si manteneva sulle ginocchia’ all’improvviso Fabio afferrò le natiche della donna e la tirò verso di lui’ il grembo vicino alla sua bocca, i riccioli crespi sfioravano le sue labbra, la sua lingua saettò, s’intrufolò, trovò subito le piccole labbra vibranti, si introdusse tra esse, era agrodolce, profumato, un vero nettare. La donna, però, non poteva attendere oltre, scivolò sul corpo del giovane, gli prese il glande, vi avvicinò la vagina e vi si impalò lentamente, gemendo, roca, con la testa rovesciata e le labbra dischiuse, gli occhi sognanti.
Lui le aveva afferrato i glutei.
Cominciò lentamente, Cesia, il suo respiro era sempre più affannoso, non riusciva a soffocare il gemito che le sfuggiva, che aumentava con l’aumentare della sua cavalcata. Fabio si sentiva mungere, voluttuosamente, e un caldo umido fasciò il suo fallo, mentre la donna stava godendo un lungo interminabile orgasmo che la scuoteva violentemente. Si dimenava, si spingeva per sentire il membro in lei fino in fondo, si ritraeva, tornava a spingere’ Fabio le stava impastando il sodo e florido seno, pizzicando i capezzoli, e sentiva il riflesso di tali carezze ripercuotersi nella vagina che lo stringeva golosamente, avidamente.
Lo sentiva, Cesia, sentiva che il seme caldo stava per invaderla, ma questa volta lo voleva, lo pretendeva, accadesse quello che Giove voleva, poi si sarebbe visto!
Quando le dighe di Fabio cedettero e in lei si sparse il fiotto caldo e impetuoso, lei si spinse in avanti, si gettò sul ragazzo.
Alzò un po’ la testa, lo guardò, rapita.
‘Fabie, fili mi, deliciae deliciarum!’
Delizia delle delizie!
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