Ero già stata, per circa un anno, nel Massachussett, a Cambridge, alla HBS, la Harvard Business School, per frequentare l’anno introduttivo polivalente. Subito dopo aver conseguito la maturità, poiché il campo economico e degli affari mi attraeva.
Così, poco prima dei diciannove anni, mi trovai nel ‘Campus’ della Harvard University che è molto orgogliosa di far risalire la sua fondazione al 1636, ed avevo iniziato la parte propedeutica.
Molto interessante, in effetti, ma mi mancava la famiglia, e soprattutto Piero, il mio fratellino di 9 anni che mi aveva salutato all’aeroporto con gli occhi pieni di lacrime e non voleva lasciarmi partire. Mi teneva abbracciata, stretta, e singhiozzava.
Quando telefonavo (chiamata a carico del destinatario) non riusciva quasi a parlare e mi chiedeva: ‘Quando torni, Lelé?’
Mi chiamava così, da quando aveva cominciato a parlare. Per gli altri ero Alessia.
Avrei potuto continuare a Cambridge, il profitto mi aveva fatto assegnare una borsa di studio, ma c’era qualcosa che mi respingeva, anche non ultimo i rapporti prevalentemente materialistici e privi di ogni sentimento con i rappresentanti dell’altro sesso. Avevo subito avuto una meschina e deludente esperienza, e mi è stata più che sufficiente.
Così, malgrado le sollecitazioni degli insegnanti, decisi di tornare a casa.
Quando arrivai, Piero era fuori di sé dalla gioia.
Accolse con entusiasmo la cravatta col ‘logo’ di Harvard, ed era difficile fargliela togliere perfino sotto la doccia!
Seguitai il mio corso di laurea alla Ca’ Foscari. La mia facoltà, Dipartimento Economia e Direzione Aziendale, era a Ca’ Bembo, in San Trovaso, alle Zattere, un po’ scomodo dalla mia casa, nel campiello di San Giovanni Crisostomo. Per fortuna che al mattino c’era un vaporetto che andava diretto proprio da Rialto alle Zattere.
Anni di studio, per me e per Piero.
Per lui ero la ‘guida’, l’esempio. Aveva voluto percorrere il mio stesso iter scolastico. Quando conseguii la laurea specialistica, lui aveva terminato il primo scientifico. Ogni tanto mi domandava spiegazioni e ragguagli di questa o quella materia, ma era solo per avere un motivo di starmi vicino. A scuola era bravissimo.
Mi fu facile trovare un impiego, nella direzione strategica di una multinazionale che aveva degli impianti anche poco lontano da Venezia, a Porto Marghera. E così trascorsero degli anni abbastanza sereni.
Al mattino, vaporetto fino a Piazzale Roma, o a Santa Lucia, poi autobus o treno fino a Mestre, company bus per la società e lì fino all’uscita, col solo intervallo della mensa.
Sabato e domenica riposo, in famiglia o con qualche amica.
Piero cercava sempre di trattenermi, per i compiti, per una visita ad un museo, per una gita.
Dopo una seconda delusione sentimentale, ero decisa a vivere nella condizione di ‘single’ che, del resto, non mi pesava molto. Il naturale bisogno affettivo verso l’altro sesso era, del resto, monopolizzato sempre più da Piero.
Quella estate conseguì la maturità scientifica col massimo dei voti, ed era divenuto un baldo ragazzo, non molto ciarliero, in effetti, non amava dilungarsi in ‘ciacole’, ma era pur sempre socievole e piacevole compagno per andare al cine, al caffè, al Lido, o al Club. Mi attirava ballare con lui.
Nella mia borsa portavo sempre la sua foto, scattata al mare, due giorni dopo la maturità, e a chi non lo conosceva lo contrabbandavo come il mio uomo, suscitando benevoli commenti e complimenti che mascheravano, in fondo, l’invidia.
La società dove lavoravo era tra gli ‘sponsor’ della Columbia University di New York, l’Università, fondata nel 1754, che annovera tra i suoi ‘remarkables columbians’ anche i Presidenti USA Theodore Roosevelt, Franklin Delano Roosevelt, Dwight D. Eisenhower.
La Columbia organizzava uno special Master’s top degree, riservato a pochi, su scala internazionale, che già possedessero buoni titoli per l’ammissione.
La mia società scelse me.
Oltre ad essere un lusinghiero riconoscimento, per me, tale investimento societario significava chiaramente che avrei avuto un significativo sviluppo di carriera, e questo a poco più di 28 anni era motivo di soddisfazione e di orgoglio.
Quando ne parlai a casa, quello stesso venerdì sera che me l’avevano comunicato, fu un incrociarsi ci congratulazioni, ma quelle di Piero sembravano molto forzate, aveva l’aria d’un condannato a morte. Infatti, dopo cena, venne a sedere vicino a me, sul divano, e, mi guardava negli occhi, mestamente.
‘Sicché, Lele, mi lasci solo.’
Lo abbracciai teneramente, e mi accorsi che il mio rammarico di allontanarmi da lui andava ben al di là dell’affetto fraterno. M’accorgevo sempre più che Piero era per me l’uomo ideale, sia nel carattere che, e soprattutto, nel fisico.
Strano, il sorgere e l’affermarsi di tale attrazione per colui che avevo visto nascere, avevo fasciato, cullato, visto crescere giorno per giorno davanti a me. Ma, a ben rifletterci, Piero era stato sempre, più o meno consciamente, l’elemento di paragone per cui le mie esperienze sentimentali erano tutte miseramente fallite. Negli altri io cercavo, e non trovavo, sempre e solo Piero.
No, non potevo lasciarlo. Non volevo lasciarlo.
Mi sorpresi a carezzarlo, a baciarlo, sempre più vicino alla bocca e, finalmente, sulle labbra. E quello che mi turbò ancor più, fu che lui mi restituì il bacio, con trasporto, cercando la mia lingua. La mano, curiosa ed esploratrice, accertò che nella patta s’era ben mosso qualcosa!
Il lunedì mattina andai in azienda decisa a raccontare una balla, all’amministratore delegato, ringraziare per la designazione, ma dire che non potevo accettare.
Mi accolse venendomi incontro e mi colmò di lodi, in gran parte non meritate. Mentre parlava stavo rimuginando come cominciare, poi ricordai che la società era uno dei maggiori ‘sponsor’ della Columbia.
Mi venne in mente un’idea strana.
‘Ingegnere, la ringrazio moltissimo per questa invidiabile occasione, e mi auguro di non deludervi. Ho, però, anche una richiesta da farle.
Io ho un fratello che questo anno si iscriverà alla Ca’ Foscari, Economia Aziendale, conosce bene l’inglese e sarebbe lietissimo di poter frequentare almeno per un anno, quello propedeutico, la Columbia University, nel programma di scambi culturali. Chiedo troppo se la prego di appoggiare la sua candidatura?’
Gorge Luisi, americano figlio di italiani, mi sorrise a tutto denti, a modo suo.
‘Well, Alessia, lei, forse, non sa che anche io sono un ‘Columbian’, appartengo all’Associazione degli ex alunni e sono il rappresentante dei ‘Columbians’ che operano in Europa. Dia a me l’application, la domanda di suo fratello, e la manderò per fax segnalandolo come una futura speranza per la nostra Company. OK?’
Martedì mattina partì il fax.
Venerdì giunse una cordiale risposta a Luisi.
‘Caro George, Piero Canale is a person with friends in high places (é un raccomandato di ferro), lo aspettiamo. Charlie’.
Charlie era il Rettore.
Luisi mi dette copia del fax, quando lo portai a casa e lo detti a Piero, mi fissò.
‘Che vuol dire?’
‘Che andremo insieme a New York!’
Il suo abbraccio fu travolgente, soffocante, e mi tempestò di baci, senza alcuna prudenza.
Ho pensato alla ‘prudenza’.
‘Prudenza’: comportamento che prevenga o limiti conseguenze inopportune.
Quell’abbraccio, quel modo di baciare, avrebbero potuto avere conseguenze inopportune?
Piero mi cinse per la vita e andammo a dare la notizia al resto della famiglia.
Il mio fratellone, che mi sovrastava d’un palmo, veniva con me a New York, e avrebbe frequentato la stessa università dove io avrei seguito il corso speciale.
A New York avremmo alloggiato nella guest-house della mia compagnia.
Una camera abbastanza grande, una cameretta, cucinino, servizi igienici. Il collegamento con l’Università era assicurato, dal lunedì al venerdì dal bus della Columbia.
Non avevamo loto tempo per prepararci, quindi dovemmo affrettarci.
Giunse la mattina che il motoscafo ci portò a Tessera, Aeroporto Marco Polo. Volo per Londra, immediato trasbordo per New York.
Le raccomandazioni di papà e mamma furono per entrambi: io avrei dovuto curare Piero, e lui avrebbe dovuto ‘badare’ alla sorella’ più vecchia di dieci anni.
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Siamo a New York da quasi un mese
Accoglienza all’Università, ottima sia da parte dei docenti che dei colleghi, tanto a me che a Piero.
Ecco, è di me e di Piero che devo parlare.
Ma anche delle circostanze, perché spesso sono determinanti.
Il ‘flatlet’ della guest-house era più adatto ad una persona che non a due, salvo che non condividessero, per dormire, la stessa camera. Del resto, era una twin-room, con due lettini separati da un basso comodino.
L’altro vano aveva due tavoli per studiare.
I pasti potevano essere consumati sulla ribalta che era in cucina, dotata di due appositi alti ‘stools’, sgabelli.
Appena arrivati, pensammo di portare un lettino nel vano studio e i due tavoli nello spazio dove avremmo tolto un lettino.
Prese le misure, ci accorgemmo che non era possibile.
Quindi, stessa camera, due lettini.
Devo confessare che non mi dispiaceva affatto, ma temevo di limitare la privacy di Piero.
Per la doccia l’alternativa era: avvicendarsi o utilizzo contemporaneo di diversi servizi.
Quando dissi a Piero che lui certo non doveva essere lieto per quella promiscuità, mi guardò a suo modo, con un’espressione indecifrabile e non rispose nulla.
La TV era nella camera da letto, e per vederla meglio ci si doveva sedere sullo stesso lettino, quello mio, di fronte ad una specie di comò sul quale, appunto, era sistemato il televisore, proprio accanto all’armadio.
Eravamo abbastanza stanchi per il viaggio.
Andammo a consumare qualcosa allo snack bar, e tornammo per riposare.
Io indossavo una specie di body, lui solo i calzoncini del pigiama.
M’ero voltata di schiena a Piero. Mi appisolai e rimasi per qualche tempo in quella posizione. Quando, dopo alcuni minuti mi voltai, aprii gli occhi. Piero mi fissava, ben sveglio, e aveva una mano nei calzoncini.
Quello sguardo, quella mano, ebbero su me un effetto elettrizzante, eccitante.
Insomma, quella pulsione che altre volte m’aveva sfiorata, ora era ben evidente: mio fratello scatenava in me un forte desiderio sessuale.
Anche io, senza avvedermene, misi la mano tra le gambe e mi carezzavo piacevolmente.
E non eravamo che arrivati da qualche ora.
Avremmo dovuto convivere in quelle condizioni per circa un anno.
Impossibile.
Lui arrapato da una parte, io allupata dall’altra.
Non riuscivo ad immaginare come uscirne fuori.
O forse lo presagivo fin troppo bene.
E se fosse accaduto?
Sarebbe stato così esecrabile come una parte della gente ama giudicare?
Decidemmo di andare al cine, poco distante.
Piero si fermò ad un negozio. Aveva visto una piccola macchina fotografica digitale, di quelle che hanno bisogno di pochissima luce, e che si collegano al PC per vedere le foto. Disse che voleva acquistarla, avrebbe fatto della foto alla Columbia, e le avremmo viste sul portatile che avevamo con noi.
Questa macchina ha certo un posto determinante nella mia vita, nella nostra vita.
Piero era andato a comprare il giornale italiano, al bookshop poco distante. Il PC era aperto, la macchina (benedetta!) ancora collegata. L’accesi, la prima foto che mi apparve fu la mia, mentre, di spalle, mi stavo vestendo. Ma era quella, come, dire, più castigata, perché Piero mi aveva spiata e ritratta in ogni momento della mia intimità.
Del resto, io non avevo macchina fotografica, ma non è che non lo avessi osservato segretamente e discretamente, in ogni positura, soffermandomi incuriosita e interessata, su alcune particolarità del suo fisico e soprattutto sulla sua evidente ed esuberante virilità. Beata chi ne avrebbe profittato e goduto!
Spensi tutto e attesi il suo ritorno.
Da quel momento, però, fui assalita da una specie di dolce esibizionismo, era mio desiderio attrarlo e nel contempo gratificarlo mostrandomi il più possibile.
Indugiavo del cambiarmi, nell’indossare la mia microscopica biancheria intima. E, facendo finta di profittare delle sue brevi assenze per fare la doccia, indugiavo, sul letto, non proprio vestita, sapendo che dalla porta aperta poteva vedermi.
Accertai, sul PC, che Piero aveva certamente gradito tale mio comportamento perché, non visto (e non riesco a capire come abbia fatto) mi aveva ritratto in quel momento di’ ben studiato’ relax!
Il gioco, se giuoco era, stava divenendo sempre più serrato, e io ben sapevo che il mio giovane fratellino era ben stimolato dal mio corpo. Del resto, alla sua età, e con quel fisico, era più che naturale che una femmina lo eccitasse, lo attraesse. Che poi fosse la sua non brutta sorella, e che lei avesse due lustri più di lui, era solo un dettaglio insignificante.
La promiscuità, inoltre, sollecitava e provocava questo nostro reciproco e crescente arrapamento.
Io notavo le sue incontenibil erezioni, anche se lui non poteva accorgersi della mia eccitazione, delle vogliose contrazioni vaginali, dei sussulti del perineo.
Avevamo trascorso un’altra settimana, cercando, almeno io, di tuffarmi nello studio per non pensare ad altro. Ma il continuo ‘promemoria’ di Piero, la sua presenza, specie notturna, era peggio del supplizio di Tantalo.
Ormai cercavo in ogni maniera, e neppure tanto discreta, di abbracciarlo, baciarlo, accertarmi della consistenza della sua patta. Ed ero giunta perfino alla puerile scusa di accusare qualche irregolarità del battito cardiaco per fargli porre la mano sul mio seno sinistro e indurlo ad auscultarmi. Cosa che, del resto, lui faceva molto coscienziosamente anche indagando se, nel caso, il mio cuore fosse a destra, perché l’orecchio sulla mia tetta destra non avrebbe potuto avere altra finalità diagnostica! Né trascurava, il mio bel Pierino, di profittare di ciò per sfiorare i miei capezzoli con le sue labbra di fuoco. Il fatto era che con quella santa manovra il fuoco me lo scatenava dentro.
Fine della settimana.
Venerdì sera.
Venerdì, giorno sacro a Venere. Io, per la verità, avrei dedicato tutti i giorni della settimana a Priapo. Sarei stata certamente una scrupolosa Maenas, una Menade, osservando ogni rito della hebdomada priapea, della settimana dedicata al nume della fecondità, al fallo!
Quella sera mi cullavo in questa fantasia, seduta sul mio letto, con Piero accanto, dopo la rapida cenetta al bar, in attesa di vedere un film alla TV. L’abbigliamento era volutamente quello per la notte, ridotto al minimo. Il mio consisteva di una evanescente camiciola, più che trasparente, appositamente acquistata per proseguire nel mio non necessario assedio. Piero era in calzoncini, più corti del suo apprezzabile pisellone quando non era in quiete!
Electa una via ad altera non recurrere! Scelta una strada non ricorrere ad altra!
Il film tardava ad iniziare.
Mi sdraiai, Piero mi guardò, con occhi che rivelavano il suo pensiero, il suo desiderio.
Si chinò, sollevò appena la camiciola e pose le sue labbra infocate sulle non meno bollenti mie grandi labbra che l’accolsero come una manna.
Intrufolò la testa tra le mie gambe, che si dischiusero felici, alzò le braccia, mi sfilò l’inutile intralcio della camiciola, cominciò a stringermi il seno, i capezzoli, mentre la lingua s’intrufolava impaziente nella mia ancor più smaniosa vagina, e girava, rigirava, sortiva ed entrava, sfiorando dove più sensibile ero al piacere, e se ne accorse, insisté, alternando il dolce ciucciarmi il piccolo bocciolo che s’ergeva nella piega superiore del mio fremente sesso.
Avrei voluto afferrargli, carezzarli’ il grosso fallo’ ma le mie braccia erano dietro il mio capo che si volgeva a destra e manca, in attesa che l’onda del piacere si trasformasse in maroso e mi travolgesse.
Fu allora che strinsi a me la testa meravigliosa di Piero.
Alzò il capo, mi guardò fissamente, tra sorpreso e smarrito, gioioso e spaventato. Forse si attendeva una mia sgradita reazione. E quando gli sorrisi s’illuminò, con gli occhi lucidi.
‘Lele”
Non sapeva dire altro. Lo ripetete ancora.
‘Lele’ Lele”
Mi mossi con destrezza, mentre lui s’era lasciato andare, supino. Gli tolsi i calzoncini, e rimasi in ammirata adorazione di quel possente monumento della virilità.
Mi posi su lui, col capo all’altezza del suo sesso, e nel contempo, aprii le gambe imprigionandogli la testa, ponendo la mia ancor palpitante vagina vicino la sua voluttuosa bocca.
Non so se lo svettante fallo di Piero avesse mai ricevuto l’omaggio di calde labbra accoglienti, avesse mai saputo il sapiente lambire d’una lingua guizzante, ma certo che lo sentii vibrare deliziosamente.
Non volevo, però, che tutto terminasse con quel sia pure piacevole antipasto.
Era ben altra la mia fame.
E non potevo perdere l’occasione dell’abbondante e succulenta portata che stavo assaporando. L’altra mia bocca reclamava, imperiosamente, la sua parte.
Mi sollevai, mi rigirai, mi misi a cavallo del focoso Piero, e montai in arcioni, assicurandomi che il suo robusto fallo mi penetrasse il più possibile.
Rimasi ferma un po’, mentre tutto di me e in me si contraeva.
Le sue mani mi carezzavano frementi. Le sue dita mi frugavano, avevano trovato il buchetto e lo stavano carezzando, saggiando, riscotendo il più entusiasta compiacimento anche di quella parte.
Ora, però, ero tutta presa dal cavalcare che andavo conducendo su un destriero focoso che, però, sapeva ben condividere il mio sussultare.
Chi poteva immaginare che Piero fosse un sì appagante amante, che suscitasse in me tale genere di piacere, per natura e intensità. E che resistenza! Certo sentì il tepore della mia linfa, le crescenti contrazioni della mia vagina, e poi il rilassarsi estatico mentre venivo travolta da un irrefrenabile orgasmo. Mi guardava nel volto, e quando comprese che avevo raggiunta la più alta vetta del godimento, mi premiò, e si premiò, con l’inondazione del suo balsamico seme.
Giacqui su lui, e tanto era stato il coinvolgimento di tutta me stessa, che non m’accorsi di assopirmi.
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Una volta cadute le mura dell’ipocrisia, del perbenismo, di stolidi e innaturali tabù, tutto può svolgersi secondo le eterne leggi della natura.
Una femmina e un maschio attraversano il particolare delizioso momento del reciproco desiderio.
Quanto durerà?
Io questa domanda non me la pongo, e ritengo che neanche a Piero interessi.
Non per ripetere l’abusato ‘carpe diem’, ma vivere momento per momento è la migliore ricetta per la felicità. Almeno per un certo tipo di felicità, diciamo per il piacere.
‘Ci vuol essere lieto sia del doman non c’è certezza!’
Forse Lorenzo fu detto il Magnifico proprio per questa sua saggezza.
La nostra vita iniziò una fase serena e tranquilla che, tra l’altro, favorì la nostra normale attività: lo studio.
Unimmo i lettini.
Giungemmo al termine dei nostri corsi universitari.
Piero era orgoglioso più di me del mio ‘Master’s degree’ in Business Administration, acquistò una bottiglia di ‘french champagne’ che iniziammo a gustare a tavola e finimmo a letto.
Fu più ardente che mai, quella sera.
Quando, sudata e languidamente affranta, giacqui tra le sue braccia, gli dissi che era lui a meritare il titolo di Master, di Magister, Maestro.
Mi guardò con quei suoi stupendi occhi profondi.
‘Master in che, Lele?’
‘Master in fucking!’
Nello scopare.
‘Per forza, tesoro, con such a mistress and such a training! Con tale istruttrice e tale tirocinio!’
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Tornammo a Venezia, ma non finì a New York the gloden season, la stagione d’oro, della mia vita.
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