Zio ‘San’? Chi era costui?
Una specie di perplessità alla Don Abbondio.
Ogni tanto questo zio ‘San’ era ricordato, nominato.
Se ne parlava con un tono tutto particolare, come di uno che non aveva proprio tutte le rotelline a posto. Uno che, a seconda del rispetto che gli portavi, potevi definire proprio ‘matto’, o, più eufemisticamente, ‘originale’.
Alla fine, non resistei più e chiesi.
‘Insomma, chi è zio ‘San’?’
Alba, allora mia fidanzata, all’ultimo anno dell’ISEF, a Milano, fece un sorrisetto e guardò la mamma, Sandra, anche lei patita dello sport, dell’educazione fisica, ed allora ancora insegnante di quella materia.
Anche l’espressione di Sandra era divertita, ma non irrispettosa, canzonatoria.
‘Zio ‘San’ è il fratello di mio padre. Zio Sandro, del quale, tra l’altro, porto il nome. Del resto, nelle famiglie di Albano siamo in moltissimi a chiamarci, al maschile o al femminile, Alessandro.
Vedi, Alessandro, che in greco vuole dire protettore degli uomini, è anche il protettore della vicina Bergamo. Fuggito da Milano, sottraendosi alla decapitazione, fu ospitato dal principe Crotacio, che lo invitò a nascondersi, ma Alessandro iniziò a predicare e a convertire molti bergamaschi, tra cui i martiri Fermo e Rustico. Fu perciò scoperto e nuovamente catturato, la decapitazione venne eseguita pubblicamente il 26 agosto 303 nel luogo ove oggi sorge la chiesa di S. Alessandro in Colonna. Noi lo festeggiamo proprio il 26 agosto. Il corpo è nel castello di Pescolanciano, nel Molise.
Zio ‘San’ si sente un po’ la reincarnazione di Sant’Alessandro. Lo ha sempre detto, fin da quando era bambino.
Ha studiato disordinatamente, dedicandosi principalmente alla meditazione. Andava nelle piccole cappelle di campagna, rimaneva per ore ed ore.
Cosa facesse per vivere è stato sempre qualcosa di misterioso. Ogni tanto qualcuno, da casa, riusciva ad incontrarlo, gli dava qualche vestito. Non ha mai accettato denaro.
Per un certo periodo non se ne è saputo nulla.
Un giorno, un valligiano, incontrando mio padre gli disse che aveva visto, in montagna, un tipo ‘strano’, con la barba lunga e che era zio ‘San’. Gli indicò più o meno la località . Abbastanza lontana da Albano.
Dopo lunghe e non facili ricerche, riuscirono a trovarlo a metà strada tra il Rifugio Curò e il lago di Malgina, in una specie di calanco dove, con l’aiuto di qualche volonteroso, s’era costruito una capanna di sassi e legna, col tetto spiovente, nella quale conduceva una vita ascetica, solitaria e appartata, nutrendosi con quanto riusciva a racimolare qua e la.’
Questo, dunque, era zio ‘San’!
Quando io e Alba ci sposammo, riuscirono a fargli giungere la notizia e al mattino delle nozze, sull’altare, c’era una specie di ghirlanda di spine intrecciate con bellissime ‘Campanulla Raineri’, e un sasso sul quale era graffìto ‘Alessandro’.
Era trascorso un anno.
Alba ed io abitavamo a Torino, per motivi di lavoro.
Quasi tutte le sere ci sentivamo con sua madre, Sandra.
Ci sembrò strano, quindi, quando al mattino presto ricevemmo una sua telefonata. Sembrava agitata. Credemmo che ci desse notizie di suo padre, piuttosto malmesso in salute.
No, si trattava di zio ‘San’.
Si era saputo che stava male, nessuna particolare informazione, ma era necessario, anzi indispensabile, andare a vedere di persona, portargli qualche medicina. Insomma, fare qualche cosa.
Sandra aveva deciso che ci sarebbe andata.
Aveva avuto precise indicazioni su dove trovarlo.
‘Come’ -le disse la figlia- ‘vuoi andarci sola? Fatti accompagnare da qualcuno.’
‘Non credo che zio ‘San’ gradisca vedere estranei, ci andrò sola. Cosa credi? Sono in forma anche se vado per i quarantaquattro!’
Alba si rammaricò di non poterci andare, ma era nella commissione esaminatrice.
Mi offrii di accompagnare mia suocera, anche se immaginavo che si trattava di una bella sgroppata, pur senza sapere il luogo dove questo benedetto zio ‘San’ si nascondeva.
E fu così che partii subito dopo pranzo e raggiunsi Sandra a Bergamo, dove viveva sola, dopo essersi separata dal marito da diverso tempo.
Accoglienza, affettuosa, riconoscente.
Era intenta a qualche esercizio al vogatore. In calzamaglia che sembrava esserle stata spruzzata addosso con lo spray.
Non avevo mai visto così, mia suocera. Però, che fisico!
Un petto alto e sodo, e identiche le qualità delle rotondità del posteriore, evidenziato in tutta la sua procacità .
Usando parole appropriate, mi complimentai con lei, e, intanto, pensavo che quella grazia di dio era proprio sprecata se qualcuno non ne traeva profitto.
Sandra mi disse che sarebbe stato bene partire presto, l’indomani, seguendo le indicazioni che le erano state fornite. Me le avrebbe indicate sulla cartina geografica.
Lei, intanto, sarebbe andata a fare una doccia, avrebbe preparato la cena per non fare troppo tardi.
Sentii la doccia scrosciare e me la immaginai, nuda, con l’acqua che portava via la schiuma del sapone e scopriva quelle che certamente erano delle magnifiche tette e due natiche da far invidia a Venere callipigia. Pensavo anche al boschetto che fioriva sul pube. La cosa non mi lasciava indifferente. Anzi.
Era la prima volta, comunque, che consideravo mia suocera sotto quel punto di vista, nella sua sensuale femminilità , nella sua venustà . Mi giravano per la mente i versi di Foscolo:
Un moto, un atto, un vezzo!
Mandano agli occhi venustà improvvise.
E poi, più sensualmente, l’immaginifico D’Annunzio che descriveva la bella curva d’un sedere femminile, come quella d’una falce corrusca, nella quale ben volentieri avrebbe infisso il manico!
Certo che, sola lei, solo io’ una ripassatina a Sandra gliela avrei data volentieri.
La vaghezza fu ancora maggiore allorché, dopo cena, e dopo avere sparecchiato, distese la carta dei luoghi e mi indicò il percorso.
La camicetta semisbottonata mostrava generosamente il petto nudo, dal quale saliva un profumo inebriante. E lei, chinata, con quel promemoria conturbante mandava messaggi invoglianti nel luogo giusto.
Dovevamo raggiungere Valbondione, poi a piedi, prendere il sentiero 305 per il Rifugio Curò, da qui imboccare i sentiero 310, quello che porta al lago di Malgina, alla grande croce, dopo circa un’ora di cammino, voltare sulla sinistra, andare avanti fino a trovare quella che noi avevamo, ormai, battezzata la Capanna dello zio ‘San’.
Partendo alle cinque del mattino contava di arrivare per mezzogiorno, o giù di li. Aveva preparato due zaini con qualche indumento e un po’ di vitto, nonché farmaci a largo spettro per lo ‘zio’, e qualcosa per noi, per metterci un po’ comodi.
Andammo a letto presto, ma non riuscii a dormire subito.
Sandra era nell’altra camera, con una notevole preziosa attrezzatura inutilizzata.
Ha ragione D’Annunzio, una falce senza manico è sprecata.
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Non difficili i sentieri, ma abbastanza faticosi per chi, come me, non è abituato ad essi.
Sandra era bella, fresca e aulente, come una rosa.
La tenera similitudine duecentesca.
Quando camminava dinanzi a me i miei occhi non riuscivano a staccarsi dal movimento sinuoso dei suoi glutei.
E finalmente raggiungemmo la capanna.
Zio ‘San’ era seduto sul sedile di pietra, a fianco all’uscio.
Ci guardò fisso, prima di riconoscere Sandra.
Non si alzò.
Ci guardò:
‘Cosa fai, qui, Sandra? E questo chi è?’
‘Siamo venuti a trovarti zio ‘San’. Questo è Piero, il marito di Alba, mia figlia. Ma tu come stai?’
‘Sto in grazia di Dio! Che volete?’
‘Ci hanno detto che stavi male.’
‘L’uomo sta bene e sta male, come vuole il Signore.’
‘Ti abbiamo portato qualche medicina, se ti serve.’
‘Se servisse, il Signore mi invierebbe Raffaele, l’Arcangelo che è la ‘medicina di Dio’, come dice il suo nome.’
‘Anche qualcosa di vestiario, e per mangiare.
‘Vi ringrazio, mettete tutto dentro. Venite fuori, sedetevi qui.’
Entrammo.
Un vano, col pavimento in pietra, un caminetto primitivo, un lettuccio, senza lenzuola, un tavolo grezzo e due sedie. In un angolo una tanica con dell’acqua. Un uscio, munito di tenda di stoffa pesante, lisa, conduceva in un altro ambiente, dov’era solo un lettuccio con sopra alcune coperte, e una sedia. Piccole finestre, riparate da plexiglas, davano luce agli ambienti.
Tornammo fuori.
Zio ‘San’ era con le mani poggiate sul nodoso bastone e il mento sulle mani. Lo sguardo verso la valle.
‘Vuoi mangiare qualcosa, zio?’
Scosse il capo, negativamente.
‘Possiamo stare un po’, qui, con te?’
Cenno affermativo.
Noi, lungo la strada avevamo mangiato una scatoletta di carne e biscotti; bevuto dalla borraccia.
Accanto alla capanna, scavata nella pietra, una raccolta d’acqua, certamente piovana, e un mestolo di legno per prenderla. C’era anche un catino di plastica, venuto chissà da dove.
‘Ti ricordi di noi, zio ‘San’?’
Sandra cercava di iniziare un colloquio.
Zio ‘San’ alzò la testa, ci guardò. Sembrava quasi che sorridesse.
La sua voce era calma, profonda, come se facesse fatica a parlare.
‘Certo che mi ricordo di voi. Mi ricordo di tutti. Sempre. In ogni momento. E prego sempre per tutti voi, per la vostra salute, dell’anima e del corpo. Lo faccio da quando ho l’uso della ragione.’
‘Ti stanca parlare?’
‘No, non mi stanca. Ma non sono abituato a parlare con le labbra. Il colloquio con Lui non ha bisogno di parole pronunciate, avviene nel cuore, nella mente.’
Il tempo trascorreva.
Il ritorno a Valbondione, certo, sarebbe stato più breve della salita, ma avrebbe comunque richiesto del tempo, e le mie gambe risentivano di quella insolita scarpinata.
Guardai interrogativamente Sandra.
‘Vuoi che andiamo via, zio ‘San’?’
Scosse il capo.
‘Restate. Il tramonto, la notte, l’alba, tutto nel silenzio profondo che ci avvolge, testimoniano e magnificano la grandezza del Creatore. Perché non compiacersi della bellezza del creato? Perché non ringraziare il Signore godendo di quello che ci ha donato?’
Le ombre andavano allungandosi; sempre più.
Ormai era notte.
Zio ‘San’ si alzò. Fece cenno di entrare.
Andò al caminetto, dov’era già pronta la legna con sotto degli sterpi secchi. Li accese, la fiamma cominciò a crepitare.
Da una specie di cassapanca, nascosta in un angolo, che non avevamo notato, trasse un panno nel quale era del pane; un altro panno con formaggio. Noi avevamo una fiasca di vino bianco.
Mangiammo in silenzio,
Sandra tirò fuori dagli zaini il cibo che avevamo portato. Un’altra fiasca di vino.
‘Posso mettere tutto nella cassa?’
Zio ‘San’ annuì.
Tutto si svolgeva come al rallentatore.
Restammo così abbastanza a lungo. Senza parlare.
‘Ora’ ‘disse zio ‘San’- ‘vado a pregare.’
Si avvicinò al lettuccio, si sdraiò, si avvolse in una coperta.
Noi andammo nell’altro vano, quasi buio. Per fortuna che c’era la luna a rischiararlo appena.
Ci guardammo intorno: lettuccio, coperte, sedia’
Dissi a Sandra che avrei dormito per terra su una coperta.
Mi rispose che potevamo arrangiarci su quella specie di giaciglio. Era abbastanza ampio. Bastava non girarsi e rigirarsi. Le coperte non mancavano.
Sandra slacciò le scarpe, le tolse, si massaggiò i piedi.
Si stese sotto la coperta, sul fianco.
Feci lo stesso, entrai sotto la coperta. Anche io sul fianco. Rivolto al dorso di lei.
Ero abbastanza stanco, non stanchissimo. Ci eravamo svegliati presto, al mattino, ma non avevo sonno.
Percepivo il calore di Sandra.
Questo mi portava a ripensare a lei, al suo corpo, al suo petto, al suo fondo schiena, a come si muoveva quando mi precedeva sul sentiero in salita.
Pensiero conturbante, eccitante. Ne provavo le conseguenze.
Rimuginavo continuamente’il manico’ la falce’ poi immaginai il’ manico tra le tette’ quindi più giù’ che s’intrufolava nel boschetto’ cercava la strada giusta’ la trovava’
Ero talmente in predo a quella eccitazione, che quasi non mi accorsi che ero vicino a lei, con la mano poggiata sul suo fianco.
Mi ero inavvertitamente accostato io?
Questo poteva anche essere incerto, ma la mia mano, comunque, ero io che l’avevo poggiata là . Non proprio sul fianco. Era aperta, sulla natica.
Forse era opportuno farsi un po’ indietro, interrompere quel contatto.
Mi spostai lentamente, solo qualche centimetro’
Sandra si mosse decisamente’ verso me!
Quel magnifico sedere premeva energicamente sulle mie gambe. Anzi sul mio pube. Più esattamente sulla mia patta rigonfia. E si mosse, come a cercare un miglior posizionamento.
Che dormisse Sandra?
Forse erano movimenti involontari.
Se dormiva, allora, potevo rimetterle la mano sulla natica. Era così bello sentirla.
Come la riportai al posto di prima. Si mosse un po’. Si accostò di più.
Una mia timida carezza’ un suo nuovo lieve ondeggiamento’
Dormiva?
Non sapevo come accertarmene.
Pensai ad un cauto sondaggio.
Feci lentamente scivolare la mano lungo il suo corpo: verso l’alto, fino a raggiungere il seno. Lo sentivo. Tondo, sodo, caldo.
Azzardai una esitante palpata. Lo strinsi delicatamente.
Questa volta sentii chiaramente che le sue natiche si contraevano.
Ero arrapato da morire.
Cosa dovevo fare?
La mano di Sandra si mosse, andò alla zip del golf di lanetta che indossava, la abbassò. Rimase così. Lo aveva fatto per caso? era un incoraggiamento, un invito?
A me, comunque, conveniva questa seconda interpretazione. Del resto, alla peggio, mi avrebbe buttato fuori dal lettuccio.
Mano nel golf, risoluto agguanto di tetta. Al di sopra del reggiseno. Sentii il capezzolo irrigidirsi, le chiappe contrarsi.
Fase successiva.
Nel reggiseno, a pelle.
Natiche irrequiete. Si strofinavano sempre più, e stavano provocando una tale eccitazione che’
Mi sembrava stupido desistere, anche perché non ne potevo più’
Giù la mano, dentro i pantaloni’ nelle mutandine’ tra i riccioli’ ancora più giù’ era bagnata’ allargò un po’ le gambe per accogliere meglio la trepidante esplorazione delle mie dita’ il clitoride’ le piccole labbra’. Dentro’ girare intorno’ avanti e dietro’
Mugolò sordamente’ fu travolta da un orgasmo travolgente.
Si mise supina, mi prese il viso, mi baciò freneticamente, appassionatamente.
Io, intanto, avevo abbassato i miei pantaloni, il boxer, il mio fallo ero al limite della resistenza.
Sandra fu rapidissima nello sfilare ogni cosa dalle sue gambe.
Il golf era completamente aperto, il reggiseno sollevato’
Tette splendide’ le baciai, lambii’ ciucciai i suoi capezzoli’
Ero inginocchiato tra le sue gambe’ prese il mio glande, lo portò all’ingresso della sua vagina rorida, alzò il bacino, mi accolse avidamente’
Fu una cosa meravigliosa’ Talmente coinvolgente, che il mio fallo rimase tremendamente rigido anche dopo essersi vigorosamente svuotato in lei. Ripresi subito a stantuffare, aveva incrociato i piedi sul mio dorso, sussultava come una molla impazzita, voltando la testa qua e là , gemendo, finché un nuovo irruente orgasmo non la squassò, sembrava in preda a una irrefrenabile convulsione. Poi s’abbandonò, di colpo. Aprì le braccia, rimase così, ansante, sudata. Le gambe mi tenevano ancora stretto a sé, in sé.
Le baciai gli occhi, le orecchie.
Le sussurrai che era stato bellissimo, incantevole’
‘Meraviglioso, Piero, meraviglioso
Ha ragione zio ‘San’. Perché non ringraziare il Signore godendo di quello che ci ha donato?’
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