Ci sono alcune ragazze a cui, se si vogliono evitare complicazioni, è meglio non avvicinarsi neanche con un bastone lungo 2 metri. A 25 anni, però, ero ancora decisamente inesperto in materia e la cosa non mi era ben chiara. Il che è un bene, altrimenti avrei perso una delle più sconclusionate esperienze della mia vita. E ovviamente non potrei raccontarvela.
Avevo conosciuto Teresa durante un esame. Lei, due anni più grande di me, fuoricorso, aveva passato 2 ore a vomitarmi addosso la sua insicurezza, la sua vita, i suoi desideri e le sue paure, mentre io avrei voluto solamente ripassare prima dell’orale.
Per carità, carina. Atletica, di una magrezza decisamente nervosa come il suo carattere. Un naso allungato, apice di un volto spigoloso da diva anni 70, incorniciato da corti ricci castano scuro. Le gambe, lunghe e tornite nelle calze scure che continuava ad accavallare, decisamente il punto forte che, complice la scarpa tacco 9, facevano dimenticare la piattezza assoluta di seno. Però troppe, troppe parole, così, complice anche l’essere fidanzato, avevo svicolato l’invito a prendere un caffè insieme e, finita l’interrogazione, mi ero eclissato convinto di non vederla mai più. E per un annetto buono la mia previsione si era rivelata esatta.
Poi il caso ci aveva fatto reincontrare.
Se vi trovaste in un ospedale universitario e vedeste muoversi per i corridoi, a passo sostenuto, un branco di ragazzi e ragazze in camici bianchi immacolati, con piccoli blocchi di appunti in mano, sapreste di aver trovato degli studenti. Se però questi stessi ragazzi avessero la faccia spaurita e si aggirassero come anime in pena, allora sareste di fronte ai loro fratelli maggiori. Costretti a 3 mesi di tirocinio post laurea per avere l’abilitazione, considerati del tutto inutili nei reparti in cui si trovassero a passare e quindi trattati alla stregua di paria, questi poveri tapini sono abbandonati a loro stessi, alla ricerca di uno scopo che non sia solo quello di raccogliere le firme necessarie.
E io proprio in quella condizione mi trovavo, in attesa di parlare con la terza segretaria della giornata, quando sentii due braccia stringermi e un corpo caldo abbracciarmi alle spalle. Diciamo che tutto iniziò veramente così
“Ciaooooooooo! Finalmente ti ho ritrovato! Adesso non mi scappi più”
Divincolandomi dall’abbraccio, mentre tutto il corridoio si fermava a guardarci neanche fossimo la scena di un film, mi trovai davanti proprio quei ricci e quel naso, questa volta a contornare un sorriso decisamente troppo largo per sembrare sano.
“Ehm, ciao ( vuoto assoluto per il nome… cerco di leggere il cartellino ) quanto tempo! Come va?”
“Benissimoooo!” altro sorriso inquietante “Adesso benissimo!” mi prese la mano, mi tirò a se e mi abbracciò nuovamente. Meno male che era più bassa, altrimenti mi avrebbe stritolato. Cercai di divincolarmi
“Che ci fai da ste parti?” che domanda idiota, cosa vuoi che ci faccia uno studente di medicina in un ospedale?
La porta davanti a noi si aprì e una piccola signora sulla sessantina uscì, squadrandoci da sotto quello che sembra lo chignon di una nonna. La segretaria del professore. Forse ero salvo.
“I dottori S. e R. suppongo”
Non ebbi tempo di rispondere che l’abbracciatrice folle rispose per me “Siamo noi!”
“Bene, venite dentro che vi spiego cosa dovrete fare il prossimo mese”
Perchè non sto mai zitto?
I venti minuti successivi camminammo prima dietro la segretaria , poi un’infermiera, infine uno specializzando. Con sempre meno voglia ci spiegarono come funzionasse il reparto, dove cambiarci e come avere le firme a fine mese.
“Insomma…” concluse lo specializzando “girate pure, ma non disturbate… anzi se volete stare a casa direttamente, la firma ve la metteranno comunque”
In tutto il giro Teresa ( almeno la segretaria mi aveva risparmiato figuracce sul nome ) aveva continuato a fare domande, muoversi a scatti e ridere anche a quello che tutto sembrava fuorchè una battuta. E a strusciarsi. Su di me. Sullo specializzando. Probabilmente l’avrebbe fatto anche su un paziente passato in corridoio non avesse avuto in mano un pappagallo pieno.
Riuscii a staccarmene entrando nello spogliatoio. Mi guardai intorno e, ovviamente, non c’erano armadietti liberi, ma solo qualche sedia sparsa. Poco male… avrei solo posato giacca e maglia e tirato fuori il camice che, dopo 2 ore in uno zaino, sembrava essere appena stato vomitato.
Stavo cercando di dargli un’aspetto decente, quando una porta laterale si aprì e sbucò una testa riccioluta
“Nello spogliatoio delle donne fa freddissimo” e dicendolo spalancò la porta facendomi vedere la finestra aperta “vengo a cambiarmi qui” piccola pausa scenica “se per te non è un problema”
Prima che potessi aggiungere alcun che, era già entrata e aveva iniziato a tirare fuori roba dallo zaino. Un sorriso di circostanza, mi voltai e tornai a trafficare col camice.
“Senti, ma non è che ti sto antipatica che non mi parli?” mi voltai per ribattere, ma la risposta mi morì in gola. Teresa si era tolta la maglietta e, a petto nudo, stava fissandomi col dito alto.
“Ecco, neanche mi rispondi adesso” aggiunse con un sorriso finto impacciato
Sempre fissandomi iniziò a slacciarsi i jeans.
Deglutii. Deglutii di nuovo. Distolsi lo sguardo. Meno male che era senza tette, altrimenti i miei occhi sarebbero rimasti attaccati a lei come la lingua su un palo ghiacciato.
“Ma figurati… no no…” una macchia di umido sul muro opposto divenne improvvisamente interessantissima da fissare
“Meno male! Pensavo di doverti convincere…” qualcosa di caldo mi avvolse il torace
Sentii che di slancio si era appoggiata a me, abbracciandomi e affossandomi la testa nel petto.
Alzò lo sguardo su di me e incontrò i miei occhi stupiti “Amici?”
In mutande. E calzini. Anzi UN calzino. Per il resto nuda. Dall’alto le gambe non riuscivo a vederle, ma il culo quello si… ed era una vista stupenda. Sodo, leggermente sporgente, di quelli che viene voglia di stringere e morsicare…
No aspetta
Aspetta
Cazzo faccio?
Risalii con gli occhi lungo la schiena e, con somma forza di volontà, tornai ad incrociare i suoi. Chissà quanto ero stato a fissare quel culo… secondi? minuti? ore?
Ah quel culo, così sodo, così… cazzo dovevo piantarla e concentrarmi sugli occhi
Stavo per dire qualcosa, quando qualcuno rispose per me.
Il mio amichetto si era svegliato e stava venendo su a vedere cosa stesse succedendo. Teresa se ne accorse prima di me e iniziò a strusciare il bacino lentamente, sempre fissandomi
La porta si aprì. Ci voltammo entrambi e vedemmo lo specializzando di prima entrare col telefonino in mano. Alzò lo sguardo, lo riabbassò sullo schermo, bofonchiò “Ehm… scusate” e uscì.
Una risata cristallina uscì dalle labbra di Teresa mentre si staccava da me.
“Amici?” mi chiese nuovamente mentre mi allungava il mignolo, come fosse un gioco da bambini
“Amici” glielo strinsi per un attimo
“Bene” sorrise e poi si voltò. “E non guardarmi le tette mentre mi cambio che me ne accorgo”
Non ci capivo niente… il mio pisello, ancora eretto come se stessimo per iniziare un’orgia, probabilmente ancora meno
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