“Era qualcosa di animalesco e frenetico, incontrollabile, primitivo e sensuale…”
Conobbi Veronica una sera come tante. Me la presentò Francesca, una mia
cara amica, una di quelle rare donne con le quali fai di tutto tranne scopare, ma che aveva in compenso la dote di essere un ottima procacciatrice di dame e puttane.
Quella sera andavo vagando in cerca di un po’ d’amore tra gl’inferi dei bar, e tra un bicchiere di sambuca e l’altro capitai da T. Legai la bicicletta al solito palo e mi appropinquai all’ingresso.
“Ciao Hank, vecchio sventrapapere” mi apostrofò il titolare, un vecchio amico di nottate fumose ed alcooliche.
“Ciao, bestia” risposi appoggiandomi al bancone.
“Poca voglia di parlare eh?”
“Nessuna. Fammi il solito”
Mi servì da bere e mi guardai intorno. Francesca mi aveva già individuato e si stava avvicinando. Mi salutò col solito calore che mi provocò la solita stanca erezione. “Prima o poi…” pensai.
Scambiammo due chiacchiere stuzzicandoci a vicenda, come eravamo soliti fare, ed ero già pronto alla solita inutile tirata d’orecchi per il mio stile di vita così poco normale, o immaturo, come diceva lei, quando la Fortuna mi venne in soccorso. La porta del bagno, lì vicino, si aprì, e ne uscì un meraviglioso esemplare di donna. Ricordo che restai come incantato, lo sguardo inebetito e fisso, la mente che già l’aveva spogliata e si preparava a farle provare tutti i piaceri della vita in una sola notte. Francesca mi conosceva troppo bene per non accorgersene e, ignara del girone dantesco nel quale stava per precipitarmi, fece la cosa più bella che avesse mai fatto nel corso della sua vita.
“Ehi Veronica! Siamo qua” le urlò, facendo un cenno vistoso con la mano.
Quello splendido essere la vide e si diresse verso di noi. Trasudava sesso, si muoveva silenziosa e felina, senza sprecare un solo gesto, lasciando dietro di sé una scia di quella sostanza invisibile che solo certe donne lasciano. La mia espressione continuava ad essere da totale imbecille, e ormai avevo solo pochi secondi per ritrovare una dignità.
Francesca ci presentò, e dentro di me la ringraziai e lei se ne accorse, ed ebbe l’accortezza di lasciarci soli con una delle scuse più stupide che avessi mai sentito. La conversazione che seguì fu probabilmente una delle più ridicole che abbia mai intrattenuto con una donna, ma evidentemente funzionò meglio il linguaggio del corpo. Me la stavo mangiando con tutto me stesso ma il placido aplomb che la sambuca dona ai suoi disgraziati adepti mi sostenne, e credo di esser sembrato uno di quegli spocchiosi intellettuali con qualcosa di interessante da nascondere.
Lei invece era bellissima. I capelli lisci e corvini e lunghi continuavano ad ondeggiare sfiorando la pelle scura e liscia di quel suo collo aggraziato, mentre i suoi occhi neri mi passavano da parte a parte e le esili dita sfioravano il bicchiere.
Avrei voluto essere il bicchiere in quel momento, ed a un certo punto glielo dissi. Scoppiò a ridere, ormai avevo scoperto le carte, e lei decise di fare lo stesso. Quando quella sera rimontai sulla mia fida bicicletta avevo un numero di telefono di più in rubrica e un’erezione incontenibile nei pantaloni.
Ricordo anche la prima volta che scopammo. Eravamo a casa mia e la confidenza era quella di chi si era visto solo un paio di volte ma sapeva dal primo istante che sarebbe finita così. Era incredibile quella sera: la scollatura perfetta da far cadere lo sguardo e allo stesso tempo da lasciare libera l’immaginazione; il tubino nero stretto al punto giusto che cadeva a metà coscia, dando l’impressione che l’accesso al paradiso fosse lì a due passi ma nascosto quel tanto che bastava da farti venir voglia di cercarlo; il trucco provocante e forse fin quasi volgare, perché aveva capito che la sua personalità ferina mi piaceva e non c’era bisogno di nascondersi dietro la maschera della brava ragazza. Quello che però mi aveva fregato dal primo attimo erano state le movenze: quella donna era nata per scopare e lo si capiva anche solo annusandola.
Ci guardammo negli occhi, e mi persi in quel nero profondo morendo di desiderio. La baciai. Sentii il cazzo esplodermi nei pantaloni, ansioso di farsi un giro dentro di lei, mentre il respiro diventava affannoso e le mani correvano ovunque. La presi di peso e la appoggiai al tavolo della sala e subito quelle gambe forti si strinsero attorno ai miei fianchi. Era qualcosa di animalesco e frenetico, incontrollabile, primitivo e sensuale. Strinsi forte quei seni prosperosi e sentii i capezzoli spuntare sotto il vestito, il reggiseno non c’era e questo mi mandò completamente all’altro mondo. Non ragionavo più, come succede solo le migliori volte, e subito infilai le mani sotto il tubino, alzandolo e cercando quelle mutandine lì per essere sfilate.
Le tolsi in un attimo e subito la mano andò a cercare il suo clitoride, e lì si fermò. Era turgido e duro e grande, un clitoride imperioso come mai ne avevo visti, e morii dalla voglia di assaporarlo. Quasi leggendomi nel pensiero lei mi prese la testa e con decisione me la spinse in basso. In ginocchio, baciai il nettare degli Dei. La mia lingua avida si mosse prima dolce e poi frenetica e poi di nuovo dolce, mentre le labbra lo stringevano come per strapparlo. Un sussulto, poi un altro, lei cominciò a muovere il bacino a tempo col suo respiro sempre più veloce e breve. Le diedi un attimo di tregua e mi spostai in basso, infilandomi in quel pertugio che da qualche notte andavo sognando. Assaggiai il suo sapore più intimo e lo trovai meraviglioso come lo aspettavo. Ingordo, la esplorai fin dove potei arrivare, prima che le sue mani mi facessero capire che le mie attenzioni dovevano tornare di sopra, a quel clitoride regale che pulsava davanti ai miei occhi. Lo baciai ancora e ancora, finché non la sentii venire in preda agli spasmi e a dolci gemiti.
Stavo per riemergere da là sotto, soddisfatto del mio lavoro, quando di nuovo le sue mani mi spinsero giù di nuovo. Ne voleva ancora, insaziabile e bellissima. Ricominciai terribilmente eccitato, tirandomelo fuori dai pantaloni e iniziando ad accarezzarlo con la mano, ormai ansioso di ricevere anch’io il mio piacere. Mi segai lentamente, preoccupato di non venire troppo presto in preda ad un’eccitazione sconosciuta, mentre la mia lingua continuava nel suo instancabile lavoro. Accarezzai di nuovo quel magnifico clitoride, succhiai quelle meravigliose piccole labbra, bevvi il suo nettare, finché lei di nuovo prossima a venire mi strinse forte le gambe attorno alla testa.
La sentivo scoppiare, la testa, e di pari passo andavano l’eccitazione ed il cazzo, sempre più in bilico tra l’attesa e il piacere. Strinse ancora più forte, afferrandomi i capelli e spingendomi giù, reclamando piacere ancora e ancora. Inarcò la schiena e venne di nuovo, ansimando e urlando. Io fermai la mano, appena prima di venire a mia volta, travolto da una tale insaziabile forza.
Alzai gli occhi e la vidi soddisfatta. Stavolta non mi ricacciò giù, di nuovo schiavo, e abbozzando uno stanco sorriso mi disse: “se vuoi farti un giro dentro di me, ora puoi”.
Tirò indietro le gambe e mi si offerse tutta, e io sul punto di esplodere entrai. Me la gustai lentamente, muovendomi placido in quel lago di piacere oramai dilatato, assaporando il contatto con quelle pareti vellutate. Spinsi fino in fondo con delicatezza, incapace di decidere se finalmente esplodere in un orgasmo liberatorio oppure se continuare a godermi quegli istanti che avrei voluto continuassero all’infinito. Alla fine scelse lei per me. Contrasse i muscoli della vagina avvinghiandomi con le sue spire infernali, e incapace di resistere venni.
Ci saremmo rivisti ancora e ancora e ancora, prima che la mia indole da spiantato mi portasse a cercare guai altrove, e che la sua sessualità fuori dal tempo le vietasse di negare la sua conoscenza ad altri fortunati, ma questa è un’altra storia.
Annunci69.it non è responsabile dei contenuti in esso scritti ed è contro ogni tipo di violenza!
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.