“Con un cenno mi indicò il plug che con vergogna, di fronte a tutti, mi sfilai…”
In attesa dei capitoli conclusivi, forse non a breve, a tutti una
buona lunga e piacevole lettura . Buone vacanze .
RODOLFO
La scena era irreale. Mia era esibita nuda di fronte a tutti restando con quelle calze nere ed il reggicalze, il collare da schiava il piercing ai capezzoli turgidi e quei tatuaggi vergognosi che sottolineavano, se ancora ce ne fosse bisogno la sua natura di donna sottomessa. Il nano le strinse le chiappe e in un abbraccio la trascinò verso di sé sprofondando con il volto sul sesso di mia moglie.
Lui iniziò a leccarla, Mia si irrigidì ed in pochi istanti finì con l’ansimare dal piacere senza neppure un tentativo di ribellione con la vergogna e l’umiliazione che in un attimo venivano cancellate dalla sua eccitazione. Anche il clochard le si era fatto vicino e con le mani scivolava su tutto il suo corpo strappandole altri gemiti. Che spettacolo indecoroso stava offrendo; era una schiava pronta ormai a sottomettersi completamente ai comandi del suo padrone, chiunque fosse. O forse era diventata tanto puttana da accettare ormai di degradarsi a qualunque volgarità la si volesse sottoporre in qualunque posto fosse? Mi sentivo umiliato così vicino ma tanto lontano da lei.
Il clochard spinse Mia in ginocchio. Il nano le accarezzò le tette. Le prese un anello del capezzolo tra le dita e lei si lasciò tirare verso di lui. Le infilò la mano sul sesso ed iniziò a frugarla. Jamaal estrasse da tasca una piccola catenina agganciò quella catena al collare di Mia e lasciò il capo al clochard.
“Vi lascio questa cagna e sapete cosa farne” e la spinse a mettersi a gattoni tenendola al guinzaglio come si tiene un cane. Schernendosi di lei con gli sguardi allibiti e morbosamente curiosi dei pochi passeggeri, la strattonò e lei senza ribellarsi iniziò a camminare a quattro zampe lungo la carrozza ondulante trascinata a guinzaglio dal barbone. Il suo culo per aria lasciava ben in mostra la parte sporgente del dildo che non aveva mai tolto. Volevo fare qualcosa, quella pazzia doveva finire. Come poteva lasciarsi esibire nuda su un vagone della metropolitana, trascinata come un cane?
La trascinò vicino al nano spingendole il viso all’altezza del suo sesso. Mia appoggiò il volto mentre lui in maniera vergognosa le si strusciava addosso. Mia non si ritraeva e lasciava che continuasse in quello spettacolo che oscenamente stava offrendo. Il clochard la strattonò verso di sé e senza che le dicesse nulla Mia si alzò sulle ginocchia ed appoggiò il viso sui pantaloni lerci di quell’uomo strusciando il suo volto all’altezza del sesso che lasciava una evidente bozza sotto i pantaloni. Lo spettacolo che stava offrendo era indecente, un oltraggio al pudore, eppure nessuno dei presenti protestò anzi come ipnotizzati restavano a guardare con sorrisetti maligni.
Jamaal la guardò severamente e lei come un automa intuendo cosa intendesse con quello sguardo. Mi guardò come se non avesse scelte ed iniziò ad armeggiare attorno ai pantaloni del barbone imperterrito.
Estrasse il sesso dell’uomo per niente disturbato di trovarsi in un luogo pubblico. Mia come drogata senza battere ciglio iniziò a succhiarglielo. Il nano sorridendo le accarezzo il culo scivolando cona la mano in avanti sul suo sesso… Lei continuando a succhiare quel cazzo lurido si lasciava fare tutto passivamente.
Guardavo la scena incredulo. Vidi Mia cercare di retrarsi ma lui la trattenne per i capelli facendo in modo di scaricarle il suo sperma direttamente sul viso e sul collo. Un liquido biancastro le colava ora sulle tette ed i capezzoli retti, imprigionati nel loro piercing, tradivano la sua eccitazione. Si stava eccitando trattata in quel modo come una cagna su cui un estraneo, l’ennesimo estraneo aveva goduto.
MIA
Alzai lo sguardo verso il mio padrone Jamaal cercando in un suo gesto pietoso nei miei riguardi, ma fu inutile. Avevo il viso a contatto col sesso ancora gocciolante e turgido del clochard e dal suo inguine ancora avvertivo il fetore di chi difficilmente usava del sapone.
“Nei prossimi giorni si occuperanno loro della tua educazione – mi spiegò velocemente Jamaal – Ma perché dovrei darti delle spiegazioni? Sei solo una puttana e una schiava e devi solo ubbidire senza se e senza ma. Imparerai ad accettare quello che una signora per bene come te non avrebbe neppure lontanamente immaginato. Loro potranno fare di te tutto quello che vorranno, qualsiasi loro capriccio per te sarà legge.”
Restai immobile con lo sguardo nel vuoto, oltre le persone che mi erano attorno, forse oltre l’infinito, mentre l’unica cosa che avvertivo era il treno che rallentava, forse si avvicinava a una stazione dove si sarebbe fermato ancora una volta.
Non sapevo e non potevo fare nulla, ero inginocchiata, nuda con un filo di sperma che mi colava addosso ed impotente potevo solo attendere gli eventi senza poter fare niente altro.
Il clochard mi indicò una macchia di sperma sulla sua scarpa.
“Mi hai fatto macchiare la scarpa – mi disse con tono imperioso – leccala puttana e pulisci per bene.”
Ero senza forze, stremata nel fisico e nel morale. Non ebbi la forza e nemmeno più la volontà di ribellarmi, nemmeno di tentare una flebile protesta. Chinai il capo verso la sua scarpa e leccai lo sperma che vi era caduto, ingoiandolo senza che nessuno mi dicesse di farlo.
Il treno stava rallentando. Ero impaurita.
Il clochard indicò il nano che aveva in mano la mantella che mi avevano tolta e mi disse di andare a recuperarla, ma strisciando su quel pavimento lurido del vagone.
Non potevo fare altro che fare quello che mi era stato detto, strisciando sul pavimento andai dal nano che, per un gioco perverso, si allontanava sempre più facendo in modo che io continuassi a strisciare verso di lui.
Le luci della stazione ormai invadevano il vagone, e in quel momento il nano si fermò permettendomi di raggiungerlo. Mi tese la mantella che teneva in mano e appena le porte si aprirono la gettò fuori.
Cercai di alzarmi e di scendere, ma il clochard, con uno strattone al collare mi obbligò a fermarmi. Vidi Jamaal e Rodolfo scendere, così come il nano e alcune persone.
Alcune persone salivano e, vedendomi in quello stato, si chiedevano cosa facessi e perché fossi nuda e al guinzaglio, alcuni ridevano pensando fosse una trovata pubblicitaria, altri leggevano ad alta voce le scritte sulla mia pelle. Qualcun altro, scandalizzato si diresse verso un altro vagone.
Il clochard mi indicò due passeggeri seduti che guardavano increduli la scena che si svolgeva davanti ai loro occhi. Con uno strattone mi fece capire che dovevo sedermi tra loro due, senza nemmeno più pensare ad una reazione gli obbedii.
“La puttana scende al capolinea – disse ai due che ora erano di fianco a me – se voi volete, intanto divertitivi pure a vostro piacimento” e con un rapido movimento scese dal vagone poco prima che le porte si chiudessero.
Senza avere il tempo di capire cosa stesse succedendo, vidi le porte del vagone che si chiudevano e il treno partì. Ero su un vagone del metrò sola, nuda il corpo insozzato e impregnato di una tanfa di sesso. Una cagna, una puttana di basso rango ecco cos’ero diventata. Pensai alla mia esistenza prima di arrivare a Parigi per quella vacanza. Gli occhi dei passeggeri che mi scrutavano sorridenti ed il timore di vedermi comparire davanti una ronda della polizia. Ma ormai non avevo alcuna via d’uscita.
RODOLFO
Jamaal si scostò dalle portiere scendendo definitivamente dalla carrozza non lasciando forse neppure il tempo a Mia di capire che stava per essere abbandonata sola sul vagone. La mia reazione non fu altrettanto rapida e poi le porte si richiusero. La vidi nuda sul vagone e mi sembrò di cogliere la mano di quegli sconosciuti allungarsi su di lei. Il treno scomparve nel tunnel e allo stesso modo quello che restava della dignità di Mia.
Sentii Jamaal parlare con i due, come se volesse fornire altre indicazioni. Non capii molto “dressée pour en faire un vrai pro” colsi la frase di Jamaal che confermava quello che voleva da Mia e bastò per farmi capire che i due non avrebbero avuto alcuno scrupolo nel far proseguire Mia lungo quella strada di depravazione. Invece del seguito del discorso colsi solo la parte finale “mise a l’abatage comme la dernière des pute”.
Presi Jamaal per un braccio “come possiamo raggiungerla?”.
Lui si strattonò via “Cazzo, non rompermi i coglioni, non l’hai vista come si è fatta trattare? Non è rimasto nulla della sua dignità , a tua moglie piace essere trattata in questo modo. Ora deve imparare a rispettare le regole della sua nuova vita e per farla calare sempre di più nella sua parte. L’ho affidata al capo di quei due che la terranno con loro nei prossimi giorni. Per una come tua moglie che non si è mai prostituita la sua educazione all’inizio dovrà essere più dura e loro credimi sono le persone giuste.”
“Tua moglie deve provare non a fare semplicemente la puttana ma ad esserlo, pronta ad una completa obbedienza a chiunque venga offerta notte e giorno, un oggetto da usare a piacimento. Per questo è indispensabile “sa mise a l’abatage”
Mi spiegò il significato in quei giorni in cui sarebbe stata dai suoi complici. Veniva affidata a quei ceffi da galera per avere numerosi rapporti sessuali.
“ma questo è sfruttamento della prostituzione” Gli gridai inviperito.
Senza scomporsi Jamaal mi ricordò quello che Mia aveva firmato nel suo contratto volontario di sottomissione.
“Vedrai che ben presto si scorderà il bel mondo in cui ha sempre vissuto. Ma per continuare la sua educazione come schiava dovrà sentirsi abbandonata da te e questo servirà a renderla ancora più sottomessa e allo stesso tempo comprendere quello che sta diventando una puttana disponibile ad ogni richiesta.”
“non voglio abbandonarla…” provai a contestarlo.
“l’hai già fatto, tua moglie ormai mi appartiene e resterà con me il tempo necessario per completare la sua educazione”
Il termine che usò tuttavia non lasciava alcun dubbio: “dressage” voleva significare qualcosa di più radicale.
Il pensiero di Mia sottoposta nelle mani di quell’uomo mi tormentava “ne vuoi fare veramente una puttana in questi giorni?”
Jamaal mi fermò, “non hai capito, tua moglie resta da me ancora per un mese e quando ritornerai a prenderla per riportarla in Italia di lei si occuperà Cosimo. Sarà disponibile per tutte le sue richieste e quelle dei suoi amici ovviamente sarò sempre io a guidare le sue prestazioni. Ma per non dimenticarsi di me mi riporterai la mia puttana almeno una volta all’anno per un mese diciamo per i prossimi dieci anni?”
Ero senza parole
“Vedrai – continuò – ti adatterai presto, la vostra vita sarà la stessa di sempre tranne che avrai al tuo fianco la tua dolce mogliettina dalla doppia vita seria professoressa di giorno e troia e puttana di notte o nei fine settimana.”
Il mio pensiero era a Mia nuda su quel vagone.
Girai lo sguardo ma il clochard ed il nano erano spariti.
“Spero soltanto che non salga la polizia sul vagone sarebbe spiacevole per te, dovresti recuperarla in un commissariato con foglio di rimpatrio ed una segnalazione giudiziaria di prostituzione ed atti osceni in luogo pubblico”
Fui preso dal panico.
“ma non succederà ora vieni con me”
Salii su un taxi con lui senza parlare. Non sapevo neppure dove mi trovavo. Avanzavamo verso una periferia, che non conoscevo, sempre più un dedalo di strade e case in parte abbandonate, senza che riuscissi cogliere un riferimento per eventualmente ritornarci solo. Le vie divennero strette ed i volti non certo rasserenanti per lo più nordafricani e neri.
La nostra vacanza parigina aveva definitivamente stravolto la nostra vita.
MIA
Le porte si erano chiuse e il treno era partito. Ero nuda, in un vagone della metropolitana tra due sconosciuti che mi guardavano, mi squadravano e si scambiavano tra di loro commenti certamente poco gentili nei miei riguardi.
Con quel minimo pudore che mi era restato mi coprii i seni e posi una mano per nascondere anche il mio sesso
Le parole più gentili erano “chienne” o “salope” mentre, dapprima con titubanza, ma poi con più convinzione iniziarono a toccarmi. Mi scostarono le mani ed io non mi opposi sentendomi vergognosamente salire la mia eccitazione. Cos’ero diventata? Le loro mani erano ovunque accarezzandomi e tirando ridendo gli anelli che avevo ai capezzoli.
“Une chienne italienne” disse uno dei due guardando l’altro con fare interrogativo.
Il treno si stava rifermando per la stazione successiva ed uno dei due strattonandomi mi trascinò per il guinzaglio dietro di loro verso l’uscita.
Mi sentii morire, trascinata giù dal treno nuda in quelle condizioni. La vergogna e l’eccitazione di quel mio degrado mi facevano paura.
I presenti erano come inebetiti di fronte a quell’inatteso spettacolo. Una donna nuda con indosso solo calze e reggicalze che passeggia nel mezzo della notte nella metropolitana trascinata al guinzaglio non poteva che essere una puttana o una pervertita.
Mi trovai in un angolo dietro una macchinetta di foto istantanee. “Voyons comment elle utilise sa bouche et sa gorge”. Il più deciso dei due mi trascinò dentro la macchinetta e sedendosi sullo sgabellino mise la mano sulla mia testa spingendomela tra le sue gambe. Aprii subito la bocca per prenderlo e leccarlo come ormai avevo imparato.
Cercai di dare il meglio di me come sapevo di dover fare e come mi piaceva fare. Ormai non potevo nascondere nemmeno a me stessa che il sentirmi riempire la bocca in quel modo mi piaceva tantissimo, come mi piaceva sentirlo fino in gola e aspettare con voluttà i suoi schizzi.
L’unica cosa che ancora rifiutavo di accettare era che mi piacesse farlo con chiunque, conosciuto o sconosciuto, bello o brutto, persino se non era ben pulito.
L’altro mi sollevò il bacino con le natiche rivolte verso di lui.
“Mais regarde cette salope – disse all’amico – elle a un plug dans le cul.”
L’altro si mise a ridere mentre spingeva la mia testa sempre di più sul suo inguine facendomi sentire in gola il suo sesso. Gli chiese dove fosse il problema, forse voleva il mio culo.
Sempre parlando tra di loro rispose che non aveva importanza, per ora si sarebbe accontentato della mia vagina.
Così si sollevò in piedi e, senza nessun preambolo mi spinse il sesso di colpo dentro di me, facendomi superare l’ugola dal glande che restò per qualche secondo fermo per poi scivolare fuori dalla mia bocca riversandomi copiosamente il suo seme sul mio viso. Improvvisamente fui investita da alcuni flash che mi immortalavano in quello stato. Fui presa dal terrore incapace di reagire mentre i due non paghi fecero scattare altre foto obbligandomi a guardare nell’obiettivo incitandomi a sorridere. Allo specchio vedevo una puttana che si era appena offerta a dei clienti. Mi lasciai cadere sullo sgabello, mentre i due ritirate le foto se ne andarono. Mi asciugai alla bene meglio il viso dalle gocce di sperma che mi rigavano la pelle. Pensai a Rodolfo quasi volessi incolparlo del punto a cui ero arrivata. Mi aveva voluto vedere fare la puttana ecco lo ero e senza via d’uscita. Nuda in una stazione del metro, non sapevo che fare, come uscire da li.
Dalla disperazione strappai la tendina dello sgabuzzino delle foto e alla bene meglio mi ci avvolsi dentro coprendo almeno le mie nudità .
Non potevo fare altro che salire sul treno successivo e raggiungere i due al capolinea
RODOLFO
Jamaal mi sorrise “Ti voglio mostrare dove alloggerà la mia puttana nei prossimi giorni”. Fermò l’auto e scendemmo. Lo seguii senza che mi dicesse altro.
Entrammo in un cortile interno poco illuminato. L’acciottolato dissestato, accantonati in un angolo sacchi di immondizia. Il cortile quadrato con le abitazioni su tre piani che si affacciavano su dei lunghi terrazzi come una vecchia casa di ringhiera. Alcuni personaggi sporchi, e ambigui ci guardavano. Jamaal sicuro di sé faceva strada. Bussò alla porta ed una voce roca dall’interno ci invitò ad entrare. Un locale, la cucina, un lavello con dei piatti sporchi accatastati, un tavolo con una tovaglia lercia, un divano trasandato. Seduto al tavolo un uomo in canottiera sulla cinquantina, tarchiato, estremamente peloso, quasi un gorilla, che fumava una sigaretta mentre sfogliava una rivista porno. Sorrise a Jamaal mostrando una dentatura marcia e giallastra. Si alzò accomodandosi, con la mano sulla patta, quello che teneva sotto i pantaloni.
“Smettila di farti delle seghe, altrimenti non potrai goderti neppure il regalino che ti arriva” gli disse Jamaal. Il bestione sorrise nuovamente e sbiascicò qualcosa in un dialetto di cui capii solo “prof salope”. Evidentemente il bestione sembrava al corrente di tutto. Poi indicandomi gli disse che ero io il marito prima che diventasse la sua schiava.
Bet sorrise “… in questo caseggiato ci sono parecchie persone che si farebbero volentieri questo bocconcino”
Avevo la salivazione azzerata “è qua proprio per questo che starà da te. Non si è mai prostituita realmente quindi voglio che la sua educazione sia rigida e tu ed i tuoi metodi mi sei sembrato la persona giusta, chi me l’ha venduta un vorrebbe anche che il suo degrado e le sue umiliazioni diventino sempre più perverse”
Il bestione guardò Jamaal e per un attimo anche me “le sue puttane che devono essere punite le correggo per bene – si accarezzò il braghetto aprì una stanza sudicia con un letto sfatto e lenzuola stropicciate e sporche – è il suo posto per sollazzare me e i miei amici ed i clienti, poi quando ha finito il suo lavoro la metto nella sua cella” quella parola mi offuscò completamente. “il bagaglio della tua puttana me l’hanno già fatto avere” ed indicò in un angolo le due valige di Mia che Gaston aveva riempito con gli abiti acquistati al sexy shop. Non avevo la forza di dire nulla. L’avevo vista godere nelle mani dei neri trattata come la loro puttana e poi usata come una latrina ed ora anche quelle ultime immagini non lasciavano dubbi. Era vero non poteva o non voleva più sottrarsi a nulla e anche lei sapeva verso quale destino stava andando volontariamente incontro.
La mia nuova minaccia di denunciarlo per sfruttamento della prostituzione cadde nel vuoto. Accese un monitor di un computer, aprì una cartella e comparve un video di Mia tenuta per le spalle da un uomo che le accarezzava le tette. Guardava in camera, sorridente e con voce sensuale si presentò dicendo chiaramente il suo nome e cognome e che lavoro faceva e continuando “Fammi diventare la tua schiava – la sua voce era tremula – sono una succhia cazzi … mi piace mi piace farmi inculare, farmi scopare da chiunque tu voglia, fammi diventare una puttana e mandami a battere per strada.” Ricordai, era il video che le aveva fatto Gaston nell’albergo ad ore la prima sera.
Portandosi davanti a noi ci fece cenno di seguirlo.
Girammo dietro il palazzo raggiungemmo uno scantinato. Una porta fatta di vecchie assi tarlate si apriva su una rampa che scendeva ancora più giù, per una decina di gradini malfermi fino ad arrivare ad una grata di ferro quasi una porta di una segreta. Il bestione girò una chiave arrugginita in ferro e entrammo in una fetida stanza illuminata da una lampadina che pendeva dal soffitto. Muri sporchi tappezzati da foto di falli in erezione; non c’era il pavimento ma solo della terra battuta, in un angolo un pagliericcio per terra profilattici usati più o meno consunti ed una coperta ricavata da vecchi sacchi, nell’altro angolo della stanza una gabbia di ferro larga un paio di metri ma alta non più di un metro e mezzo era sospesa per aria tenuta da una carrucola. Li l’odore della muffa si era sostituito con un odore acre, pungente di cesso. Il motivo fu chiaro quando accese una luce che anche se debolmente illuminava quell’angolo. Per terra ancora del pagliericcio solo più fetido bagnato e per terra escrementi ed ancora profilattici usati, appesa al soffitto una gabbia cilindrica sotto cui, nella terra si apriva una buca del diametro di due metri chiusa da una grata. Con uno sguardo verso l’alto fu chiaro che la buca poteva contenere la gabbia se fatta calare dentro.
Guardai Jamaal che, sorridendo chiese a Bet di spiegarmene l’uso “è una gabbia di punizione, la schiava disubbidiente viene rinchiusa li dentro, calata nel pozzo e lasciata il tempo necessario. La schiava è imprigionata nella gabbia senza potersi muovere nel buio e nell’umidità e come puoi capire nell’odore nauseante e nella melma lì infondo di quella che è una grossa latrina”
Da film dell’orrore ma soprattutto era estremamente degradante.
“Soprattutto dall’alto si può introdurre di tutto, ma io prediligo usarla come una vecchia turca” e con disprezzo finì per urinarci dentro.
“Dopo qualche minuto lì dentro credetemi la schiava sarà disposta a tutto pur di uscire. Anche la più ribelle dopo questo trattamento diventa più disponibile se non ci vuole ritornare”.
Quale mente avrebbe potuto architettare un simile marchingegno. Eppure dopo un primo smarrimento vidi Jamaal complimentarsi con il bestione. “Voglio vederla la schizzinosa e altezzosa professoressa qua dentro”.
Jamaal volle darmi qualche altra spiegazione.
“Se si comporterà bene resterà nella sua stanza di sopra e le potranno chiedere qualunque cosa. Sai la vita in periferia non è divertente e non capita spesso di poter usare un così bel giocattolo a piacimento”
Pensai che fosse solo un sogno delirante. No non poteva essere vero. Non riuscivo neppure a piangere dalla rabbia.
Uscimmo da quel tugurio. Jamaal salutò il bestione “non risparmiarle niente, mi raccomando” Il bestione sorrise “stanne certo”
Jamaal mi riaccompagnò al mio hotel “ho pensato di lasciarti un regalino per questi giorni” mi sorrise. “in fin dei conti goditi questa vacanza, e mi sono permesso di rimediare alla mancanza di tua moglie, sei a Parigi, divertiti”.
Mi aprii la portiera, salutandomi mi augurò ancora di divertirmi ed ancora non capii. Gli sbattei la portiera in faccia. Abbassò il finestrino. “Sicuramente starai più comodo di tua moglie” lasciandomi immaginare il destino di Mia sottomessa, umiliata, prostituita.
Ripensai a quel tugurio avrebbe accettato qualunque cosa pur di restare nella stanza di Bet che già non era un gran che o sarebbe stata rinchiusa in quella gabbia? Dovevo fare qualcosa, cercarla, ma dove? Rivedevo la stanza, quel pagliericcio inzozzato dal piscio misto a preservativi usati, quella latrina e lei nuda chiusa in quella gabbia. Potevo impazzire.
MIA
Finalmente il capolinea. Uscii anche se non fu facile uscire dalla stazione nello stato un cui ero, nuda e lercia, ma per fortuna, data l’ora e il luogo c’era pochissima gente.
Fuori trovai il nano e il clochard ad attendermi come immaginavo. Sottomessa al mio destino ad occhi basi quasi con paura mi avvicinai a loro. Il clochard prese il guinzaglio mi gettò un’occhiata “forse che ti abbiamo lasciato in questo modo sul metro?”. Mi sentivo osservata dagli ultimi passeggeri che uscivano dal metro. Mi guardavo intorno e capivo il motivo della sua domanda. Tremavo, ero impaurita ma le mie mani erano fuori dal mio controllo e lasciai la presa della tendina che mi copriva mostrandomi nuda in mezzo al parcheggio.
“come cammina una cagna” e all’ordine perentorio di quell’uomo mi misi a gattonare dietro di lui tenuta al guinzaglio. La mia vergogna cresceva via via che i pochi passanti mi incrociavano così come la mia completa e masochistica sottomissione.
I due salirono su un furgoncino con soli due posti e dietro uno scompartimento che immagino servisse a portare animali. Quindi i due presero gli unici sedili e io salii sul retro.
Dopo pochi chilometri anche fuori della periferia arrivammo in un cortile quadrato con attorno circondato da case di non più di tre piani, uno di quei cascinali di periferia dove al centro c’era una fontana con un abbeveratoio e al piano terra una volta c’erano stalle, ora era evidente che le stalle erano diventate abitazioni, anche se non avevano perso il loro aspetto.
Scendemmo dall’auto. Mi fu consentito di camminare dietro di loro sempre però tenuta al guinzaglio; ci recammo verso uno di quei locali al piano terra dove il clochard bussò alla porta. Dall’interno una voce ci invitò ad entrare perché comunque la porta non era chiusa a chiave. All’interno fui colpita subito dall’odore di stalla che faceva subito capire quale fosse stato l’uso di quel locale in passato, una cucina lurida, una tavola in legno grezzo e una sedia di paglia su cui sedeva un uomo, anche se di umano aveva ben poco. Un bestione, che si faceva chiamare Bet, enorme in canottiera e pantaloncini che rimanevano su solo grazie ad una corda annodata alla vita. Ma enorme era una definizione fin troppo gentile, un gigante, quasi un gorilla pelosissimo e poco pulito, tanto da riuscire a stento a riconoscere il colore della pelle.
Sentii i tre parlare tra di loro in una lingua, forse un dialetto, di cui a stento riuscii ad afferrare qualche parola come “prof salope” e “chienne”.
Mi indicarono una stanza squallida con un letto e delle lenzuola lerce: quella sarebbe stata la mia stanza che avrei condiviso con Bet quando era in casa. Mi indicò delle valige “potrai trovare qualcosa per cambiarti visto che domani ti porto in giro e non puoi di certo girare nuda per la città e con quelle calze”. Abbassai lo sguardo, le calze erano rotte dopo aver camminato per strada sulle ginocchia.
Se la cosa mi spaventava, in giro per la città con quell’orso, mi consolò il fatto che avevo riconosciuto le mie valige, almeno avrei trovato qualcosa di decente da mettermi.
Gli chiesi se potevo fare una doccia e lui si mise subito a ridere, così come fecero i suoi due amici.
“Se vuoi lavarti – mi disse quasi ridendo indicandomi un piccolissimo locale privo di porta con un water e un lavandino che forse un giorno doveva essere bianco – dovrai farlo nel lavandino che c’è in bagno, oppure vai in cortile e ti lavi con la pompa dell’abbeveratoio”.
Senza alzarsi dalla sedia aprì una bottiglia di birra che subito portò alla bocca per qualche sorso e mi indicò le valige.
“Forza salope, scegli cosa metterti domani.”
Mi avvicinai alle valige e mi accovacciai per aprirne una. Restai senza parole. Non c’era traccia di alcuno dei miei abiti che avevo portato dall’Italia. Era tutti abiti di uno squallore estremo gonne praticamente inguinali, abiti scollati o trasparenti. C’erano dei reggicalze e calze, autoreggenti bianchi e neri e anche un paio rossi. Tutti abiti evidentemente da prostituta tanto indecenti che quello che avevo indossato per recarmi al cinema sarebbe sembrato da educande, ogni indumento era un attentato al pudore e quello che era più indecente l’assenza di mutandine se non alcuni minuscoli e trasparenti perizoma. Scelsi delle autoreggenti nere velate e delle scarpe con il tacco molto alto. In quel caso non avevo scelta, avevano tutte il tacco molto alto e un minuscolo perizoma nero, anche in questo caso avevo pochissima scelta. Cercai tra gli abiti il meno peggio ma era impossibile trovarne qualcuno indossabile senza mostrarmi volgare. Come avrei mai potuto girare di giorno in quel modo?
“Non ho voglia di arrabbiarmi – disse Bet osservando le mie scelte – vuol dire che troverai domani quello che sceglierò io per te.”
Rivolgendosi poi ai suoi amici disse loro di mostrarmi la stanza delle punizioni e poi di portarmi in cortile per lavarmi velocemente, prima di ricondurmi da lui “ho le palle piene e devo svuotarle” disse volgarmente.
Li seguii verso una cantina o quello che era un locale alquanto sgangherato, posto alle spalle della palazzina che avevamo appena lasciato. Era chiuso da un cancello arrugginito e al di sotto del piano terra. Dovemmo infatti scendere dei gradini per raggiungerlo.
La prima cosa che avvertii già prima di entrare era il fetore di fogna o di qualcos’altro che proveniva da quello che mi sembrava l’ingresso dell’inferno. Il pavimento coperto di paglia e profilattici usati, un angolo dove la paglia era raggruppata più alla rinfusa era evidentemente usata come una latrina. In alto una gabbia simile a quella in cui mi avevano rinchiusa quando fui messa all’asta, ma molto più piccola e cilindrica. A stento poteva entrarci una persona.
Il clochard mi spiegò che quella era una gabbia punitiva. Se solo avessi cercato di ribellarmi o se avessi detto o fatto qualcosa di sbagliato, mi avrebbero rinchiusa lì dentro il tempo necessario a farmi capire che, in quanto schiava, avrei dovuto solo ubbidire a qualsiasi capriccio del padrone. E in quei giorni il mio padrone era Bet. Mi disse anche che i vari profilattici erano serviti a far divertire chiunque volesse farlo con la schiava che veniva messa in punizione.
Nel pavimento un buco rotondo proprio sotto la gabbia. Lo osservai a lungo e il clochard, vedendo che lo fissavo mi disse: “è meglio non sapere a cosa serve.”
Rimasi attonita e impietrita cercando di immaginare cosa mai potesse esserci di peggio. Uno strattone al collare mi fece capire di seguire il clochard che mi condusse nel cortile.
Fummo subito attorniati da uomini di varie etnie che mi guardavano, alcuni si spintonavano per cercare di guadagnare un posto in prima fila per potermi osservare meglio.
Sentii che facevano domande al clochard che gli ripeteva, a volte anche un po’ risentito che ero di proprietà di Jamaal e per qualche giorno Bet si sarebbe preso cura di me. Notai come avessero in gran rispetto più il primo che il secondo, perché nell’udire quel nome ammutolirono di colpo. Giunti nei pressi dell’abbeveratoio il clochard fissò il guinzaglio ad un gancio vicino un rubinetto al quale era attaccato un lungo tubo. Mi fece togliere quel restava delle calze e del reggicalze. Con un cenno mi indicò il plug che con vergogna, di fronte a tutti, mi sfilai. Prese il capo libero del tubo e aprì il rubinetto, immediatamente un getto di acqua fredda mi investì in pieno. Fui scossa per la sorpresa e per il freddo di quell’acqua. Era un orario molto avanzato e la notte era fresca, quindi quell’acqua non avrebbe mai potuto riscaldarsi al sole.
Il clochard mi fece girare più volte per pulire dal mio corpo tutto il lerciume che vi era appiccicato. Il getto forte fece in modo che le incrostazioni riuscirono ad andar via quasi del tutto.
Quando si ritenne soddisfatto della sua opera chiuse la fontana e riprese in mano il guinzaglio.
Qualcuno si avvicinò e chiese se era possibile avermi per qualche ora.
“Non preoccupatevi – concluse – non ora, ma da domani vi potrete divertire come vorrete con la salope.”
Guardai quei volti di gente così lontana dal mio mondo e capii che per i prossimi giorni sarei stata usata da tutti loro, persone che non avrei mai permesso di sfiorarmi con un dito.
Ritornammo in quella specie di locale che fungeva anche da cucina dove il mio accompagnatore presa dalla spalliera di una sedia una specie di straccio che una volta era stato un asciugamano e me lo dette per farmi asciugare. Poi prendemmo una porta alla sinistra che non avevo notato prima. Lì entrammo in una stranissima camera da letto, al centro un grosso letto a baldacchino in legno occupava gran parte dello spazio, a destra e sinistra c’erano due grossi specchi e anche la spalliera e il tetto del baldacchino avevano gli specchi. Luci soffuse attorno, ma nessuna musica particolare come mi sarei aspettata in un ambiente simile.
Il clochard mi fece sedere sul letto e appoggiò il guinzaglio sulle lenzuola dicendomi di aspettare che presto sarebbe venuto Bet, quindi uscì dalla stanza.
Ormai era chiaro che avrei dovuto soddisfare le voglie sessuali di Bet, anche per quello che aveva detto prima, e sperai che quel tempo che passava fosse necessario a farlo ripulire un poco.
Un’ombra alla mia destra mi fece sobbalzare, era arrivato in silenzio assoluto. Mi girai verso di lui ed ebbi paura. Lo avevo già visto prima, ma ora lo vedevo in piedi, davanti a me, enorme, uno scimmione immenso, pieno di peli, ancora con quella canotta e nudo dalla cintola in giù. Il suo sesso e la sua erezione erano direttamente proporzionali alla sua stazza. Qualcosa di enorme spuntava dal suo inguine, ma forse enorme era davvero un termine poco rispondente alla realtà . Mi ricordava molto il fallo del fauno nella sala dove mi hanno venduta, solo che questo era di carne e l’uomo era davvero un gorilla, per i peli e per la corporatura.
“Voilà enfin une belle femme chienne et salope.” Disse Bet facendomi alzare dal letto e abbracciandomi.
Con quel gesto mi resi ancora di più conto della statura di quello “scimmione” (non saprei definirlo diversamente), non sono certamente una donna bassa, ma avevo la fronte che poggiava sul suo sterno e sentivo il suo sesso duro contro il mio petto. Mi venne spontaneo prenderglielo in mano e sentirne la consistenza. Era molto largo, tanto che non riuscivo a chiudere le dita attorno al suo grosso cilindro. Mi scostai leggermente da lui e lo guardai, era davvero grosso, ma, nello stesso tempo, mi attirava.
Tirai fuori la lingua e, chinandomi un poco, gli leccai prima il prepuzio e poi il glande. Pensai che fosse impossibile prenderlo in bocca, ma ci provai. Aprii le mandibole il più possibile e accolsi tra le labbra il suo glande. Non potevo pretendere di sentirlo arrivare in gola, ma già il sentirlo contro il palato mi dava un senso di eccitazione che non avevo ancora provato prima. Inoltre quel sapore e quell’odore penetrante selvatico e animalesco fu percepito dai miei sensi come un potente afrodisiaco.
“Jamaal avait raison – mi disse prendendomi per i capelli e spingendo il suo sesso contro il palato – tu es une telle salope.”
Oramai in francese mi avevano detto di tutto e non mi fu difficile capire le sue parole: Jamaal aveva ragione quando diceva che sono una gran troia. Di certo non potevo che dargli ragione.
All’improvviso mi sollevò come se fossi una bambola e mi lanciò sul letto, mi fece allargare le gambe e puntò il suo sesso all’ingresso della mia vagina.
Cercai di allargarmi il più possibile anche perché lo desideravo, lo volevo, volevo sentirlo dentro di me e il mio respiro e il mio cuore che batteva all’impazzata ne erano testimoni.
Ero decisamente molto bagnata e questo, per fortuna, facilitò l’ingresso di quel grosso sesso anche se comunque mi fece male quando si fece strada dentro di me. Ma non volevo quel dolore, volevo godere e godere, così quando lo sentii toccare il mio utero lanciai un urlo sì di dolore, ma anche di piacere, piacere che stava già sostituendo il dolore.
Bet comunque non fu gentile, tutt’altro, iniziò da subito a muoversi con intensità e con violenza, lo sentivo sbattere contro l’utero e ad ogni colpo io gridavo per il dolore, la larghezza del suo sesso alla fine era sopportabile, ma i colpi che mi dava sempre con maggiore violenza erano davvero molto dolorosi.
Ad un certo punto si fermò, restando steso su di me e dentro di me per diversi secondi, con il glande che premeva sull’utero, col suo peso che mi schiacciava quasi, poi di colpo si sfilò e, senza nessuna delicatezza, mi girò pancia in giù, si posizionò su di me col suo grosso sesso tra le natiche premendo di nuovo sulla vagina che lo accolse quasi subito. Iniziò a muoversi piano, tanto che pensai che avesse finalmente preso consapevolezza del fatto che mi faceva molto male e si fosse calmato.
Mi sbagliavo.
Lentamente si sfilò e spinse tra le natiche.
“Maintenant je veux ton cul – mi disse subito – mets le tout seul.”
Capii che voleva che lo portassi io nella direzione del mio ano, così portai la mano dietro la mia schiena, lo presi e lo diressi verso il mio buchino. Prima di dirigerlo mi toccai e sentii che anche lì ero bagnata, forse perché prima il mio liquido vaginale era colato anche sul buchino.
Appena sentì che la direzione era giusta, spinse con forza il bacino facendomi urlare di dolore per la sensazione di essere lacerata.
“Troppo stretta – disse quando fu dentro di me – dovrò provvedere” e continuando a penetrarmi sghignazzò.
E iniziò a muoversi nel mio ano senza nessuna delicatezza. Entrava e usciva con forza e nell’entrare mi fava delle spinte molto violente.
Mi sembrava davvero di essere squartata e urlavo per il dolore, gli gridavo di fare piano, di fermarsi, di avere pietà , ma inutilmente. Anzi, più chiedevo pietà e più lui ci dava dentro, tirandomi anche per i capelli.
Alla fine si sfilò di colpo, mi rigirò e portò il suo sesso sul mio viso, mi fece aprire la bocca e mi scaricò in gola diversi getti violenti del suo seme.
Poi mi fece pulire il suo sesso con la lingua e le labbra e, quando si sentì soddisfatto, mi dette una spinta con un piede facendomi cadere a terra.
Disse che era stanco e che aveva bisogno di dormire, io dovevo dormire sul tappetino ai piedi del letto. Così andai dove mi aveva indicato e cercai una posizione la meno scomoda possibile.
Annunci69.it non è responsabile dei contenuti in esso scritti ed è contro ogni tipo di violenza!
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.