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Era una donna unica.
A dispetto di quanto potesse sembrare timida dall’esterno, aveva visto con i suoi occhi con quanta forza sapesse imporsi quando era necessario. La sua non era stata una vita facile, aveva dovuto tirare su un figlio da sola appena uscita dal liceo, ma era comunque riuscita a trentasei anni a crearsi una carriera ammirevole come agente immobiliare grazie all’aiuto di Susan, la sua zia materna. Quelli che la conoscevano solo di vista avevano l’impressione che fosse un coniglietto spaurito, ma chiunque avesse cercato di approfittarne aveva scoperto dolorosamente quanto sbagliata fosse questa impressione.
Al lavoro si era guadagnata il nomignolo di “colonnello”, uno sciocco gioco di parole col suo nome, “Coline”, da quando sei anni prima aveva fatto licenziare il suo capoufficio, Jordan Carpenter, un ex colonnello dell’esercito con un gran brutto vizio: a quanto si diceva, dava per scontato che qualunque donna lavorasse sotto di lui in ufficio dovesse essere pronta a fare lo stesso anche nel suo letto, se sperava di fare carriera. Che la donna in questione fosse interessata, nubile o per lo meno attraente contava poco per lui. Probabilmente qualcuno come lui abituato a comandare voleva solo esercitare il suo potere sugli altri. Che il suo mezzo per farlo fosse il sesso era solo incidentale.
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Coline aveva subito colto il suo sguardo: una donna gentile e riservata, in una posizione economica che non le permetteva di correre il rischio di perdere il lavoro e interessata ad avanzare nella societĂ . Le sarebbe dovuta cadere in mano come un frutto maturo.
Ma lei aveva avuto la forza di resistere alle sue lusinghe, che si erano poi trasformate in velate minacce e infine a un’aggressione avvenuta durante una nottata di straordinari, risoltasi con una spruzzata di spray al pepe, un portatile da più di mille dollari distrutto e un capoufficio con un trauma cranico con una prognosi di due mesi. Aveva rischiato il licenziamento, non avendo prove dell’accaduto (e i responsabili a cui aveva riferito delle molestie avevano misteriosamente perduto la memoria al profilarsi di una possibile causa per molestie che sarebbe costata alla società un occhio della testa) ma quell’impresa aveva dato la forza alle altre sue colleghe di alzare la voce e aveva costretto la sua società ad agire nel giusto, per una volta e per evitare una pessima pubblicità aveva offerto a Coline una ghiotta promozione. Ora occupava l’ufficio che era stato del e per aggiungere il danno alla beffa, agli occhi dei suoi colleghi ne aveva anche usurpato il titolo.
Era la prima volta che la vedeva coì abbattuta.
Non capiva il perché però. La sua famiglia, così relgiosa, così ipocrita, l’aveva ripudiata dopo che aveva deciso di non sposare il padre del bambino che aveva in grembo o di prendere l’altra alternativa – Adrian digrignò i denti – abortire il piccolo. Non importa quanto grave sia un peccato se si riesce a spingerlo sotto un tappeto, o in questo caso a infilarlo dentro l’inceneritore di un ospedale, pensò con amarezza. La morte di suo padre, un pastore protestante che non vedeva da anni, non avrebbe dovuto squoterla tanto.
Lui a malapena conosceva suo padre. Era un brav’uomo, ma non si poteva dire che fosse particolarmente adatto a occuparsi di una famiglia. Non gli portava rancore per non esserglistato vicino, ma dubitava che sarebbe stato particolarmente distrutto al suo funerale.
Quindi perché lei stava così male, lei che aveva tanti motivi per odiare quel bastardo ipocrita che l’aveva mandata via di casa appena maggiorenne?
Dopo circa mezz’ora di pianto initerrotto, lei si era accasciata fra le sue braccia e lui aveva cominciato ad assopirsi. La conosceva da sempre e non l’aveva mai vista come una donna. Era più come una qualche bestia selvatica, bellissima forse, ma impossibile da avvicinare.
Ma ora… Non è che trovasse attraente la sua vulnerabilità , sperava davvero di non essere il tipo d’uomo che era interessato alle donne solo quando sono in posizione di debolezza. Ammirava la sua forza, ma in qualche modo il vedere che le sarebbe potuto essere di sostegno e non di intralcio la faceva sembrare più umana, più avvicinabile.
Mentre era perso in questi pensieri., Coline si rialzò di scatto, si asciugò le lacrime e prima che Adrian si rendesse conto di cosa era successo se la trovò davanti con una botiglia di liquore, due bicchieri, e un sorriso poco convincente.
“Papà non avrebbe approvato una veglia funebre al malto” disse con tono ironico.
“Ma in fondo odiava anche i fiori e la sua tomba ne è comunque ricoperta.”
Adrian si stiracchiò e accettò uno dei bicchieri.
E ascolto tutto quello che lei aveva da dire sulla suo padre. Di quanto malgrado il loro atteggiamento bigotto si fossero voluti bene. Di quanto avesse sofferto per la morte della moglie. Di quanto avesse lottato per farsi accettare nella sua comunitĂ - lui, di etnia araba, in una cittadina del sud, a predicare in una chiesa metodista.
Adrian capiva un po di più quell’uomo e la donna che aveva davanti ad ogni parola. Le sue azioni erano comunque imperdonabili, ma poteva capire come un qualcuno che aveva dovuto fare i salti mortali per poter assumere un ruolo di autorità in un paese che odiava quelli come lui potesse essere distrutto all’idea di uno scandalo sotto il suo tetto.
Coline aveva ereditato da suo padre la carnagione scura, I capelli di mezzanotte e la tenacia di una sbarra di ferro. Da sua madre aveva preso il temperamento mite e gentile, la forma esile e due occhi di un azzurro antico che avrebbe fatto sembrare l’oceano più profondo una pozzanghera sporca.
Un paio d’ore e qualche bicchiere dopo, lei si era di nuovo sdraiata sul suo petto.
Adrian le diede un colpetto su una spalla, per vedere se fosse sveglia. Lei rispose con un rantolo assonnato.
“Colonnello?”
Coline non rispose.
Lui la scosse un po, ma le si limitò a un mugolio assonnato.
Adrian si alzò con delicatezza per non svegliarla. Pensò di portarla in camera da letto, ma anche lui aveva bevuto qualche bicchierino di troppo e le rampe di scale sembravano decisamente troppo ripide da fare con qualcuno in braccio al momento, perciò si limitò a prendere un plaid e a distenderglielo sulle spalle. Mentre si allonava per sdraiarsi sull’altro divano, lei lo trattenne per una manica.
“rimani quì, ho freddo.”
Adrian si sedette un non so scrivere a disagio. Lei lo spinse giù con delicatezza e si appiccicò alla sua schiena.
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Il calore del suo corpo, il suo respiro caldo sul collo no servirono ad calmare Adrian.
Senza alcun preavviso, Coline si spostò a destra, smettendo di sostenere Adrian che si ritrovò prono.
Poi si distese di nuovo su di lui, facendo finire una delle sue gambe in mezzo alle sue.
Seguì un momento di acuto imbarazzo per entrambi.
“Scusa” dissero all’unisono. Cercarono di scattare entrambi a sedere, ma il plaid li intralciò, facendoli finire a terra l’uno sull’altro.
“Tutto bene?”
“Si, il pavimento di marmo ha attutito la caduta.” Scherzò adrian massaggiandosi la fronte.
Coline si sporse per dare un occhiata, avvicinandosi al suo viso.
Si fissarono negli occhi, entrambi senza sapere cosa fare. Poi (nessuno dei due avrebbe saputo dire chi per primo) avvicinarono le labbra e si baciarono.
Tutto l’imbarazzo, il dolore per la perdita e la confusione di lei furono spazzati via dalle sensazioni delle sue labbra. Coline, con una sicurezza che il mattino dopo avrebbe imputato (mentendo spudoratamente) all’alcool gli mise una mano sul petto e lo spinse delicatamente a terra mantenendo le labbra incollate alle sue. Adrian era ancora impietrito, ipnotizzato dal tocco delle mani di lei sul suo corpo e dal sapore delle sue labbra. Quando lei si staccò da lui per un istante, temendo che avesse cambiato idea, si risvegliò dalla sua confusione e la tarscinò di nuovo con delicatezza verso di se, la cinse con un braccio e la baciò con ancora più passione.
Infilò l’altra mano sotto la sua gonna (lei non portava mai la gonna, lo aveva fatto solo per il funerale – ma quanto le stava bene…) e accarezzò lentamente la gamba di lei sinchè non raggiunse i fianchi. Scivolò sotto i collant e massaggiò le sue natiche ben tornite facendo scivolare le dita sotto la sua biancheria (“chi mette un tanga a un funerale?” ebbe la lucidità di pensare.). Poteva sentire il calore di lei, così intenso e così invitante in mezzo alle sue gambe…
Coline nel mentre, da donna intraprendente che era, aveva slacciato i pantaloni del completo di lui.
Con un enorme sforzo di volonà si staccò da Adrian il tempo necessario a togliergli i calzoni e a sorridere alla vista dei suoi boxer ricoperti di cuoricini – un suo regalo del natale scorso – che per qualche ragione sembravano troppo stretti al momento. Poi gattonò sino al centro del folto tappeto che occupava gran parte del salotto, si sedette con le gambe distese, con la gonna che lasciava scoperte le sue gambe brune e un sorriso sornione stampato in volto. Fece cenno ad Adrian di avvicinarsi. Non se lo fece ripetere, e mentre lei si distendeva, lui le sfilò i collant e quel tanga così inappropriato. Si concesse un momento per ammirarla – sembrava quasi blasfemo, una donna vestita di tutto punto per un lutto, ma senza mutandine e in attesa di essere scopata. Infilò di nuovo la mano sotto la sua gonna e la massaggiò con delicatezza. Lei si lasciò sfuggire un gemito che avrebbe spinto un angelo al peccato. Non riuscendo più a trattenersi, Adrian affondò la testa fra le gambe di lei e cominciò a baciarla e ad assaporarla con entusiasmo. Il suo odore e il suo sapore erano inebrianti, tanto che non sapeva se sarebbe riuscito a staccarsi da lei.
E a giudicare dal suo ansimare e dal modo in cui premeva fra le sue gambe la testa di lui, anche lei doveva star gradendo l’esperienza.
Dopo qualche minuto di quel trattamento, I gemiti di Coline cominciarono ad aumentare di
intensità e il suo corpo a scuotersi. Giunta al culmine del piacere inarcò la schiena, affondò le unghie nel tappeto e lanciò un grido deliziato che pian piano si spense in un gemito soddisfatto.
Quando recuperò abbastanza lucidità aprì gli occhi e si trovò di fronte a se il piacevole spettacolo di Adrian, che si era ormai sbarazzato dei suoi boxer regalo e sfoggiava una srupenda erezione.
Con un sorriso che diceva più di qualunque parola, Coline cominciò a sbottonarsi la camicetta (fece in fretta – alcuni bottoni erano già saltati nella foga di poco prima) e divaricò leggermente le gambe con aria lasciva.
Adrian si inchinò le raccolse la gonna ingrembo mentre lei si aggrappava alle sue spalle e facendola poi sdraiare gentilmente a tera, entrò dentro di lei con facilità inaspettata. Inspirò a fondo e rimase per qualche istante così, crogiolandosi in quel tepore che aveva tanto desiderato.
Coline dal canto suo si godeva la inebriante sensazione di essere completamente riempita dalla carne di lui – poteva sentire il suo pulsare lungo tutto il corpo.
“Scopami” mormorò all’orecchio di lui.
Adrian cominciò a muoversi, con dolcezza e forza, mentre le sue mani e la sua bocca esploravano ogni angolo del corpo di lei – le sue natiche, la sua schiena, il suo seno che era ormai scivolato fuori dal suo reggiseno rosa (Malgrado il momento, Adrian non potè evitare un sorriso.). Prima che il piacere la invadesse, Coline ebbe qualche secondo per pensare che avrebbe dovuto chiedergli di indossare un condom, ma qualunque remora avesse crollò quando cominciò a morderle il lobo di un orecchio e a massaggiare delicatamente il morbido buchetto del suo sederino.
Ogni volta che Coline pensava di aver raggiunto l’apice del piacere, Adrian la portava più vicina all’estasi con una nuova, più profonda spinta.
Senza neanche ricordarsi di averlo fatto, si accorse che aveva incrociato le gambe dietro la schiena di lui e che le sue unghie vi erano affondate come artigli. In uno sprazzo di luciditĂ si sorprese che non avesse dato segni di dolore.
Adrian nel metre era a malapena cosciente di qualunque cosa non fosse la della donna che aveva di fronte, il suo odore, il suo sapore, i suoi gemiti. Mai aveva pensato che quella donna, così forte ma così controllata, potesse scatenarsi a quel modo animalesco.
Fisso incantato la sua espressione di pura lussuria e si sentì attraversare da un brivido di orgoglio maschile sapendo di esserne l’artefice.
Mentre le spinte di lui aumentavano d’intensità e vigore, Coline si morse le labbra cercando di non perdere completamente il controllo. Poi, con voce rotta dal piacere, mormorò all’orecchio del suo amante:
“Vienimi… vienimi dentro…”
Al sentire queste parole, Adrian sentì una nuova ondata di vigore pervaderlo. Con rinnovata forza
continuò a penetrarla con un ritmo sempre crescente, sinchè Coline venne come un fiume in piena,
il suo intero corpo invaso da un piacere piĂą intenso di qualunque cosa avesse mai provato.
Adrian venne con un grugnito animalesco, con più forza e abbondanza di quanto gli fosse mai successo, mentre Coline lo spingeva dentro di lei con braccia e gambe. Coline Sentì il suo seme caldo e abbondante scorrere fuori da lei, ma qualunque preocupazione avesse al riguardo non era abbastanza forte da farsi strada attraveso le ondate di piacere che ancora la attraversarono. Il suo istinto aveva preso il sopravvento su qualunque parte logica del suo cervello.
Quando Adrian si fù ripreso dallo sfozo, la osservò per un attimo, poi, come risvegliatosi da un sognio balbettò:
“Ti… ti sono venuto dentro non… io…”
Coline, ancora ansimante, gli mise un dito sulle labbra.
“Non sarebbe poi tanto male avere un figlio da un ragazzo come te Adrian. E poi” Disse lei infilandosi una mano fra le gambe con aria maliziosa “niente batte questa sensazione.”
Adrian la fissò imbambolato, prima di darle un’ennesimo bacio appassionato e abbracciarla.
Poi, travolti entrambi dalla fatica, dall’alcool e dalle emozioni dela giornata, si addormentarono entrambi senza una parola, avvinghiati l’uno al calore dell’altra.
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Adrian fu il primo a svegliarsi. Passò un buon quarto d’ora semplicemente a fissare la donna che aveva a fianco. La conosceva da sempre, ma non si era mai reso conto davvero di quanto fosse bella: La pelle ambrata, i capelli neri e setosi, il suo profumo…
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Poco dopo, anche Coline si svegliò. Ancora assonnata, si girò verso Adrian e lo fissò per un istante prima di ricordare gli eventi della sera precedente.
Assunse quell’aria timisa che lui aveva sempre trovato buffa, ma che ora trovava irresistibile e si coprì il volto con una mano.
“Buongiorno”
“Buongiorno” rispose lei, con la voce ancora impastata dal sonno e dall’imbarazzo.
“Senti, riguardo a ierei sera…”
Coline assunse un’espressione dispiaciuta:
“Adrian, scusami, non avrei mai dovuto scaricare i miei problemi su di te io… nella nostra posizione…”
“Scusa? E’ stato magnifico. L’unica cosa di cui mi pento è di non averlo fatto prima”
“si, ma non possiamo…”
“non voglio che sia una cosa di una notte. Sappiamo entrambi che non si può rinunciare così a quello che abbiamo sentito.”
Lei gli sorrise, un po rasserenata e lo strinse forte a se, mentre un silenzio imbarazzato e felice cadeva sulla stanza.
Fu Adrian a romperlo:
“senti…”
“Mmmmsi?” mormorò lei nascondendo il viso nel suo petto
“Dicevi sul serio?”
“A cosa ti riferisci?”
“Quando… quando hai detto che non sarebbe male avere un figlio da me.”
lei si irrigidì fra le sue braccia e trattenne il fiato per qualche secondo.
Proprio mentre adrian era sul punto di scusarsi per la sua domanda, lei si scosse dal suo torpore.
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Aveva davvero detto una cosa del genere?
“Io… L’ho detto nella foga del momento, Adrian, ma credo… credo di volerlo. Dovremo discutere la cosa con calma, ma lo voglio. Ma!” disse lei cominciando ad alzarsi ” dovremo rimandare l’inizio dei suoi lavori. Siamo gia in ritardo.” disse lei guardando l’orologio del salotto.
Adrian la guardò con aria delusa, ma prima che riuscisse a formulare una protesta Coline si sporse verso di lui con le labbra protese. Adrian chiuse gli occhi, ma invece del caldo bacio da amante che si era aspettato ne ricevette uno molto più dolce e gentile sulla fronte.
Coline rispose con un sorriso al suo sguardo confuso “Devi andare a scuola. Non sarà bastata una notte da amanti a farti scordare che sono tua madre?”
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