Tortura cinese – Cap. 2: “Gocce”

“Faticoso, soprattutto, farlo a tempo pieno…”

Le quattordici ed un minuto.
Sentii aprire e chiudersi il cancello del
giardino accanto.
Rumore di tacchi decisi sul marciapiede.
Cinquanta passi e suonò il campanello.
Non mi affrettai ad aprire; anzi, indugiai quel tanto che bastava per far notare che non ero ad attenderla dietro la porta.
“Buongiorno, Professore.”
Paola protese le labbra. Ricambiai il bacio freddamente, anche se la sua lingua calda si insinuava provocante.
“Buongiorno. Sei in ritardo.”
“No, Professore! Mi aveva detto le 14”.
“Appunto. Due minuti di ritardo. Ti sei preparata?”
“Non bene come avrei voluto, Professore. Il bagno era occupato…”
“La prossima volta preparati per tempo. Rimedia. Vai in bagno ora.”

Pensai a quanto fosse difficile mantenermi impassibile, recitare la parte del master. Faticoso, soprattutto, farlo a tempo pieno. Mi costava un grosso sacrificio. Resistere all’istinto di coprirla di baci e di carezze. Per una volta almeno, avrei voluto smettere di giocare al professore e allieva, bruciavo dalla voglia di abbandonarmi alla passione che sentivo per lei. Sempre più travolgente. Però, mi ripetevo, avrei potuto rompere l’incantesimo di quel meraviglioso gioco che si evolveva già da settimane.

Da dietro la porta del bagno seguivo i suoi preparativi ascoltandone i rumori. Sentii che si sfilava i leggings di similpelle nera; una tortura che le infliggevo, uscire così in un caldissimo pomeriggio d’estate. Chissà cosa poteva pensare, chi l’avesse vista così conciata. Soprattutto, se le avesse rivolto uno sguardo sfacciato, si sarebbe accorto subito che era senza nulla sotto: la cucitura dei leggings le entrava profondamente tra le grandi labbra e le natiche, togliendo ogni dubbio. Ma non c’era nessuno in giro a quell’ora: i vicini, tutti vecchietti, in pennichella, come suo marito.
Sentii scorrere l’acqua calda nel bidet, il sibilo dell’aria che usciva della peretta, poi silenzio. Immaginai l’acqua tiepida che entrava nel suo retto. Poi lo sciacquone. Si ripetè tre volte.

Mi appoggiai sulla scrivania del Professore, mentre l’aspettavo. E finalmente arrivò. Nuda dalla cintola in giù, sopra indossava un giacchettino jeans stretto da cui trabordava il seno. Nulla di più eccitante e sfacciatamente erotico che vederla così semisvestita. Tra le mie preferenze in fatto di abbigliamento erotico non ci sono autoreggenti, reggicalze, perizomi che reggano il confronto. Mezza nudità (ma la più preziosa) offerta senza ritegno, impudicamente. E dall’alto di un tacco 12 che le slanciava il sedere all’indietro. Lei lo sapeva, che mi piaceva così sfacciata. Anche se non le avevo mai espresso a parole il mio totale apprezzamento.

“Professore, sono molto dispiaciuta”.
“Lo spero bene. Non hai svolto il compito che ti avevo assegnato”.
“Non ci sono state le condizioni giuste.”
“Non ti avevo chiesto molto, in fin dei conti!”
“Ci ho provato tanto! Ma gli si smosciava in continuazione…poi ho visto che lei aveva chiuso la finestra.”
“Per forza! Non potevo mica aspettare i vostri comodi tutta notte!”
Le avevo chiesto di fare un pompino al marito e di mostrarsi alla finestra con la bocca piena di seme.
Giusto per assegnarle un compito che mi desse intrigo mentale; non sono il tipo di master che affibbia i compiti più scontati, tipo tenersi dentro un plug h24 o un vibratore col telecomando.
“Siamo alle solite…dovrò punirti in modo ancora più severo del solito!”
Mi sfilai lentamente la cintura.
Si appoggiò alla scrivania, preparandosi ad essere battuta. Ma io le passai la cintura al collo, a mo’ di guinzaglio.
“Precedimi!”
Uscì dallo studio, ancheggiando lentamente a piccoli passi, ed entrò in camera.
La palpai tra le natiche, avvertii che era ancora umida dal clistere, qualche goccia le sfuggiva e le colava lungo le cosce. Questa conferma che avesse ubbidito al mio volere mi fece eccitare terribilmente. Pensai che anche questa preparazione avrei potuto seguirla, anzi effettuarla, personalmente.

Le tolsi il guinzaglio e la feci distendere prona sul letto, con le braccia lungo i fianchi e un cuscino sotto la pancia, in modo da far risaltare ancor di più quello splendore di natura che era il suo culo rotondo e sodo.
Mi ero procurato un cordino di cuoio di un paio di metri. Ripiegato in quattro parti, diventava uno scudiscio molto efficace. Le sferzai le natiche, a piccoli colpi molto mirati, avvicinandomi mano a mano sempre più al centro. Le feci divaricare le gambe il più possibile e gli ultimi colpi furono rivolti alla vulva, che grondava già copiosa la sua secrezione. Temetti che squirtasse. Ma non le sfuggì altro che qualche gemito.
Accesi la candela da massaggi e la lasciai scaldare ben bene per sciogliere l’olio, intanto le passavo il contenitore della candela sopra le natiche arrossate, per quanto non fosse freddo le donava ugualmente refrigerio, la sentivo rabbrividire. Iniziai a farle cadere le gocce bollenti lungo la schiena, prima dal collo poi giù giù sempre più copiose, mentre lei si contraeva e gemeva ma sforzandosi di restare ferma nella posizione di sottomissione in cui si trovava. Riversai l’ultimo contenuto di caldo liquido nel solco tra le natiche, da dove colò giù fino alla vagina; un ruscello che la fece inarcare ancor di più la schiena ed emettere finalmente un urlo non più trattenibile, ma era un urlo liberatorio, non di dolore ma di piacere; d’altronde l’olio era caldo sì, ma non ustionante.
Raccolsi il liquido ed iniziai a spanderlo massaggiandola, sia sulle natiche già infuocate che verso le parti più intime, infilandone in quel forellino che si era appena così accuratamente ripulita in ossequio ai miei voleri.
Sentendola sempre più ansimare e dimenare sotto le mie mani, non resistetti oltre. Mi denudai e le salii sopra, entrando come nel burro nel suo sfintere caldissimo e dilatato. Per qualche momento restai col corpo immobile disteso sopra di lei, contraendo i muscoli le facevo sentire il pene muoversi nelle viscere. Ad ogni mia contrazione rispondeva spingendosi verso di me, capii che soffriva a restare ferma, se non l’avessi montata brutalmente si sarebbe voluta muovere lei. Così accontentai lei e me stesso, iniziando a cavalcarla con tutta l’energia che avevo. Godevo della sua sottomissione fisica, che trovavo estremamente eccitante, ma pure dei suoi gemiti che diventarono presto urla di piacere ad accompagnare ogni mio colpo.
Il sudore mi grondava dal viso, dal petto, da tutto il corpo, come fosse distillato nell’aria calda e impregnata di afrori, diventò tutt’uno con il suo sudore, l’olio della candela, le sue secrezioni.
Quando avvertii che il piacere stava per condurmi all’orgasmo, per un istante mi balenò di trattenermi, ma la voglia di possederla fino in fondo e completamente era tanta che non mi fermai. Godetti sia mentalmente che fisicamente, come raramente accadeva, e mentre le riversavo dentro le mie ultime gocce, sentii le sue contrazioni orgasmiche stringermi e proseguire anche dopo che le mie si erano esaurite.
Rimanemmo fermi così, io sopra di lei di peso, lei abbandonata sprofondata nel letto, per un tempo indefinito. La luce del pomeriggio filtrava morbida tra le tende, si sentivano solo i nostri respiri, un canto di uccellino, rumori di traffico lontano.
Avvertii tutta la dolcezza del suo essere, del suo bisogno di servirmi e di donarmi piacere. Le scostai i capelli, ammirai la bellezza del suo viso così ancora arrossato per l’appagamento. Le baciai la guancia, lei si girò il più possibile e ci scambiammo un bacio intenso, di quelli…non tra master e slave.
Fu una parentesi. Per me, meravigliosa. Per lei… cosa darei per saperlo!
“posso andare in bagno?”
“si, ma non lavarti, rivestiti e vai così.”
Ubbidiente si infilò i leggings, si riassettò il trucco ed uscì di corsa.
Pensai con rinnovata eccitazione al mio seme che le stava uscendo e colava tra le gambe.
Pochi minuti dopo la vidi comparire sul suo terrazzo, con un paio di shorts, e si mise sullo sdraio al sole.
Ci messaggiammo:
“Perché hai tolto i leggings?”
“Scusi professore se non le ho chiesto il permesso…mi facevano troppo caldo. Me li devo rimettere?”
“No. Sei andata in bagno?”
“No Professore.”
“Brava. Tienimi dentro di te.”
“Lei è sempre dentro di me, Professore.”
Ci aggiunse un cuoricino, ben sapendo che poi per questo l’avrei punita.

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BDSM

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