The Sex Gambling Box: il Piacere di giocare. (Final Chapter)

“A quel punto ebbi come un mio-rilassamento e sentii la mia orina calda scendere a fiotti nelle mie mutandine e sul pavimento, sotto la mia schiena, senza che…”

O forse lo sfidai perché intimamente speravo mi avesse distrutto la patata
una volta per tutte.
Mi riarmai non senza fatica e qualche dolore.
Lanciai il sasso e non nascosi la mano.
Il Biondo si prese tutto il tempo a disposizione, prima di accettare la sfida, fino all’ultimo secondo.
Poi mandò tre brevi, ma intense, scosse al mio sedere. Andres si infuriò:

– “Come si permette quel bastardo? È un gesto totalmente illecito, viola tutte le regole. Corrisponde a una palpata di culo. Ma chi si crede di essere, Gesù Cristo?”

Poi lasciò la luce gialla d’attesa, evidentemente intendeva armarsi con molta calma, con strafottente lentezza. Io ero molto tesa e silenziosa, Andres in preda al nervosismo, passeggiava su e giù, all’interno dello scompartimento, come un felino in gabbia, ancora visibilmente alterato dalla vigliaccheria del gesto del mio antagonista.

– “Iniziamo bene! Iniziamo bene!” Continuava a ripetere.

Al verde, sotto la guida di Andres, inviammo subito gruppi da cento scosse, i primi dei quali, posteriormente. Ne avevamo mille da spendere, per fiaccare la resistenza del mio rivale.
Andres sapeva modularne direzione e intensità e, allo stesso tempo, controllava pulsazioni e pressione cardiaca dell’avversario. Provammo ogni creativa soluzione, con dolcezza e prepotenza, ad elettrodi separati e poi tutti insieme. Alla cinquecentesima scossa Andres sbottò:

– “Guarda questo… Lo vedi? Sta ridendo!”
– “Come fai a dire che sta ridendo?”
– “Lo capisco dal tracciato, non vedi? Ci sta prendendo per il culo!”
– “Come fai a capirlo dal tracciato?”
– “Sono cardiologo!”
– “Ah… Ecco perché…”
– “C’è qualcosa che non va. Non è possibile che… Questo non ce la racconta giusta…”

Dopo varie combinazioni, insistette sulla combinazione ano-prepuzio. All’ottocentesima scossa si alzò di scatto e disse:

– “Vado a cercarlo. Tu guadagna tempo, manda impulsi molto lenti.”

Mandai un impulso al secondo, la cadenza minima permessa, Andres aveva duecento secondi per trovare colui che da lì a poco avrebbe posto fine per sempre alla mia carriera di sex gambler.
Tornò che mancavano circa dieci scosse:

– “L’hai trovato?”
– “Ho individuato lo scompartimento, sono qui nello stesso vagone, ci sono una donna e due uomini: uno di colore e l’altro con i capelli nero corvino, nessuno biondo, ma questo non vuol dire nulla.”

Il tempo del suo handicap finì. L’aria si fermò. Noi ci guardammo ansiosi. Silenzio.

– “Che faccio? Tocca a me!” Chiesi sottovoce.
– “Prova con trenta scosse al glande, non troppo intense, simula una leccata dal basso verso l’alto. Vediamo che fa.”
– “Le mie trenta scosse al suo glande si tradurrebbero in trenta leccate al mio clitoride, non il massimo dell’inizio, per me. Se voglio continuare a lungo.”
– “Dagliele leggere e vediamo come reagisce.”

Mandai le mie trenta scosse, leggere, le lasciai dissolvere lungo l’asta del suo pene, come una lingua calda che percorreva languidamente il suo tronco, dal frenulo ai testicoli.
Andres monitorava i tracciati con aria perplessa:

– “Prova nel culo adesso… Gli ultimi nel culo.”

Il mio turno finì, non senza conseguenze su di me, ora toccava a lui.
Il suo attacco cominciò con dieci stilettate, esattamente nel punto in cui avevo lanciato io il mio primo attacco a lui. Solo che, le sue, sembravano piccole lame che mi tagliavano la punta del clitoride. Urlai di dolore, ad ogni scossa. Poi si fermò, improvvisamente, lasciandomi in una paradossale condizione di eccitamento. Il dolore stava lasciando strascichi di piacere. Proprio in quell’istante partì ancora con altre dieci scosse leggerissime, sullo stesso, ormai sensibilissimo punto.

– “Dio!” Urlai.

Mi rannicchiai su me stessa, portando i piedi sul sedile, abbracciandomi le ginocchia. Stavo per cadere su un fianco. Smise.

– “Sei arrivata a 138, c’è mancato poco.”
– “Sta giocando al gatto col topo.”

– “Devo individuarlo. Per me c’è qualcosa che non va. Dopo più di mille scosse ha ancora un battito a 120 e non si distinguono gli attacchi anteriori da quelli posteriori, non è umano. Oppure bara. Devo capire chi, di quei due, è Il Biondo. Mandagli una decina di scosse leggere al prepuzio e poi, una, secca, nel culo. Come una lama, fai così.” Mi indicò come. “Sentirà come un coltello che gli affetta l’intestino. Vediamo che faccia fa.”

Detto questo, Andres si spostò, appostandosi all’esterno dello scompartimento dei sospettati.
Io lanciai il mio attacco.
La lama che lanciai alla fine mi fece un male incredibile, mi morsi l’avambraccio, lo feci sanguinare.
Partì subito la sua replica. Fu terribile.
Una strana combinazione di scosse, mandate al mio intestino e al perineo, fecero in modo che gli impulsi si propagassero ai nervi delle gambe. Gli alluci si piegarono in avanti, mi presero dei crampi terribili. Nel frattempo, Andres ritornò nello scompartimento e mi vide a terra urlante. Mi prese le gambe sollevandole in aria e tirò i piedi all’indietro per alleviare il dolore. Poi gli impulsi mi aggredirono il nervo sciatico e trafissero la vescica. A quel punto ebbi come un mio-rilassamento e sentii la mia orina calda scendere a fiotti nelle mie mutandine e sul pavimento, sotto la mia schiena, senza che io potessi fare nulla per trattenerla. L’attacco finì e Andres mi sollevò da terra, sedendomi sul sedile.

– “Mi sono pisciata addosso.” Piansi. “Quello stronzo mi ha fatto pisciare addosso. Che umiliazione.”

Andres tirò fuori una sua camicia, mi disse di spogliarmi, di asciugarmi e di indossarla.

– “Quella puttana non è un uomo!” Disse.
– “In che senso?”
– “È una donna. È monosomica.”
– “Cioè?”
– “Ha la Sindrome di Turner.”
– “Che sarebbe?”
– “Sarebbe… Che ha un’alterazione dei cromosomi sessuali per cui le manca un pezzo dell’ultima coppia di cromosomi che è quella che determina il sesso delle persone. Per questo ha potuto ingannare l’orgasmus facendosi passare per uomo. Il che comporta avere un marchingegno da uomo e quindi giocare, praticamente, con un elettrodo in meno.”
– “Un elettrodo non è un cilindro e, specie in una donna, la cosa può fare la differenza.”
– “Esattamente così. La tua sciabolata nel culo le ha fatto spalancare la bocca. L’ho vista.”
– “Posso vederla anch’io?”
– “Tieni. Le ho fatto una foto.”
– “Ma questa è la donna che mi ha approcciata sulla banchina della stazione.”
– “Non è possibile!”
– “Ti dico che è quella!”

Andres spalancò la bocca come una Manta gigante in cerca di plancton:

– “La signora Rupert è Il Biondo!”
– “Pare di sì”
– “Quindi ha due congegni: uno da uomo e uno da donna e può giocare nei panni di uno o dell’altra.”
– “Direi che, come uomo è molto più forte…”
– “Eh certo… Per forza! Non lo è!”

Andres mi spiegò che la Sindrome di Turner poteva arrecare pesanti disfunzioni, se non addirittura malformazioni sessuali. Secondo lui, la Rupert, quando giocava da uomo, stando ai tracciati che lei mandava durante gli attacchi, aveva il cilindro nel sedere, al quale rispondeva normalmente, poi, aveva un elettrodo sul clitoride – che era quello che avrebbe dovuto essere applicato al prepuzio dell’uomo – al quale non rispondeva affatto. E, il terzo elettrodo, che, applicato al perineo dell’uomo agiva sui testicoli stimolandone eccitazione ed eiaculazione e, a lei, in quanto donna, sortiva tuttalpiù un blando effetto erogeno. Siccome la Rupert, l’orgasmo lo raggiungeva eccome, Andres dedusse che alla donna mancasse o si fosse atrofizzato il clitoride e che l’unico suo organo sensibile sessualmente fosse la vagina, che lei si preoccupava di tenere assolutamente libera da aggeggi ed elettrodi vari.
Un attacco partì nella mia, di vagina:

– “Cosa succede?” Chiesi ad Andres
– “Abbiamo superato il tempo di contrattacco, così ha attaccato lei. Può farlo. L’ha fatto!”

Sferzò un paio di scariche appuntite, sulla punta del clitoride, le scosse percorsero le ghiandole surrenali e uscirono dai capezzoli, indurendoli come punte di corallo rosso. Poi mi piazzò quattro poderose scariche nel culo. Mi sentivo come impalata dal manico di salice di un badile. Grugnii per lo sforzo, sentii come un impellente bisogno di defecare. Poi dolore. Poi un piacere devastante irrorare tutto il basso ventre. Ero costretta in piedi, piegata in avanti, ansimavo. Cercai di aggrapparmi ad Andres il quale, divincolandosi, fece in modo che la mia mano, destinata al suo fianco finì proprio sul suo membro, che sentii duro e sontuosamente ingombrante. Fu solo per un istante, prima di spostarmi repentinamente la mano.

– “Sei a 158, non puoi più resistere Paula, vieni o rischi un infarto!” Gridò AndresColCazzoDuro.

Sentii i muscoli pelvici tendersi come corde di violino. Fiotti di liquido caldo e trasparente cominciarono ad uscire violentemente dalla vagina. Squirtai anche l’anima.

– “Hai fatto bene a venire!” Disse Andres: “Alla fine è un gioco, non si deve rischiare la pelle per questo, neanche se si tratta di tanti soldi.”
– “Ma io non sono venuta. Ho solo squirtato, ma non sono venuta.”

Andres mi guardò perplesso. Verificò sull’applicazione che non mi era stata decretata nessuna sconfitta, infatti.

– “E come si spiega questo?”
– “Per me lo squirting non è orgasmo. Tutto qui.”
– “Sei bella strana tu!” Disse sorridendomi e sudando.

Adesso toccava a me.
Per lui era evidente che la tizia volesse disidratarmi. Mancavano due veicoli per via dei quali si può disidratare un essere umano: Vomito e… Diarrea. Chiesi se, secondo lui, il mio concorrente potesse essere stato in grado di provocarmeli. Lui mi rispose che, se sul primo poteva anche avere qualche piccolo dubbio, sul secondo era certo che sì. Disse di avere un piano: prese dalla sua valigia del nastro adesivo americano, quello fibrato, grigio. Mi disse di lanciare un attacco di cento scariche a massima potenza nel posteriore. Gli attacchi alla massima potenza erano predeterminati e non più variabili né interrompibili. Diciamo che erano come gli sprint finali di una gara nella quale il primo che arriva perde. Mancavano pochi minuti al capolinea, ci giocavamo il tutto per tutto, non potevo certo lasciarmi disidratare da quella stronza. Mi fidai di Andres, non avevo altra scelta. Lanciai l’attacco. Le prime scosse mi fecero piegare in due, erano potenti pervasive, si riverberavano ovunque, capezzoli, clitoride interno ed esterno, reni. Alla decima scossa sentii l’orgasmo montare selvaggiamente, mi misi a farfugliare qualcosa tipo: “Bello, bello!”. Lui si impossessò della sua pistola, mi prese per mano, prima che le mie gambe mi impedissero di farlo e mi trascinò con forza fuori dallo scompartimento, fino a quello occupato dalla mia antagonista. Entrò di rabbia, minacciò gli altri occupanti di andarsene subito tranne lei: Il Biondo. Io mi sdraiai sul sedile di fronte in preda alle sferzate di piacere nel mio sedere, mi sentivo come impalata da un Mustang selvaggio.
Lui legò le mani della Rupert dietro la sua schiena e poi la sollevò a gambe all’aria divaricate, legandole le caviglie alla cappelliera di metallo. Le strappò le mutandine e si abbassò i pantaloni, non aveva certo bisogno di masturbarsi, nessuna preparazione. Consultò le pulsazioni di entrambe. Lei, con aria molto tirata, ma contenuta cercando di dissimulare il più possibile ogni cedimento, disse laconicamente:

– “Sei solo un grandissimo Bastardo!”

Quando giunsi appresso al punto di non ritorno, cominciai ad ansimare e fu, per lui il segnale. Penetrò perentoriamente la Rupert e cominciò a stantuffarla come un pazzo, gridando:

– “Vieni Troia! Vieni!”

Io venni quasi subito e le mie urla si mescolarono a quelle dell’orgasmo di lei, e solo per un secondo, non a quelle di Andres che eiaculò copiosamente sulla faccia della Signora Rupert, ancora in preda alle convulsioni.

Una luce rossa decretò la mia sconfitta.
Una luce rossa decretò la sconfitta anche alla Rupert.
Sentii, avvolta su me stessa, stremata, sul sedile di finta pelle del treno, il nastro americano di Andres che mi legava al bracciolo e non ebbi la forza di reagire e neanche di parlare.
Lo sentii solo dire qualcosa sulla possibilità di settare l’applicazione su “threesome” e notai una luce verde illuminare il display del suo telefonino, attraverso la stoffa leggera dei suoi pantaloni.
Il treno si fermò alla stazione finale.
Lui si asciugò il pene con la sua parrucca nera, aprì lo scorrevole e accomiatandosi disse:

– “Ve l’avevo detto: mai perso una partita in vita mia!”

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Lui & Lei

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