The dance of the Moon

Mia sorella Minta era sempre piena di piccole attenzioni nei miei confronti, anche quando giocavamo a rincorrerci, nella nostra grande casa. Faceva la spiritosa. Le piaceva vestirsi in modo provocante, o mostrarmi le sue belle gambe accavallate. Mi capitava di vederla triste e in lacrime per giornate intere, seduta sulla poltrona di pelle rossa accanto alla finestra, mentre fuori scendeva la pioggia’ ripeteva che Dio non esisteva, e alla fine chiamava me’

– Oh, fratellino mio, abbracciami, consolami’ muoio senza di te! Muoio! Oh, nessuno ci ha creati, nessuno ci ha voluti bene’ ho soltanto te, ti prego, accarezzami’

Mi capitava spesso di tornare dalla mia corsa in moto, quella bella moto da corsa che mi aveva regalato il mio paparone, e di trovarla in quello stato.

Non capivo se fosse davvero così triste, o se lo facesse apposta perché io le dichiarassi il mio amore.

– Starai accanto a me sempre, vero? ‘ mi chiedeva, piangendo, guardandomi con i suoi grandi occhi azzurri e languidi. ‘ Oh, non lasciarmi!

Io la abbracciavo, e lei cominciava a baciarmi e a baciarmi, e ogni bacio lasciava il segno del rossetto.

– Stringimi fra le tue braccia, oh, che sorte triste abbiamo, soffrire e morire! Noi, miseri mortali’

– Non &egrave così, Minta, no, non piangere!

Le asciugavo le lacrime con i miei baci, ma a volte mi accorgevo che lei rideva sotto quella maschera di malinconia. Era una maschera che metteva apposta, lo sapevo.

Non so se fu sogno o realtà.

Ma una volta la trovai davanti alla grande specchiera d’oro, che si provava una specie di toga nera. Era completamente nuda sotto, portava una grande collana a cerchi d’oro e le sue dita erano piene di anelli.

Una nube di fumo la avvolgeva’

Spense la sua sigaretta e venne verso di me, mi abbracciò e aprì la sua grande bocca rossa’ Che paura ebbi!

Sì, perché ebbi l’impressione che mi volesse piantare nel collo due grandi denti da vampiro. Ma invece mi sussurrò:

– Ci vieni alla festa, sabato? Ci sono le streghe’

E accarezzandomi il collo con le sue mani bianche, dalle lunghe unghie rosse, aggiunse:

– ‘I love you, my soul is in love with you’ I’m dying for your kisses.’

E disparve, in una nube di fumo.

Le streghe avrebbero ballato la musica techno.

E questo significava che volevano fumare come turche, scopare come lesbiche, bere e ubriacarsi dal calar delle stelle alle prime luci dell’alba, che le avrebbero dileguate come fantasmi.

Il pensiero mi condusse verso un luogo triste e desolato, dove il mare moriva urlando sugli scogli, e la notte era più stellata e magica.

La luna baciava la schiuma bianca dei flutti, era una notte di vento e di tempesta.

Ricordo che ero vestito da capitano, quasi avessi dovuto salpare per mari misteriosi a bordo del mio veliero, portavo una divisa con fregi d’oro, e un cappello bianco, da ufficiale.

C’era una gran darsena deserta, qua e là, delle bandiere dimenticate, che volavano al vento, erano rosse, bianche, turchine, nella debole luce lunare.

Dei nuvolosi grigi salivano dal profondo dell’immenso.

Al chiaro di luna, riunite in cerchio, apparvero le fate e le streghe.

Le streghe portavano delle lunghe toghe nere, che il vento apriva alle sue voglie, e mostrava delle forme bianche, delle gambe tornite, lunghe, ornate con reggicalze neri, dei piedi dalle unghie dipinte, dei tacchi a spillo, sotto dei baveri bianchi credetti di vedere dei grandi seni nudi, delle braccia formose, delle mani d’alabastro, disegnate per masturbare.

I volti erano quelli di bambole immortalate dal destino.

Alcune portavano delle grandi parrucche bionde, altre erano rosse, altre portavano dei lunghi capelli turchini, lunghi fino al fondoschiena. La brezza scompigliava quelle chiome, che parevano quelle di fantasmi.

Brillavano dei grandi occhi verdi, azzurri, castani. Vidi dei piedi di donna dolci come l’orgasmo, delle labbra rosse e languide, che tiravano dei baci, udii dei sospiri, d’estasi, vidi delle palpebre socchiuse come per sognare, ornate da lunghe ciglia nere.

Le fate sembravano tristi.

Ma invece sotto quei lunghi mantelli turchini c’erano dei corpi maschili, sì, le fate erano dei ragazzi, venuti per incontrare le gioie dei sensi.

Le fate e le streghe avevano cominciato a danzare in cerchio, mano nella mano, al martellare dei tamburi.

S’alzò la nebbia.

E come in un sortilegio vidi mia sorella Minta, nuda sotto il suo nero manto, con un cappello da strega sul capo’ Un uomo scopava con lei, l’aveva penetrata con la sua asta lunga e crudele, e agitava il suo corpo, faceva tremare il suo petto, tenendola fra le sue braccia.

Dalle rosse labbra di Minta fuggivano delle grida di piacere. La sentivo urlare:

– Ah, ah, ah’aha’

Dalla vulva le colavano umori d’orgasmo, che inondavano il corpo del suo maschio, le cui spinte pelviche divenivano sempre più furiose, mentre Minta, sospirando e gemendo, mostrava i suoi grandi denti d’avorio.

Venne una nube, e quella visione disparve.

Provai odio e gelosia, desiderio di vendetta e ferocia.

Io e mia sorella Minta facemmo ancora sesso, più e più volte, per suo stesso desiderio.

Rammento di come ci masturbammo reciprocamente, in una vecchia cattedrale abbandonata.

Lei aveva avvolto il mio pene in una delle sue calze a rete, e stava seduta sulle mie ginocchia, mentre le mie dita stropicciavano il suo clitoride bagnato’

Aveva la testa chinata all’indietro, rivolti all’indietro erano pure i suoi lunghi capelli rossi, e gridava d’orgasmo.


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Incesti

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