Si chiama Sonia. È una cardiologa e abita a Roma.
Questo è il suo racconto:
Caro Gladius, greazie per avermi risposto, ora ne approfitto per raccontarti come è andata che da candida colomba sono diventata un’ape regina.
Allora ero una tentacinquenne come tante, sposata e con due bambini, innamorata di mio marito, appagata. Credevo. E credevo che sarei stata fedele per tutta la vita…
Ma così non è stato… anzi.
Una piccola premessa. Sono nata nel 1971, figlia unica, educazione puritana, scuola in un istituto di suore, un solo fidanzato, Giorgio, che ha 22 anni mi ha portata illibata al matrimonio. Vita serena, felice, non sono mai stata una bacchettona ma assolutamente fedele, anche nei pensieri.
Cinque anni fa, era il 15 dicembre 2005, un giovedì, l’ho incontrato ad un party per gli auguri di Naatale in un locale dalle parti del parco Valentino.
Alto, con un bel fisico, sguardo magnetico. Rocco.
Ho intuito subito che quell’incontro era l’ouverture di un’avventura folle e straordinaria. Mi ha sorriso e non ho più capito nulla. Quello sguardo mi ha dato un brivido travolgente, irrefrenabile. Irretita, travolta dal richiamo impetuoso del fascino perverso del suo selvaggio ascendente primordiale, tutta la mia pudica innocenza si è snaturata in un istante in una carica erotica terrificante.
Un solo sguardo ed ero sedotta, mi struggevo nell’insano desiderio di essere sua. Era esplosa in me una veemente voglia pazza di farmi scopare da lui. Appena una semplice occhiata, uno sguardo superficiale ed ero pronta, disponibile,incurante di buttare all’aria il mio matrimonio, la mia onorabilità, la mia libertà. Avevo il viso in fiamme. Bruciavo già d’amore.
Se ne è accorto immediatamente, il suo istinto da predatore ha fiutato l’animale ferito e come un rapace è calato fulmineo su di me e mi ha straziata.
Sfacciatamente, senza il minimo imbarazzo, mi ha afferrata per un braccio e mi ha trattata come fossi una cosa sua.
Disperatamente ho tentato di recuperare un minimo di lucidità, di decoro. Non volevo che capisse che ero pienamente disponibile, schiacciata da un desiderio bruciante, in trepida attesa di avere un rapporto sessuale con lui. So che ero spaventata, inquieta, anzi sgomenta, ma smaniosa e impaziente di essere sua.
Ho anche tentato di respingerlo lanciandogli un altero sguardo di rimprovero.
Lui, senza proferire parola, mi ha baciata davanti a tutti, afferrandomi per la vita, e mi sono ritrovata avvinghiata a lui con il mio corpo, stravolto da tanta audacia e dal piacere che provavo,che autonomamente rispondeva con passione ardente e sfacciata al suo bacio.
Mi mancava il respiro. L’acuta percezione che lui sapesse che ero disposta ad condiscendere docilmente ad ogni sua brama, che tra le sue mani ero una bambola mansueta e fruibile, sottomessa al suo volere, martoriava furiosamente la mia anima.
All’improvviso, inaspettatamente, avevo incontrato il mio stallone, il mio toro, il mio bull.
Senza che me ne rendessi conto eravamo seduti vicini, la sua mano mi accarezzava la coscia. Era calda,suadente, terribilmente eccitante.
Mi accarezzava in maniera impudica, davanti a tutti, senza il minimo rispetto per la mia dignità. Eppure quel contatto volgare, arrogante e brutale, era irresistibile, non mi sarei sottratta per nulla al mondo.
Improvvisamente mi ha presa per un gomito e siamo usciti, e ancora mi ha baciata appassionatamente.
Sentivo il fuoco dentro di me, bruciavo di passione. Mi sono ritrovata nell’atrio di un albergo, me ne sono resa conto che stava già ritirando la chiave. Mi sono vergognata terribilmente ma non ho avuto il coraggio di protestare, e comunque volevo disperatamente che mi portasse a letto, anche così spudoratamente, senza neanche chiedermelo, come una puttana con cui soddisfarsi.
“Sei una magnifica troia” ha sussurrato, lasciandomi di stucco, uscendo dalla reception
“appena in camera mi farai un bel pompino con ingoio. Poi ti trombo.”
La ragazza al bureau doveva aver sentito, sono diventata rosso fuoco, non so se per l’imbarazzo o l’eccitazione. Ricordo chiaramente che in quel momento ho pensato che mi sarebbe piaciuto mi prendesse alla pecorina.
Non avrei mai immaginato di potermi lasciar coinvolgere in una situazione così volgarmente oscena, eppure ero già in ascensore, indecentemente stretta a lui che mi palpava le natiche senza ritegno, tutto il mio corpo rispondeva pienamente al suo ardore.
Mi sono appena resa conto di essere inginocchiata ai suoi piedi, gli slacciavo la cintura e cercavo il suo cazzo come un’affamata… come per magia la mia bocca si era spalancata, lui voleva sbattermelo in bocca e io volevo che me lo spingesse tra le labbra, lo accoglievo senza rimorsi, ero fuori di testa… me lo introduceva tra le labbra con inconcepibile brutalità, lo sentivo fin dentro la gola e aggrappata alle sue natiche tentavo di ospitare degnamente ogni centimetro del suo cazzo nella mia bocca, una cosa da impazzire… non capivo più nulla… succhiavo avidamente, golosamente, era enorme, nero, irresistibile. Pulsava.
Non conoscevo neanche il suo nome e aspettavo con ansia che godesse nella mia bocca.
“Sì, troia, dai ciuccia. Sei in gamba a poppare il cazzo. Ti piace il mio, non è vero?
Ammettilo che non vedi l’ora di soddisfarlo.”
In quel momento ho realizzato chiaramente che stavo tradendo mio marito, che quel gagliardo negro era risoluto a godermi tutta, a spassarsela con me, a gustarsi ogni mio recesso e invece di provare rimorso ho avvertito un brivido intenso di godimento. Sì, volevo che mi avesse tutta, che abusasse di me, che usasse il mio corpo come mio marito non aveva mai osato fare, che profanasse ogni mia fibra per trarne tutto il godimento che potevo dagli, che volesse prendersi.
Mi sentivo sua, una cosa sua, una schiava dedicata al suo cazzo.
“Sì Sì… è dall’istante che ti ho visto che lo desideravo … ho capito immediatamente che mi avresti fatta tua, ti supplico, sborrami in bocca, serviti delle mie labbra a tuo piacimento, fammi sentire una cosa tua, appaga la mia sete di te…” ho risposto provocante.
L’orgasmo mi ha afferrata mntre mi veniva in bocca, fiumi di nettare che ingoiavo come un’assetata nel deserto… ogni fiotto di sperma che inghiottivo era un’iniezione di felicità.
“Girati che ti inculo”
Parole oscene, testuali… le sue parole d’amore per me.
La parte razionale di me voleva dirgli di no, che non l’avevo mai fatto prima.
La femmina che era in me gridava di gioia, di felicità. Tacqui. Smaniavo che fosse lui a togliermi quell’ultima verginità, bramavo perderla per il suo piacere. Senza neanche sapere il suo nome mi avrebbe inculata!
Mi ha impalata d’improvviso. Mi ha iniziata alla sodomizzazione con un colpo secco spaventoso, mi mordevo le labbra per non urlare. Ma ero felice che mi stesse inculando.
Sì, ero felice che mi inculasse brutalmente, senza delicatezza, senza il minimo rispetto.
Appena ho potuto l’ho pregato di smettere, di fare piano, ero vergine dietro… lui mi ha mollato uno sculaccione ingiungendomi di stare zitta… ero solo una troia, una sua troia, aveva il pieno diritto, assoluta potestà, legittima facoltà, di rompermi il culo.
Ho annuito. Ho sussurrato che aveva ragione. Ho gridato che aveva l’autorità di rompermi il culo. L’ho incitato a fare di me quello che voleva, ero sua. Ero eccitata dalla sua crudeltà, felice che mi considerasse solo culo con cui divertirsi. Una serie di incredibili orgasmi mi hanno prostrata mentre mi sfondava con quel suo enorme arnese… mi lacerava… devastava.
Mi stava sventrando ed io mi offrivo senza posa e senza ritegno e lui trombandomi senza scrupoli mi dava della lurida troia, della oscena vacca, della depravata mignotta… e io accettavo tutto, anzi lo spronavo, lo amavo e agognavo, sognavo, di sentire il suo seme anche nelle profondità del mio intestino.
“Ora fammi una sega col culo” mi ha ordinato con voce perentoria “devi muoverti in modo che le tue chiappe sbattano sulle mie palle. Mungimi il cazzo con in retto, dai muoviti troia.”
Quando venne urlai di gioia. Pura, cristallina, devastante gioia. Un mix di felicità e beatitudine, di godimento. Poi me lo mise davanti ed ancora una volta fu devastante. Inizialmente mi scopava lentamente affondando fino alle palle per poi uscire quasi completamente, poi con una furia selvaggia, con un ritmo incredibile, colpi frenetici che mi procuravano un orgasmo travolgente dopo l’altro. Venne di nuovo, nella mia fica.
Ero annientata.
Mi ha montata e domata in maniera divina e bestiale, un opera d’arte di seduzione, di erotismo, di assoggettamento assoluto ai piaceri proibiti. Mi ha inseminata davanti, mi ha fatto bere la sua sborra e mi ha irrigato l’intestino in meno di due ore da quando l’ho incontrato.
“Voltati, fammi vedere come ti si è slargato il buchetto del culo.”
Ebbi un moto di pudore ma lo sguardo di Rocco era inflessibile.
Lentamente mi voltai. Mi era piaciuto come mi aveva fottuta. Chiamami quando vuoi, i miei buchi saranno sempre pronti per te, pensai mentre mi inchinavo in avanti per presentargli le terga che aveva appena schiuso all’amore.
“Come ti chiami? Dove abiti? …domani mattina alle nove vengo a trovarti, aspettami con indosso solo la guepiere e le scarpe… ”
Il giorno dopo venne a casa. Lo aspettavo nuda, anzi peggio, indossavo quello solo quello che mi aveva ordinato. E avevo scelto un corsetto indecentemente sexy, volgare, e delle scarpe con tacchi altissimi, da passeggiatrice, una mise oscena che metteva impudicamente in risalto il mio posteriore. Neanche un ciao, un bacio, mi ha sbattuta a pancia in giù sul divano e un attimo dopo il suo cazzo si è fatto strada nel mio culo, il culo che gli avevo presentato con dissoluta lussuria.
Urlai. Mi sodomizzò con la stessa furia bestiale del giorno prima.
Avevo gli occhi pieni di lacrime, ero disperata. E maledettamente eccitata. E straordinariamente compiaciuta.
Venne dentro il mio intestino, un fiume di lava rovente che mi marchiava e accettavo come oro fuso.
Neanche mi aveva scopata.
Seduto in poltrona mi ha ordinato di prenderglielo in bocca, poi ha abusato di nuovo del mio sederino, ha plasmato a lungo le mie natiche, diceva che doveva modellarle a misura della sua virilità, istruirle per bene al suo piacere. Si è diverto fino a quasi mezzogiorno.
Ero in balia della sua voglia, precipitata nel baratro della depravazione, sottomessa senza rimedio.
Durante una pausa gli ho detto, maledicendomi, che si era servito di me nella maniera che per anni mio marito mi ha chiesto e io gli ho sempre ostinatamente negato, che incredibilmente consideravo una condizione naturale e ovvia che fosse stato lui ad iniziarmi alla turpe pratica, che ero felice di essere sottoposta ogni sorta di umiliazione da lui. Ha sorriso affermando, senza ombra di sarcasmo, che sono piena di virtù, con delle cavità quasi illibate ma roventi, che sono un’ottima troia incapace di resistere a un vero cazzo, adatta ad offrirmi con vera passione carnale per soddisfare esigenze più scabrose dei maschi come lui.
Praticamente era lui che mi aveva fatta diventare donna, che era stato veramente uno spreco che finora mi si fosse goduta solo mio marito. E lo stronzo mi aveva anche lasciato intonso, per fortuna, la nicchia più gustosa e eccitante.
L’abbozzo di conversazione si è interrotto rapidamente, mi stava chiedendo dov’era la camera matrimoniale perché voleva incularmi sul letto nuziale. Arrossendo gli ho fatto strada.
Appena dentro mi ha rivoltata bocconi sulla coperta di pizzo. Sì, avevo messo la mia coperta più preziosa sicura che mi avrebbe fatto il culo lì. Ho avvertito che mi teneva per i fianchi e mi sodomizzava ancora, il mio ano ancora non si era abituato alle sue folli dimensioni, gridavo ancora di dolore, piacere, vergogna, ma in una surreale atmosfera di stupefacente godimento, felice che mi stesse inchiappettando nella mia alcova.
“Dai muovi quel culo”.
E io lo muovevo, mi stavo facendo sbattere nel culo e ancora non mi rendevo conto del perché.
“Ti va bene come ti sto strizzando il cazzo col culo? Devo sollevarlo di più?” gli chiesi servilmente.
Uscendo mi ha avvisata che la sera dopo avrebbe avuto bisogno di me.
Gli ho detto di no, che non potevo, in casa ci sarebbe stato mio marito e i miei figli.
“Ok. Per questa volta ci vediamo alle venti a Piazza Castello.”
No, non ha capito, scusa ma non posso proprio. Davvero.
Non ho capito io. Mi aspetta il giorno successivo in piazza, alle venti. Punto.
A proposito, ne avrei soddisfatti due la sera dopo, aveva invitato un amico con cui desidera provarmi mentre soddisfacevo un cazzo col culo e uno con la fregna, contemporaneamente.
No. No e no. Nooooo!
Sì.
La sera dopo mi sonopresentata a Piazza Castello. Mi sono consegnata come un agnello sacrificale dopo una giornata travagliata in cui avevo deciso cento volte di sfuggire e cento volte avevo capito di non potermi sottrarre.
Il giorno successivo ho confessato tutto a Giorgio mio marito.
Ma questa è un’altra storia.
Baci
Sonia
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