“C’era la consapevolezza che era questo il filo sottile che rinsaldava il nostro rapporto di coppia…”
Era il mese di luglio e ritornavamo da una breve vacanza. Indossavo
un vestitino a bretelline leggero, maculato, corto fino a metà coscia con sotto solo un perizoma e dei sandali bianchi con zeppa alta da dieci centimetri a cavigliera.
Durante il viaggio un po’ per il gran caldo, un po’ per la noia, mi addormentai. Al risveglio, eravamo fermi e incolonnati in autostrada. Chiesi a mio marito cosa fosse successo e mentre lo facevo, mi stiracchiavo e, rivolgendo lo sguardo verso l’esterno, mi accorsi che l’autista del camion fermo al nostro fianco, mi stava fissando le cosce che avevo leggermente divaricate e scoperte. Mi fissava senza ritegno, si passò addirittura la lingua tra le labbra facendo un inequivocabile segno di quello che mi avrebbe volentieri fatto. Gli sorrisi lanciandogli uno sguardo malizioso, volevo farlo eccitare. Quel tipo corpulento, con sicuramente più di cinquanta, cinquantacinque anni, con il suo aspetto poco curato, da quello che vedevo dalla barba trascurata e brizzolata come i suoi capelli, mi dava l’impressione di un gran bel maschio.
Cominciai a ballare sul sedile al ritmo di musica, mi muovevo in modo sensuale e lo fissavo, mi stavo esibendo per lui.
Mio marito Bruno, dopo un po’, mi chiese come mai guardassi sempre fuori dal finestrino ed io, poggiandogli una mano sulla coscia e continuando nella mia danza, gli risposi: “…tesoro, c’è un gran bel esemplare di toro da monta infoiato che mi ha chiaramente fatto capire quello che mi farebbe…”. Al che lui, con un gran sorriso stampato sulle labbra, rispose: “sei proprio diventata una gran puttana…”. Carezzandogli la patta dei pantaloni e notando la sua immediata erezione, gli ribadii: “amore, ho coronato solo il tuo sogno di avere una moglie vacca da far montare, per il tuo piacere, da vecchi stalloni porci e depravati più di te…”.
Dopo aver percorso qualche centinaio di metri a passo d’uomo, eravamo nuovamente fermi ed il camion era leggermente più avanti di noi, a quel punto, il porco camionista, per avere una visuale migliore, scese dal suo bestione. Bruno approfittò subito della situazione, scese anch’egli dall’auto e attaccò discorso con il camionista. Mentre parlavano, non mi staccava mai gli occhi di dosso e notai, con mio grosso piacere, che la patta dei suoi jeans era mostruosamente gonfia.
Mi intromisi nei loro discorsi, comportandomi da capricciosa e viziata, dicendo che ero stanca, annoiata e tanto affamata. Il camionista, che intanto aveva fatto le presentazioni con Bruno e aveva detto di chiamarsi Salvatore, per gli amici Turi, nel suo forte accento siculo, disse che a qualche chilometro da dove eravamo fermi, c’era un’area di parcheggio dove, se volevamo, si poteva sostare per riposare e magari rifocillarci, mangiando qualche specialità sicula che gli aveva preparato la moglie. Dopo una mezz’ora, riuscimmo ad arrivare alla meta.
Scesi dall’auto e, per la prima volta, mi trovai davanti a Turi, mi tremavano le gambe come ad una verginella al primo incontro amoroso. Gli chiesi dove potessi fare la pipì e lui indicò tutto il verde che era intorno a noi. Bruno si stava intrattenendo ancora in auto per prendere dell’acqua e qualcosa da mangiare che avevamo con noi per condividerla con il nostro nuovo amico. Andai dove mi aveva indicato Turi e feci in modo che potesse vedermi mentre orinavo. Mi fissava e si accarezzava i suoi gioielli mostrandone anche la consistenza, ero così eccitata.
Salimmo sul camion per mangiare, mio marito aveva anche preso del vinello per aggiungere un po’ di “pepe” a quella insolita serata e, infatti, dopo aver bevuto in compagnia, cominciammo a fare battutine piccanti sui camionisti e sulle signore che a volte si intrattenevano negli autogrill con loro e cose del genere. Avevo fatto degli apprezzamenti sul suo camion, su come era bella la visuale da la su e gli chiesi di provare a vedere come si stava al posto di guida, non se lo fece ripetere due volte e mi invitò ad andare da lui. Mi fece segno di sedermi sulle sue gambe, incurante di mio marito. Avvertii subito la sua erezione, la sua voce grave che mi sussurrava come dovevo fare per guidare mentre tenevo il volante, avvertivo il suo forte odore di maschio in calore. I capezzoli si erano inturgiditi e spingevano contro il leggero vestitino, sentivo la mia fica completamente bagnata.
Il porco senza esitazioni mi poggiò una mano sulla coscia e cominciò a carezzarla e dopo aver rivolto lo sguardo verso mio marito e visto che quel depravato già si stava toccando, risalì fino alla fica e iniziò a stuzzicare il clitoride, mi torcevo dal piacere sul suo cazzo, il mio respiro era affannoso e le sue dita avevano cominciato a penetrarmi violentemente, l’altra mano l’aveva insinuata nella scollatura e mi palpava il seno, mi strizzava con decisione il capezzolo, le nostre lingue si cercavano e si trovavano con voluttà. D’un tratto si fermò e mi ordinò di andare sul lettino alle nostre spalle, stavo distesa, mi ero già sfilata il perizoma ed ero pronta a riceverlo tra le mie cosce mentre lui si abbassava le brache mostrando finalmente quel gran cazzo che aveva tra le gambe grosso, gonfio con quelle vene in risalto e con quella cappellona violacea dall’eccitazione. Mi penetrò in un colpo solo con quel bel cazzone duro, urlai dal dolore, ma ben presto le mie urla divennero di piacere, mi sbatteva con decisione, le nostre lingue si intrecciavano, i miei orgasmi si susseguivano mentre con la coda dell’occhio vedevo Bruno che si menava l’uccello come un ossesso. Ero sfiancata da quel toro da monta di Turi che dopo un bel po’ che mi scopava mi rigirò a pancia sotto, mi inumidì il mio forellino con i miei stessi umori e mi penetrò nel culo con la sua verga. Avevo dolore, era molto grosso, ci misi un po’ ad abituarmi alle sue dimensioni, ma poi fu fantastico fino a quando mi inondò la pancia di una copiosa sborrata che mi procurò l’ennesimo orgasmo.
Ci abbandonammo esausti sul lettino uno accanto all’altro. Ero distesa su di un fianco in direzione di mio marito che si stava ripulendo della sua sborra mentre Turi alle mie spalle, con il respiro ancora affannato dallo sforzo di quella magnifica scopata, mi carezzava il culo e tra le cosce, dandomi un senso di piacere e rimanendo alto il mio stato di eccitazione. Passai l’intera notte con Turi, durante la quale mi scopò più volte.
All’indomani mattina, Bruno, che aveva dormito sul sedile, mi fece cenno che dovevamo ripartire. Turi mi fermò e fissandomi negli occhi mentre mi passava la mano tra i capelli, mi fece capire che voleva un ultimo regalino, mi spinse la testa verso il suo cazzone a riposo, mi bastò carezzarlo un po’, qualche colpo di lingua, una ciucciatina e fu subito di nuovo in tiro, glielo spompinai fino a farlo venire nella mia bocca e ingoiai tutto il suo nettare caldo, cremoso e appetitoso come era stato anche in precedenza.
Durante il tragitto di ritorno a casa io e Bruno non ci rivolgemmo una sola parola, erano i nostri sguardi, che ogni tanto ci lanciavamo, a parlare. Le nostre mani si cercarono e si strinsero in segno del nostro amore e dell’indissolubilità del nostro rapporto. Quello che era successo in questa, come in altre situazioni, sapevamo era un qualcosa di cui entrambi avevamo bisogno, non ne potevamo fare a meno. C’era la consapevolezza che era questo il filo sottile che rinsaldava il nostro rapporto di coppia.
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