“Ma le prove decisive e più difficili sarebbero dovute ancora arrivare, ed io non ne ero consapevole…”
Eseguo i suoi ordini quanto più velocemente posso e, indossate le autoreggenti,
vado subito in salotto.
E’ seduta in poltrona, indossa un body nero aderentissimo con le maniche corte, tipo ballerina, un paio di collant neri setificati e porta ancora quegli stupendi stivali di pelle nera lucida che così accuratamente ho leccato in precedenza.
“Prima mi hai leccato gli stivali, ora me li togli e ti dedichi ai miei piedi. Sono stanchi e sudati e quindi trattali con cura”.
Mi indica i suoi bellissimi stivali, che vorrei essere io ad indossare.
Gliele tolgo ed è poi lei a togliersi i collant.
“Desidero che insieme alle tue sensuali autoreggenti, tu indossa pure questo reggiseno di pizzo, che, come vedi, è anch’esso di un bel rosso fiammante.
Un regalino per te, per premiare la tua ubbidienza.
E’ ben imbottito come piace a te ed è un modo da parte mia per ringraziarti della tua assoluta sottomissione”.
Le parole di mia moglie mi toccano nel profondo, Sono come una parentesi tra i momenti del nostro gioco di ruoli. Un gioco per modo di dire, visto che ormai tale non è più, bensì, come ardentemente io desideravo, la realtà quotidiana.
Quelle parole sono un suo modo per uscire dal personaggio di crudele dominatrice e, divenuta per pochi secondi moglie affettuosa, dirmi quanto mi ama. Ne sono commossa e riempita di infinita gioia.
“Indossali poi inginocchiati davanti alla tua Dea e fai bene il tuo lavoro checca, altrimenti sarai severamente punita.”
Indosso il reggiseno, che questa volta è lei affettuosamente ad allacciarmi, e mi metto in ginocchio davanti alla mia suprema padrona. Lecco, bacio e succhio i suoi graziosi piedi. La loro vista è per me eccitante da morire e lei lo sa perfettamente.
Mi lascia fare, prendo in mano i suoi piedi, uno per volta e mi ci dedico più che posso, voglio farle sentire la devozione e la passione che ho per lei e faccio di tutto per riuscirci.
Mentre mi dedico a questo compito, mi tornano in mente i momenti del mio addestramento a schiava leccapiedi.
Prima di avere l’onore di leccare le divine estremità della mia Venere, ho dovuto abituarmi all’odore dei piedi. Fino ad allora avevo soltanto annusato la leggera fragranza di cuoio che i suoi sandali lasciavano sulla pelle del piede durante le calde giornate d’estate. Poi la mia Padrona decise di avvezzarmi ad odori più forti.
Dapprima mi costrinse ad annusare senza pausa i suoi stivali dopo che erano stati indossati per ore nel corso delle nostre passeggiate (allora uscivo ancora vestito da uomo).
Poi, dopo avermi costretta ad inginocchiarmi a quattro zampe ai suoi piedi, mi aveva messo un vistoso collare da cane ed un guinzaglio, che legò attorno alla sua caviglia in modo da mantenere il mio viso costantemente a pochi centimetri dal suo piede.
La mia divina Padrona inventò pure tecniche di tortura più raffinate, come il legare una scarpa direttamente sulla mia faccia col naso infilato dentro, lasciandomi così pure per ore.
Oppure mi legava le sue calze usate sul naso e contemporaneamente me ne metteva una sporca in bocca. All’inizio quelle torture erano un vero supplizio, ma ben presto l’eccitazione iniziò a superare il disagio e non vedevo l’ora che lei riprendesse ad addestrarmi all’arte della serva “leccapiedi”.
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Il tutto era reso ancora più degradante dalle umiliazioni e dalle risate che la Padrona non mi risparmiava, e dalle frustate che di tanto in tanto vibravano sul mio culetto nudo. Così, senza motivo, giusto per il gusto di frustrami ed il godimento che lei ne traeva.
Giulia diceva spesso che una Padrona non ha bisogno di avere un motivo per frustrare la sua schiava, lo può fare quando vuole per il semplice gusto di godere interiormente nel sentirsi onnipotente davanti al suo giocattolino insignificante …e mentre mi frustrava si toccava.
Io impazzivo di piacere nel sentirmi chiamare da lei “il mio giocattolino insignificante e di nessun valore che posso umiliare in qualsiasi maniera desidero”.
Finalmente io fui pronta a svolgere il compito per cui ero stata addestrata: diventare appunto leccapiedi.
Inizialmente la Padrona mi fece cominciare con i piedi puliti, insegnandomi a leccare caviglia, dorso e dita; poi passò alle suole, che richiesero molte più attenzioni e pratica: giusta pressione della lingua, leccate compatte e soffici, salivazione moderata.
La pulizia fra le dita richiedeva invece l’uso della punta della lingua, a colpi rapidi e decisi. Succhiare l’alluce e le dita risultò di più facile attuazione: dovevo infatti muovere la testa su e giù per alcuni minuti, ad ogni dito, ed aspirare delicatamente. Per una schiava devota come me fu quasi un’estasi mistica.
Che emozione sentire le unghie della mia divina dominatrice sfiorare il mio palato ed il calore ed il sapore delle sue dita nella mia bocca.
Il passo successivo fu la pulizia dei piedi sudati: già abituata all’odore forte, non ebbi difficoltà ad assaporare il sudore acre e salino e nutrirmi avidamente e devotamente dell’essenza dei piedi della mia Padrona, il suo nettare divino.
Ma le prove decisive e più difficili sarebbero dovute ancora arrivare, ed io non ne ero consapevole.
Venne infatti costretta anche a baciare i piedi dell’amante di Giulia. Pur se riluttante all’inizio a servire un maschio, le punizioni promesse per la mia reticenza mi convinsero subito ad ubbidire. Non temevo i ceffoni e le frustate, ma ero terrorizzata dai calci sui testicoli che mi erano stati promessi qualora non avessi obbedito
Una volta la Padrona si sedette sul divano con Manuel, ordinandomi di accucciarmi ai loro piedi; poi gli slacciò i pantaloni, estrasse il suo membro in erezione e mi fece avvicinare a pochi centimetri dal suo grosso glande pulsante.
“Guarda che bel cazzo, guarda quanto è più grande di quel cosino insignificante che hai tu in mezzo alle cosce e che nemmeno più si raddrizza. Questo si che è un vero cazzo. Annusalo, annusa bene Rayja, abituati all’odore”.
Poi iniziò a palpeggiare con le sue bellissime mani il membro del Manuel, che mugolava di piacere.
Ad un tratto si interruppe, porse la mano aperta davanti alla mia faccia e mi ordinò di leccarla. Aveva le dita lunghe e affusolate e le unghie perfettamente laccate di colore porpora.
Io obbedii ed iniziai a passare la mia lingua sul palmo, poi fra le dita, assaporando il liquido salino e trasparente che il pene di Manuel aveva iniziato ad emettere.
Poi mi ordinò di toglierle i sandali che indossava ed iniziò ad accarezzare coi piedi il pene di Manueli. Lo aveva catturato tra entrambi e si muoveva ritmicamente, fino a quando lui non venne, emettendo un grido di piacere ed inondando di sperma il collo e il dorso dei piedi di mia moglie. La mia Padrona continuò a strofinare le suole dei suoi piedi sul glande dell’amante, raccogliendo i residui di liquido. Poi mi fece cenno col dito di avvicinarmi, sorridendo beffardamente.
”Ti piacciono Rayja i miei piedini?”
“Si padrona e bagnati del liquido del tuo amante, nonché mio Padrone, li amo ancora di più”
“Ero proprio ciò che desideravo sentirti dire maritino mio diventato ormai una vera donna.
Spero tu abbia osservato bene come ho accarezzato e portato all’orgasmo il pene del mio stallone.
La prossima volta toccherà a te masturbare allo stesso modo Manuel.
Ora avrai l’onore di ripulire i piedi della tua Dea e dovrai farlo dolcemente”.
Incominciai a leccare via lo sperma, iniziando a leccare prima il collo, scendendo fino alle dita, succhiando queste una ad una.
Mentre lo facevo i due mi deridevano e di tanto in tanto mi facevano girare e mi frustavano le natiche, quasi fino al punto da farmi piangere.
Intanto il sapore dello sperma, acido e salato, patinava la mia bocca, riempiendola di eccitazione. Alla fine leccai le suole, mentre la mia Padrona si distendeva e rilassava.
Questo fu l’epilogo del mio percorso di addestramento a venerare i piedi. Mi sentivo ancora più pienamente appartenente alla mia Padrona e provavo un immenso piacere nell’esaudire gli ordini della mia Dea.
Ero diventata ancora più schiava fedele di Giulia, sempre più insaziabile nell’umiliarmi, e del suo amante.
Ero a tal punto sottomessa e rassegata a subire umiliazioni sempre crescenti ed a tal punto oggetto dei loro capricci da spingerla a pensare e fare cose orrende.
Azioni impensabili, che la sua fantasia perversa, guidata dalla certezza di essere onnipotente nei miei confronti, escogitava in continuazione.
Una volta mi ordinò di leccare e succhiare a lungo l’alluce di Manuel. Poi mi fece girare, sempre a quattro zampe, volgendo loro la schiena, e chiese a Manuel di infilarlo nel mio ano-vagina.
Lui non ebbe bisogno di spingere forte affinché penetrasse bene dentro di me.
Sfondata come già allora ero, entrò facilmente …e la cosa mi piacque moltissimo.
Il seguito però fu tremendo. Sebbene io fossi girata, quando lo estrasse dal mio buchetto, potei sentire subito il profumino che si diffondeva per la stanza. Quando mia moglie mi ordinò di girarmi nuovamente verso di loro, di aprire la bocca ed allungare la lingua, io iniziai a tremare e sudare.
Sapevo che quando Giulia era molto eccitata non si fermava davanti a nulla, ma credevo vi fossero dei limiti, dei tabù e dunque non credevo che la mia Padrona si sarebbe mai spinta a tanto.
“Ti imploro mia Divina Padrona, non costringermi a fare questo. Ti prego, ti prego abbia pietà della tua insignificante serva …questo no …ti prego, questo no”.
Piangevo come una bambina e più le mie grosse lacrime venivano giù, più loro due ridevano e più Manuel mi avvicinava l’alluce alla bocca”
L’ordine della mia crudele Padrona fu netto e quasi urlato:
“Apri quella tua bocca da troietta, tira fuori quella tua lingua da lecca cazzi e comincia a succhiare quell’alluce sporco. Non mi importa niente se quelle tue labbrucce rosse di travestito e cornuto consenziente si sporcheranno.
Poi, quando avrai inghiottito tutto, il rossetto te lo rifaccio nuovo io”.
…e scoppiarono entrambi a ridere.
Non pensavo che entrambi si sarebbero divertiti così tanto a prendermi in giro mentre iniziai, prima esitante e poi rassegnata, a leccare e poi succhiare quel prelibato alluce, sporco della mia stessa popò.
Serva ubbidiente, io pulii ogni traccia, inghiottendo tutto e lavando bene l’alluce.
Devo dire che era sporco appena.
Dovendo essere pronta a servire senza preavviso la mia Padrona, mi accerto di essere sempre linda dentro e non dimentico mai di fare una peretta di pulizia …qualche traccia però rimane sempre!
Mentre loro ridevano, a me scendevano le lacrime dagli occhi per l’indicibile umiliazione, di una crudeltà intensa, a cui ero stata costretta per il loro capriccio e piacere.
Mentre io continuavo a piangere a dirotto, Giulia e Manuel si masturbavamo a vicenda e raggiungevano entrambi quasi subito davanti ai miei occhi, un intenso l’orgasmo.
Mi chiedo se può esistere una punizione più umiliante che si possa infliggere ad un marito schiavo, cornuto e checca?
Mi risveglio da questi ricordi nel momento in cui sento la sua Divina voce, che mi riporta al presente.
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