“Riconobbi la signora dell’appartamento attiguo al mio che, come sempre insonne, camminava per le stanze; riconobbi il signore del piano di sopra che…”
Fu il calore a svegliarmi, quella notte, assieme ad un ansito.
Ansito che s’era liberato dalle mie labbra schiuse, felice di non esser stato ancora una volta trattenuto da esse.
Calore dell’orgasmo che irrefrenabile aumentava, onda di marea che mi fece affogare in un mare bollente, tumultuoso e dorato.
Quando ne riemersi, ripresi lentamente coscienza del mio corpo, del respiro affannato, del cuore che batteva rapido in ogni dove, della mano che giaceva abbandonata poco sotto l’inizio della coscia, a sfiorar la pelle vellutata dell’interno.
Che nel sonno avessi sfiorato più e più volte la pelle morbida e umida, magari assecondando ed imitando le carezze d’un onirico amante; o ch’avessi voluto immergermi più a fondo, consapevolmente, nell’onda crescente?
Mossi la mano a risalire piano le cosce schiuse, il ventre ancora ansante, un capezzolo inturgidito, godendomi la placida e dolce sensazione che il ritirarsi dell’onda aveva portato.
Non avevo preciso sentore del luogo, del tempo e dello spazio ma non m’importava.
Presi dal comodino il bicchiere che credevo colmo d’acqua e lo trovai vuoto.
Il balenare della piccola luce sul comodino, quando l’accesi e mi alzai dal letto, mi riportò al presente.
Mi chiesi se, per caso, i miei avessero sentito qualcosa ma subito rammentai che quella notte ero sola in casa.
Rammentai quel dettaglio anche in virtù dei brividi che d’improvviso incresparono la mia pelle.
Ero nuda.
Ero sola in casa, quella notte, e in virtù di ciò mi ero coricata senza nulla addosso.
Resa stranamente felice dalla rivelazione andai in cucina, sebbene temessi che i miei fossero in casa e ogni rumore che sentissi era manifesto del loro risveglio improvviso.
Non ero abituata ad esser l’unica abitante della casa e ancor meno ero abituata a dormir svestita, sentendo il lenzuolo direttamente sulla pelle – girar per casa in quel modo poi, quello ancor meno – e l’appagarsi di questi miei desideri era così raro ad accadere, per questo ero così confusa, come se mi trovassi in un sogno che, forse, sarebbe potuto diventare un imbarazzante incubo.
Trovai sul frigo il biglietto dei miei che confermava ogni supposizione.
Sorrisi contenta, assaporando quelle ore di libertà.
Tornai a letto, nella mia alcova di cuscini, e mi misi ad ascoltare i rumori attorno a me in attesa di riprender sonno.
Riconobbi la signora dell’appartamento attiguo al mio che, come sempre insonne, camminava per le stanze; riconobbi il signore del piano di sopra che rientrava dal turno di lavoro, li ascoltai vivere, rubai quei loro momenti immaginando i gesti che compivano.
Forse stavo per assopirmi ancora, quando sentii un languore attorcigliarsi nel bassoventre, quasi a rimarcare che quella notte era la mia notte, che non potevo volevo dormire.
Assecondandolo quasi per gioco mi sfiorai i fianchi e la pancia, sentendoli contrarsi per il solletico.
Non trattenni un risolino.
Con le unghie mi carezzai il collo e le braccia, mille brividi alimentarono il serpente attorcigliato.
Dalle braccia passai ai seni che tornai a carezzare con le dita umide di saliva.
Riportai l’indice e il medio a stuzzicare le labbra e la lingua, li bagnai nuovamente.
Alzai un poco il busto, volevo vederli e vedermi mentre li poggiavo sul monte di Venere e poi più giù.
Vidi e li immaginai mentre si posavano sulla mia vagina, mentre accarezzavano la pelle liscia e tenera, mentre entravano delicatamente fra i petali di quel fiore di carne per cercarne il nettare.
Quando lo trovarono li riportai alla bocca, ne sentii il profumo e il sapore.
Ripresi le carezze, l’altra mano che lambiva e graffiava i seni, il ventre, le cosce per poi dirigersi verso il comodino.
A sottofondo c’erano i miei ansiti, i miei gemiti, i miei sospiri che quella notte potevano uscir liberi dalle mie labbra per illuminare la notte e bruciarsi rapidi come lapilli appena toccavan l’aria.
Rallentai, mi sottrassi dispettosa alle onde sempre più forti per far durare tutto il più possibile.
In quel momento, come altre volte, desiderai che la mia libertà si prolungasse, desiderai viver per conto mio, per non dover più preoccuparmi di far tutto senza rumore, per poter appagare il desiderio quando lo sentivo nascere, appena un filo d’umori scendeva a bagnarmi, invece di reprimerlo e soffocarlo con la cenere; desiderai poter comprare e tenere in casa quello che più volevo, prender dal cassetto un vibratore o un altro giocattolo invece di una candela senza il timore d’esser scoperta.
Eppure, anche quella notte il mare iniziò a ribollire e le onde aumentarono d’intensità e altezza.
La candela cadde, continuai a percepire l’umida e solida presenza contro i glutei e le cosce, e la sostituii con le dita.
Entravano, uscivano, massaggiavano il clitoride sensibile e gonfio, tornavano di nuovo a bagnarsi, la schiena s’inarcava per farli entrare più a fondo.
Un’onda, la più alta di tutte, mi sommerse e annegai in un mare di piacere denso e caldo.
L’acqua era diventata fuoco, fiamme e braci.
Portai un dito fra le labbra, lo presi fra i denti mentre il fuoco m’investiva e consumava, lasciai il segno dei denti sulla seconda nocca.
Ero fuoco e acqua.
Il corpo bruciava ancora, bollente e caldo, acqua densa e bianca mi bagnava fra le cosce.
Pian piano, mentre il respiro rallentava, scivolai dolcemente nel sonno.
● Vi rubo qualche istante, prima che chiudiate la pagina, per ringraziarvi d’aver letto quello che è il mio esordio letterario in questo sito è – più in generale – il primo scritto di letteratura erotica – o che prova ad esserlo –
Spero vi sia piaciuto e che vogliate lasciare un segno del vostro passaggio ●
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