““Sì…”, mormorai, fissando la troiona sullo schermo che cavalcava il poderoso birillo di un uomo, di cui si vedevano soltanto le cosce spalancate e le grosse…”
Conoscevo Alex fin da quando eravamo piccoli. Le nostre famiglie abitavano nello
stesso condominio e avevamo condiviso lo stesso asilo, le stesse scuole, le stesse esperienze, le stesse ragazze… no, mi sono spiegato male: non voglio dire che ci scopavamo le stesse ragazze, ma solo che frequentavamo gli stessi giri, ma poi all’atto pratico, ognuno si faceva la sua figa.
Fu per questo che quando arrivò il momento di iscriverci all’università, decidemmo di prendere un appartamento assieme. Abitare sotto lo stesso tetto rafforzò ancora di più la nostra amicizia e ci ritrovammo a passare molto tempo assieme nel massimo affiatamento, tanto che qualcuno cominciò a sospettare che fossimo una coppietta di quelle.
A quei tempi i froci non erano ancora di moda, anzi! Quando qualcuno veniva individuato e preso di mira, se gli andava bene erano chiacchiere e malignità a non finire, se gli andava male… beh, basta leggere la cronaca di quegli anni, i pestaggi o i ricatti che il poveraccio subiva.
Le cose filavano lisce, l’unica novità fu che, avvicinandosi la sessione d’esami, ci ritrovammo talmente assorbiti dallo studio da diradare la parte ludica delle nostre vite, in pratica rallentammo la normale frequentazione con l’altro sesso, così che i nostri sfoghi sessuali, fino ad allora eterodiretti, furono sostituiti da una gestione autonoma, diciamo ‘manuale’, della cosa. Insomma, ci facevamo un casino di seghe la notte, come testimoniavano spesso le chiazze giallastre sulle mutande che la mattina nascondevamo in fondo alla cesta della roba sporca.
Ora, nella confidenza che era cresciuta fra di noi, non ci facevamo problemi a girare per casa in mutande, soprattutto appena alzati dal letto, quando venivamo in cucina a prepararci la colazione. E fu così che avvenne.
Una mattina, mi ero alzato abbastanza presto, perché ero indietro con un esame e avevo intenzione di studiare qualche oretta prima che si alzasse Alex, che naturalmente avrebbe creato un po’ di scompiglio.
Era la fine di maggio e la temperatura era gradevole, così in mutande e maglietta come stavo, mi ero seduto al tavolo della cucina, accanto alla finestra aperta, e davo un’occhiata a una vecchia rivista, mentre sorseggiavo il caffè. Ad un tratto, sentii scricchiolare la porta: Era Alex che entrava, con gli occhi ancora assonnati.
“Buongiorno.”, sbadigliò, andando verso il fornello per vedere se era ancora caldo il caffè nella macchinetta.
Sollevai gli occhi a guardarlo, mentre, dandomi le spalle, si versava il caffè nella tazzina e girava col cucchiaino. Indossava solo uno slip sformato e scomposto sulle natiche. Aveva un bel fisico tonico, sportivo, come me del resto. In quel momento si girò prese a venire verso di me. La cosa mi balzò subito agli occhi: la turgida erezione che gli tendeva trasversalmente il davanti dello slip, intendo. Scoppiai a ridere.
“Hai fatto un incubo stanotte?”, feci, accennando al durello nello slip.
“Ho sognato che mi facevi un pompino.”, rispose lui con tono serio.
“Dev’essere stato terribile.”, continuai nello scherzo.
“Già, in effetti non eri molto bravo. Me l’hai graffiato tutto coi denti.”
“Cosa ti aspettavi? Non saprei neanche da dove cominciare!”
“Se vuoi, ti insegno io.”, mormorò in tono allusivo, venendomi vicino e facendomi un carezzina sui capelli.
Scoppiai a ridere divertito per quell’insolito comportamento.
“Che ti prende stamattina, Alex, sei in calore?”
Lui non rispose. Ebbi l’impressione come di un freddo improvviso che fosse calato fra noi: si scostò da me, finì di bere il caffè e uscì dalla cucina, dopo aver messo la tazza nel lavandino: l’erezione ancora più svettante gli tendeva il davanti dello slip come il palo di una tenda.
Finii di bere il caffè pure io, rimasi a sfogliare la rivista, poi mi decisi a tornare in camera e riprendere un po’ a studiare. Senonché, passando davanti a quella di Alex, senti un parlottio sommesso: mi avvicinai alla porta socchiusa e… e lo vidi: seduto sul divanetto, completamente nudo, l’uccello saldamente in pugno che si stava facendo una sega, mentre sul computer poggiato su uno sgabello davanti a lui stava andando probabilmente un porno. Allargai di un po’ lo spiraglio della porta per migliorare la visuale: non c’erano proprio dubbi, si stava masturbando.
Era la prima volta che lo vedevo del tutto nudo… ed era la prima volta che vedevo il suo cazzo, eretto per giunta. Mi parve enorme nella sua mano stretta all’asta, che si muoveva su e giù con ritmo alterno, ora rapido e parossistico, concentrato verso la punta, ora invece lento lungo tutta l’asta, mentre la sacca pesante dei coglioni sobbalzava secondo il movimento della mano. Non avevo mai visto un uomo masturbarsi, dal vivo, intendo, e lo spettacolo aveva un’indubbia attrazione magnetica.
Non potrei dire se quella vista mi eccitò: se anche successe, non me ne accorsi, tanto ero concentrato e stupito. Poi mi sentii prendere come da un fremito che mi percorse tutte le membra, mi tremavano le mani, la gola mi si asciugava, la mente mi si obnubilava, il corpo prendeva ad agire per conto suo, o come sotto lo stimolo di una volontà esterna.
Lentamente aprii del tutto la porta e feci un passo all’interno. Dovevo avere una faccia stralunata; Alex mi sentì, alzò gli occhi e, senza fermarsi, mi sorrise.
“Che stai facendo?”, sibilai stupidamente.
“Vieni, – mi disse lui – vieni a vedere.”
Allora mi accostai al divano, sempre con gli occhi puntati alla mano che continuava a scorrergli lungo il cazzo, su e giù. Avvicinandomi, notai che il glande era grosso, incredibilmente roseo e bagnato… Un afrore pungente mi fece arricciare le narici quando gli fui vicino. Mi sedetti alla sua destra e guardai lo schermo del computer: stava effettivamente guardando un porno.
“Guarda che figa!”, mi fece, passandomi il braccio sulla spalla e prendendo a segarsi un po’ maldestramente con la sinistra.
“Sì…”, mormorai, fissando la troiona sullo schermo che cavalcava il poderoso birillo di un uomo, di cui si vedevano soltanto le cosce spalancate e le grosse palle ballonzanti.
Alex mi strinse a sé.
“E’ bello che sei qui…”, mormorò.
Ebbi un momento di imbarazzo e tenni lo sguardo ostentatamente fisso sul computer.
“Così è cominciato il sogno, stanotte… – proseguì – io mi facevo una sega e tu sei entrato e ti sei seduto vicino a me…”
“E poi?”, chiesi, cercando di assumere un tono scherzoso.
“Poi mi hai carezzato le palle…”
“Cosa?”
Ma lui era di nuovo perso nel suo sogno.
“Era bello… per favore…”
Mi irrigidii: la testa sembrò come mettermisi a girare… sentii il mio braccio allungarsi e non potei fermarlo… sentii la punta delle dita sfiorare qualcosa di molle, peloso, incredibilmente morbido. Sul momento mi fece ribrezzo, ma subito dopo presi il sacchetto a tutta mano e lo strinsi delicatamente.
Alex emise un sospiro profondo, quasi un gemito, e abbandonò la testa sulla mia spalla. Mi sentivo alquanto imbarazzato con in mano le palle del mio amico, ma il suo evidente piacere mi fece accettare la cosa. Mi voltai a guardarlo: stringeva ancora l’uccello nel pugno, ma aveva smesso di masturbarsi. Allora, inspiegabilmente, risalii la mano alla base del suo cazzo, la insinuai sotto la sua, scalzandola, e impugnai quel gambo così caldo, così duro sotto la pelle carnosa. Mi diede un’immediata sensazione di potenza.
“Proprio come nel sogno…”, sospirò Alex.
“Sì, e poi?”, feci, ritrovando un minimo di controllo, ma senza togliere la mano dal suo cazzo.
“Poi mi facevi una sega…”, mormorò lui.
Fu come se la mia mano avesse ricevuto un ordine, perché prese da sola a muoversi su giù.
“Ma non ti facevo un pompino, nel sogno?”
“Quello dopo…”
“Dopo, quando?”
“Fra un po’… Ti chiederai chissà cosa si prova ad averlo in bocca…”
No!… urlò la parte ancora senziente nella mia coscienza, mentre quell’interrogativo cominciava effettivamente a frullarmi nella testa. Chissà cosa si prova ad averlo in bocca… chissà cosa si prova ad averlo in bocca… chissà… Mi accorsi che mi stavo chinando verso il suo grembo… l’afrore divenne ancora più pungente, ma invitante stavolta, stimolante… chissà cosa si prova… e le labbra mi si chiusero attorno alla sua cappella.
La consistenza viscosa della bava, che la copriva, mi impastò la lingua, me la punse col suo sapore salmastro, mentre la ingoiavo e Alex mi accoglieva con un lungo sospiro di puro godimento:
“Ooohhh… sì…”
Cercai allora di succhiarglielo meglio che potevo, e non so se i suoi gemiti erano dettati dal piacere o dal dolore per i denti che lo graffiavano. Ma durò poco: all’improvviso, Alex cominciò a tremare tutto:
“Oh… vengo… vengo…”, gemette con voce strozzata, strappandomelo dalla bocca e prendendo a masturbarsi freneticamente.
Dopo un attimo, con uno scatto, il suo cazzo proiettò fuori un incredibile schizzo biancastro, che gli si spiaccicò sul petto, seguito da altri via via più fiacchi, fino a diventare un rivolo lattiginoso, che sgorgò fuori, colandogli fra le dita.
Ero stralunato, ma nello stesso tempo compiaciuto: avevo fatto una cosa che mai mi sarei immaginato e non sapevo neanch’io cosa mi avesse spinto, cosa mi avesse fatto superare lo schifo, cosa mi avesse permesso di superare l’imbarazzo, cosa me lo facesse sentire adesso del tutto naturale. Per la miseria, avevo succhiato il cazzo del mio amico, come poteva essere naturale?
Ripreso fiato, Alex si asciugò con le sue mutande, poi mi sorrise.
“Grazie, caro, – disse – hai dato vita al mio sogno…”
“Beh, meno male che non hai sognato di incularmi!”, esclamai.
“Dai tempo al tempo.”, fece lui con il suo simpaticissimo ghigno.
Risi con lui e feci per alzarmi.
“No, aspetta. – mi trattenne per un braccio – Ce l’hai duro anche tu…”
Non me n’ero accorto, ma effettivamente ce l’avevo talmente duro, che quasi bucavo il tessuto dello slip. Alex mi tirò a sedere vicino a sé.
“Togliti le mutande, – mormorò – fammelo vedere.”
Me le sfilai e subito lui mi impugnò il cavicchio duro, come se non avesse fatto altro nella sua vita, e prese a masturbarmi.
“Questo, però, non c’era nel tuo sogno…”, mormorai abbandonandomi contro lo schienale del divano.
“Ce lo mettiamo adesso!”, sorrise lui, passandomi il braccio libero sopra le spalle e stringendomi a sé.
(continua)
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