Perché piangi?
Scuotere la testa e non avere una risposta.
Piango per gioia, per dolore. Piango perché mi fa bene, piango perché lo sento. Piango perché nessuno mi vede, piango perché lo voglio. Piango perché non lo so, ma piango.
Lacrime calde scivolano sulle guance, rigandole. Non mi trucco, altrimenti sarei un mostro, più di quanto non lo sia già con gli occhi rossi e gonfi. Piango fino a che ho lacrime. Le ultime scivolano lente, quasi stanche ed il loro progredire solletica la pelle bagnata.
Solletico. Sorriso.
Dal pianto al riso. Che stranezza. So piangere disperatamente, a singhiozzi, tenendomi la testa per non affondare nell’oblio’e poi so ridere, dapprima timidamente per esplodere poi in una risata calda, argentina e squillante. E tutto questo da sola.
Seduta per terra, con la schiena poggiata al muro, i piedi nudi sensibili al tocco ruvido della moquette aspetto che il pianto si esaurisca. Immagini d’ogni genere si confondono davanti ai miei occhi velati. Il cielo azzurro come in una giornata di primavere contrasta con questo mio strano stato d’animo.
Si può essere così felici da averne paura? Si può esserlo al punto di dimenticare tutto, desiderare che il mondo non esista? Si può sentire il desiderio di sparire dalla propria vita per vivere anche solo un giorno di felicità. Si può piangere di gioia? Perché mai il pianto? Perché il mio corpo avverte un malessere fisico, seppur lieve, quando il pensiero rivive un attimo di felicità? Forse è solo il bisogno di sfogare tante emozioni represse, forse la voglia di esternare il turbinio che mi scuote dentro, forse l’impossibilità di gridare al mondo che sono felice anch’io”forse solo perché non sono normale.
Normale.
Ma chi lo è. Cosa vuol dire essere normale? Qualunque cosa significhi io non lo sono di certo. Tutti cercano di essere normali. I diversi sono sempre additati, derisi, criticati, odiati ed allo stesso tempo ammirati. I diversi sono coraggiosi, sono piccole stelle che brillano nel buio. Nella normalità ci si confonde, ci si spalleggia a vicenda. Tutti uguali, tutti perfetti, nel modo e nel posto giusto. Giusto. Giusto per chi?
Io comunque non lo sono. Ecco forse la chiave dell’infelicità. Cercare, ciò che normale non è, in mezzo ad un mondo di piccoli uomini grigi, normali. Cercare di essere compresa, nella ricerca delle diversità da chi è assolutamente normale.
Mi tornano in mente le parole di qualcuno che si chiedeva se venissi da Marte. Oppure di qualcun altro che diceva che ero troppo. Troppo per lui.
Sorrido. La verità era lì, davanti agli occhi, eppure ero cieca.
Qualsiasi significato si voglia attribuire alla parola ‘normale’ non mi si addice. Io, assoluta, eccessiva, vulcanica, esplosiva. Io e la mia ricerca. Io ed il mio bisogno di conferme. Io e la mia paura di non essere ascoltata, capita. Io e la mia paura di piangere.
Non è difficile essere normali.
Basta sedersi e lasciarsi andare. Basta non cercare, non chiedere né domandarsi mai nulla. Basta non pensare. Accettare gli eventi, mai combatterli. Basta non tentare, inutilmente, di essere diversi. E’ sufficiente contornarsi di persone mestamente normali, quel tanto che basta per non notare la differenza. Tanto la differenza non c’é.
E’ complesso, invece, essere diversi. Ti vedono a distanza. Ti scrutano occhietti piccoli ed indagatori. Ti seguono, ti giudicano. Ti cercano. Il normale è affascinato dal diverso. Il normale lo cerca, ne ha bisogno. Si nutre di lui, splende di luce riflessa.
A volte accade che il normale riesca a distruggere il diverso. Ed allora la vittoria ha un sapore migliore. Se il diverso si innamora si abbandona. Il diverso offre tutto se stesso, senza difese, senza barriere. Ed il normale ne gode, se ne appropria senza nemmeno chiedere il permesso. Fino a prosciugargli l’anima, quando soddisfatto e sazio se ne va. Gonfio della vittoria torna ad immergersi nel suo mondo grigio, convinto di trovare la stessa fortuna. Solo che mentre il normale si esaurisce velocemente, ormai senza pile e senza ricarica, il diverso raccoglie lentamente le sue ossa rotte, i cocci sparsi a terra. Non mente, non nasconde la sua disperazione. E’ a terra ferito, ma sa che presto si rialzerà.
E così è davvero.
Le pari si invertono prima o poi. Non è più tempo per piangere o gioire del grigiore altrui.
Ricomincia la ricerca. Si torna a rialzare la testa, respirare. Riaffiora il desiderio di sentirsi vivi. Il bisogno di accendere quella luce che si credeva aver spento per sempre. Era solo ridotta ad una fiammella. In realtà non si spegne mai.
Come la speranza.
Così cominci a guardare tutto ciò che è normale con occhio diverso. Cominci a scrutarli come loro hanno fatto con te. Li osservi, li controlli, al solo scopo di prendere le debite distanze. Il grigiore é maledettamente contagioso. Ora lo sai. Lo hai provato. Il suo contatto ti ha ferita più della piccola vittoria che hai concesso.
Ti accorgi che normale é noia, tedio, mancanza di emozioni. Normale è un mondo grigio, senza sole.
Sorrido tristemente. Come ho potuto? Io? che per me non è normale nemmeno il lavoro? Io non sono normale. Non voglio una persona normale. Non voglio una vita normale. Ho bisogno di quel ‘brio’, di quel tocco di assoluta sregolatezza geniale, ho bisogno del brivido. Mi sento viva, calda ed erotica. Mi sento il mondo in mano.
Anche adesso. Nonostante sia qui, seduta per terra ad asciugare lacrime che, ancora non so perché, sgorgano dolcemente. Lacrime depuratrici forse. Lavano via l’alone residuo che non voglio più.
Ancora una volta dal pianto al riso. In un secondo. Basta un pensiero, un’immagine, una parola. Basta rievocare qualcosa che a volte la memoria cerca di frenare. Basta lasciare che si rompano gli argini. Basta seguire il proprio istinto. Basta pensare a ciò che succede adesso.
In questa storia nata da poco e che galoppa come una furia in discesa, non c’é assolutamente nulla di normale. Ci siamo lui ed io. Noi, che ci siamo raccontati i dolori e le sofferenze prima delle gioie. Noi che ancora non ci siamo abbracciati, ma che ci desideriamo più di quanto la mente riesca a pensare.
Noi che ci siamo, noi che ci scopriamo ogni giorno di più. Noi e le nostre telefonate fiume, lui e la sua timidezza, io e la mia voce, cui mai resiste. Lui che scrive, scrive, scrive. E che, soprattutto, legge di me, da me. Poi ci sono io che non riesco a lavorare, che continuo a pensarlo, facendo appello a tutta la mia buona volontà per non rovinare tutto con stupide paranoie senza risposta.
Forse é solo una persona che mi dà ciò che cerco. Che manifesta il suo desiderio, che si interessa a me…che quando mi sente giù di tono mi chiede, semplicemente, se ho voglia di parlarne. Ed io mi meraviglio, persino delle cose più normali!
Le lacrime hanno bagnato il cellulare che, gettato a terra, mi osserva quasi fosse un amico fedele.
Scorro i messaggi. Oggi sono più di cinquanta. E sembrano non bastare mai.
C’è forse qualcosa di normale in questo? Nel bisogno folle di esserci, di manifestarsi, di mostrarsi come è possibile fare? E’ forse normale questa frenesia, questo eccesso, questa dimostrazione di come si sta, questa manifestazione delle proprie emozioni? Sarà mai normale passare una giornata con un pensiero fisso?
Possiamo mai pensare che sia una cosa normale sedere per terra in ufficio, piangere disperatamente e ridere di gioia solo un secondo più tardi! Non è certo normale questo desiderio che sento crescere dentro. Non è normale che io mi accarezzi i seni desiderando più di ogni altra cosa le sue mani sulla pelle.
Lo so, non sono normale quando chiudo gli occhi e cerco di immaginarlo davanti a me. Lo vedo osservare la mia bocca, carezzarla con un dito, chinarsi e baciarla con delicatezza, come si bacia la cosa più preziosa e fragile che mai si sia incontrata. Non sarà una cosa normale seguire il proprio desiderio che cresce, caldo e forte. Ma è una realtà.
I seni gonfi e doloranti di voglia premono contro il tessuto della camicia bianca. Li osservo, maliziosa, mentre l’eccitazione prende forma. Mi tocco, li tocco piano, dolcemente, come so farebbe con me. Li stringo e li accarezzo. Li lecco e mi lecco. La mano scende a cercare la porta del mio stesso paradiso. Scivolo dentro di me in un istante.
E’ un attimo. La culla morbida e calda accoglie le mie dita, le avvolge, le stringe. Corrono dentro di me alla ricerca di un istante di piacere, un’esplosione liberatoria di tante sensazioni, emozioni accumulate.
Il mio sapore dolce e pungente mi riempie le labbra. Il profumo del mio piacere mi inebria.
Il cellulare si illumina. Un messaggio. Il suo desiderio, il mio. Le nostre menti corrono insieme. I nostri corpi uniti sono solo ciò che di normale si vede.
Non c’é niente di normale se la si osserva da fuori.
Non c’é nulla di assurdo se ci sei dentro…
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