“Monica non disse nulla e aspettava inerme il suo destino…”
Una settimana dopo quel giorno di lussuriosa follia, Monica, ormai sorta dal
mondo della fantasia e approdata nel mondo reale, aveva raggiunto il limite. Dopo le sensazioni prepotenti che aveva provato subendo passivamente la furia sessuale di quello sconosciuto, masturbarsi non faceva che lasciarla ancora più disperatamente vogliosa di prima. Eppure non sapeva contenersi, provando un certo pizzicore per il senso di bollente ignoto in cui si sentiva sprofondare sempre più vividamente ogni volta. In quei giorni era stata anche impegnata con la nonna nei preparativi per il trasferimento estivo nella casa di campagna di famiglia. Uno splendido casale rustico sobriamente elegante ma decisamente padronale. Le ampie e numerose stanze erano spesso scure e polverose in quanto mai usate da decenni e a Monica ricordavano le sale abbandonate dei castelli di fantasia che da bambina si era sempre costruita. Ma ciò che rendeva tutto spettrale era il silenzio tombale che regnava nelle ombre dei piani più alti, quelli mai usati, in una reggia abitata solo da lei e la nonna e silenziosamente mantenuta da una servitù eterea ed educata al mutismo. Sarebbe stata isolata dal mondo e si sentiva morire all’idea di essere prigioniera in quel castello senza suoni, senza alcuna possibilità di trovare uomini in grado di soddisfare quella che era ormai già diventata un’ossessione.
La sua incontrollabile sessualità trovava un limite solo nella sua lucida intelligenza. La sua vera natura era un problema e questo Monica lo sapeva bene. Oltre alla furia della nonna che le avrebbe tolto i viveri e spedita in un convento se solo avesse immaginato, sapeva bene che una donna come lei, soprattutto in certi ambienti, sarebbe finita emarginata e insultata, reietta e abbandonata, qualora le sue indecenze diventassero di dominio pubblico.
Fu per questo che decise con matura rassegnazione di recitare con devozione la parte di brava ragazza, secchiona come in effetti era e timida, pudica e timorata agli occhi di tutti. Avrebbe dovuto cercare lo sfogo delle sue fantasie nella più completa riservatezza e solo quando avesse la certezza che il suo segreto sarebbe stato al sicuro, impenetrabile alla spada del moralismo altrui.
La prima settimana di vacanza fu un vero e proprio tormento. Da sola con la nonna a fingersi eterna educanda come alla vecchia piaceva, pronta a rifugiarsi nelle sue fantasie e nell’autoerotismo più sfrenato ogni qual volta ciò fosse possibile, pur avendo ormai effetti incandescenti. Aveva comprato online in gran segreto numerosi ovuli vibranti che si attaccava con dei cerotti su ogni zona erogena conosciuta o scoperta e un grosso fallo realistico con cui si profanava ogni notte, soffocando nel cuscino le sue strilla di piacere. Di giorno quando la nonna si concedeva il suo riposo quotidiano, uno dei rari momenti diurni di solitudine per Monica, approfittava di quell’oretta per passeggiare e guardare la campagna, respirare la natura e sentirla esplodergli nel ventre. Resisteva al richiamo con difficoltà e si immaginava nuda a camminare tra i campi come una Ninfa dell’Erba, pronta a soddisfare ogni burbero e rude contadino avesse un’erezione per lei. L’ovvia realtà dell’ostracizzazione sociale conseguente a tale lascivia la riportava nella triste realtà bugiarda e pudica, per farla ricadere nei suoi oblii indecenti, in cui si immaginava ormai troia conclamata, risaputa e pubblica, rapita a turno da tutti gli uomini perché ne facessero strumento del loro piacere.
Sapeva di essere pazza, ma sapeva di essere in controllo. E questa sua determinazione la faceva sentire libera.
Giunse alla fine della prima settimana di vacanza estenuata dal desiderio ma più rilassata, visto che un terzo della tortura era passato. Si alzò presto la mattina, irrequieta sin dal primo stiracchiamento, e sentì la voce della nonna echeggiare al piano di sotto. Alzo le orecchie curiosa, visto che generalmente nella casa regnava il silenzio assoluto, a parte cigolii e scricchiolii che segnano il tempo che scorre nelle travi di legno antico e scuro. La sentì dare disposizioni al vecchio maggiordomo, troppo vecchio e troppo fedele alla sua padrona per essere utile a Monica, e sembrava gli stesse dicendo di preparare delle stanze per degli ospiti in arrivo. L’entusiasmo di Monica per la insolita novità si spense pensando che sarebbe stata qualche vecchia carampana amica della nonna, tra cui ce ne era una che Monica odiava dato che avendola definita troppo procace determinò le infauste scelte della nonna sul suo guardaroba.
Si rituffò nel cuscino e si riaddormentò brevemente, per risvegliarsi al suono di una macchina strombazzante che si avvicinava alla casa sollevando dietro di se una alta pinna di polvere. Una guida sicuramente molto agile e spericolata perché potesse essere un vecchiardo e tantomeno una vecchiarda alla guida, penso lei. E per un attimo si accese nella speranza che l’ospite fosse un giovane uomo. Non fece a tempo a cominciare a sognare i modi in cui avrebbe potuto tentare l’impossibile, che la macchina si fermò e dal lato guidatore scese, con fare fulmineo e aggraziata come una pantera, una donna alta e mora, raffinatamente elegante e con un sorriso che Monica riusciva a veder splendere dal lontano. La vide presentarsi alla nonna andandole incontro e mentre Monica la fissava senza sapere perché, scesero dalla macchina altre tre persone, tra cui un uomo di mezz’età e una coppia anziana che Monica riconobbe.
Distratta per un secondo dalle sue voglie profonde per l’inusuale novità , si preparò affrettandosi al bagno e, vestitasi nascondendo le sue forme, scese nella grande cucina di campagna della casa per fare colazione e aspettare l’ingresso degli ospiti. Mentre mangiava sentiva risate e voci avvicinarsi e la voce di quell’uomo profonda e quasi tenebrosa, la fece precipitare con la solita facilità nelle sue fantasie. Lo vedeva ergersi di fronte a lei, sua concubina sotto qualche diabolico ricatto abusata per ogni perversione. Nella sua mente le immagini più indecenti che agognava realizzare da ormai due settimane da quell’ultima prima volta, si accavallavano con circostanze e condizioni che avrebbero reso il suo peccato inevitabile, giustificato e a quel punto compreso, affinché l’onore e l’indecenza trovassero un punto d’incontro.
Quando l’uomo le si presentò, tuttavia, Monica fu sorpresa dalla totale assenza di sensazioni. Il contatto con quella mano dura non le aveva fatto venir voglia di sentirla stretta intorno al collo o schiccante sul suo culo. Lo sguardo dell’ospite, che di nome faceva Mario, non le aveva trasmesso alcuna scossa e neanche la fantasia di vederlo fiammeggiare sopra di lei e imporle solo così di asservirsi alle sue perversioni. Fino a quel momento non le era mai successo di non incrociare uno sguardo maschile e non sentirsi esposta, nuda, inerme e pronta. Questa volta, per un motivo che ancora non conosceva ma che già si era insediato nel suo animo, non provò nulla. Si presentò con educazione anche alla donna, che si chiamava Alessandra, la nuora dei vecchi amici della nonna che invece salutò fingendo un tanto perfetto quanto sobrio entusiasmo.
Quel giorno passò abbastanza serenamente, se non per la delusione per la persistente assenza di attrazione alcuna per quell’uomo il cui sguardo, tuttavia, Monica cercava insistentemente. Lui, dal canto suo, ogni volta che incrociavano gli occhi le mostrava lo stesso pallido ed ebete sorriso che lui mostrava alla madre di lei, cosa che fece anche sentire Monica non attraente e squallida. Lo fissò pensando che se avesse mostrato il suo corpo a quell’uomo lo avrebbe visto sbavare e baciare per terra sotto i suoi piedi, e si scopri in un certo modo divertita da quell’immagine di autorità di cui per una volta si era voluta vestire. Ma la sua voglia era ben altra. Aveva bisogno di uomo, di maschio, di virilità e temette che le si potesse cominciare a leggere in faccia. Finì la sua cena imbarazzata e fissando il piatto, anche se non era cibo quello che materializzava nella sua mente.
Ora che la nonna aveva ospiti aveva più tempo per stare per i fatti suoi e si perdeva in lunghe passeggiate senza mutandine in cui sognava di essere assalita da banditi e cacciatori, ogni volta alacremente inerme tra le loro mani prepotenti. Inevitabile a quel punto era per lei trovare un posto tranquillo dove spalancare le gambe al vento e al sole per masturbarsi spudoratamente nella natura, con la paura e la voglia di essere scoperta che si intrecciavao dentro di lei tra scintille e fiammate roventi. Ormai schiava del piacere, nascondeva sotto le vesti numerosi ovuli che con gentili vibrazioni le tenevano il corpo in tensione sessuale per tutta la passeggiata, poi, quando cedeva e si cominciava a masturbare aprendosi al mondo e scoprendo i seni, aumentava le vibrazioni fino al massimo. Li aveva sui capezzoli, che sentiva inturgidirsi come sassi premuti contro la plastica degli ovuli attaccati con l’adesivo. Ne aveva due, piuttosto grandi, nel culo. Altri due dentro ben premuti nella sua cervice, che insieme le facevano tremare l’utero e le costole, mentre con le dita si strapazzava clitoride, labbra e punto G. Il ronzio che si sollevava dal suo corpo era indice della sua perversione e il modo in cui giaceva per terra tra le foglie e il terriccio dimostrava il tormento di una donna che non sarebbe mai stata in grado di tornare indietro, e che anzi voleva andare disperatamente avanti. Le sue mani entrambe indaffarate freneticamente sulla sua carne mischiavano si suoi gemiti di lussuria a sciabordii acquosi e guizzanti che preannunciavano, come il suo corpo che si arcuava sempre di più verso il sole come un fiore assetato di luce, lo squassante ennesimo orgasmo.
Ma poco prima di raggiungerlo, appena prima di quell’ultimo stropicciamento indecoroso che le avrebbe fatto zampillare la fica di guizzante gioia, a Monica si gelò il sangue per i secchi passi nella sterpaglia che sentì rumoreggiare dietro di sé, poco lontano nel fitto bosco. Si rivestì istintivamente quanto più in fretta possibile e cerco di riprendere un aspetto umano, in preda a convulsioni pre-orgasmiche difficili da contenere e dure da controllare, per la voglia di arrivare a quell’orgasmo che era a un soffio di distanza. Le tremavano ancora le gambe e il petto ancora sussultava ansimante quando vide apparire sul sentiero Alessandra, la bella moglie elegante di quell’uomo deludente, e per la prima volta Monica fu colpita dal contrasto tra lo splendore di lei e la pochezza di lui che lei aveva percepito. Era sola, e quando la vide la saluto animosamente lasciandosi andare a quel sorriso ampio e solare che Monica aveva scrutato da lontano la mattina del suo arrivo. La donna sembrava genuinamente all’oscuro delle nefandezze che Monica stava compiendo sotto a quell’albero e fu in quel momento di silenzio tra il saluto della donna e il suo approcciarsi che la ragazza si paralizzò udendo distintamente il ronzio dei suoi ovetti sghignazzare sotto le sue vesti. Nella foga e nello spavento aveva completamente dimenticato di spegnerli e ora in quella giornata senza vento il bosco era troppo silenzioso perché la donna non li sentisse una volta avvicinatasi.
Nei pochi secondi a sua disposizione Monica sentì la donna chiederle domande sul luogo e sulla passeggiata, ma dentro cercava il modo per non farsi scoprire e forse il coraggio di scappare senza spiegazioni. Tuttavia c’era qualcosa in quella donna e in quella situazione che faceva restare Monica immobile davanti al suo destino, come se il suo corpo avesse già capito qualcosa che lei non era ancora neanche riuscita ad immaginare.
Persa dentro di sé alla ricerca di quel qualcosa che non era altro che un altro lato di sé stessa che avrebbe presto scoperto. Non si accorse che la donna era ormai davanti a lei, a pochi centimetri, e che in un bosco che non era mai stato così silenzioso i ronzio della sua perversione era una confessione urlata senza ritegno.
“Dovresti vergognarti” Disse la donna con uno sguardo improvvisamente severo e grave che lasciò scivolare dal viso giù per i piedi della tremante fanciulla. Monica trasalì alla realizzazione di essere stata ormai scoperta. “Ti ho capito subito da stamattina che sei una pervertita. L’ho capito da come guardavi mio marito”. Monica rimase muta. “Ho visto cosa combini la notte e oggi ti ho seguita apposta, sicura che ti avrei trovato a farti scopare da qualche contadino”. La donna proseguì di fronte ad una Monica pietrificata e rossa. “Ma ti ho trovata a masturbarti indecorosamente all’aperto. E sono molto delusa”. Monica riuscì a muoversi di qualche millimetro dimostrando perplessità a quell’ultima frase. “Sei una bellissima ragazza, con un evidente propensione al piacere, e non hai schiere di uomini ai tuoi piedi?” Monica, farfugliò qualcosa sulla paura di essere scoperta da una nonna bigotta e pudica ma si fermò prima di cominciare a confessare la sua natura di ninfomane. “Questo è molto saggio da parte tua. Molte ragazze commettono l’errore di farsi beccare, perdendo così molti “privilegi” Alessandra ammicò e Monica voleva continuare ad ascoltare, a questo punto rapita da questa donna che le stava dicendo cose mai ascoltate prima, ma quella con fare sprezzante le disse di ricomporsi, di tornare a casa con lei. “E non ti azzardare a toccarti!” Disse con un tono ringhiante e quasi minaccioso che fece sospirare Monica, ancora confusa per le emozioni e irretita da quelle parole autoritarie.
Passò il resto del giorno piuttosto silenziosa aspettando la notte, ancora non certa di cosa sarebbe successo. Cenarono tutti insieme e Monica, che ora cercava lo sguardo della donna più che dell’uomo, notò che entrambi la ignoravano completamente e che a parte domande banali da parte della nonna e dei suoi amici a cui rispondeva con distratto garbo, era come se lei, per quei due, non esistesse.
Si mise a letto agitata e ansiosa e aspettò a lungo ancora eccitata dall’orgasmo interrotto del pomeriggio, dilaniata dalla voglia di completarlo e corrosa dalla curiosità di sapere se quella notte sarebbe stata rimproverata da quella donna o meno. Quel non ti azzardare a toccarti l’aveva disarmata e sapeva di promessa o minaccia di una qualche conseguenza, o certamente un controllo, una verifica. La notte si prolungò scura e sempre più muta mentre la giovane ragazza, nel suo pigiamino castigato, si addormentò con la luce accesa.
Fu risvegliata da una carezza sul viso e nella foschia del risveglio prematuro vide chiaramente due figure, illuminate dalla sua lampada del comodino, che occupavano la stanza in piedi accanto al suo letto. Fece per alzarsi ma in un solo tempo realizzò di essere completamente nuda e legata mani e piedi a stella al letto. Una mano veloce e profumata di buono, morbida ma decisa, le tappò la bocca con forza spingendola contro il letto e uno stai zitta ringhiato le fece capire che la donna era arrivata. Era vestita in maniera decisamente sexy, con una tuta elegante che non nascondeva affatto né le sue curve né il suo prorompente decolté. Non appena si fu calmata, la donna tolse dalla bocca di Monica la mano a cui la ragazza tentò eccitata di dare un famelico bacio. Un gesto istintivo che si seppe spiegare solo perché trovarsi nuda e legata in balìa dell’ignoto era una delle sue più spossanti fantasie. Le costò tuttavia un sonoro ceffone da parte della donna che la fissava arcigna. “So benissimo di che pasta sei fatta e sappi che non avrò alcuna pietà di te” Monica ascoltò queste parole impaurita mentre si riprendeva da quello schiaffo inaspettato. “So che ci tieni alla riservatezza, ma come prima lezione ti mostro il modo in cui puoi garantirtela” La donna schioccò le dita e la seconda figura che si nascondeva dietro di lei e che Monica non aveva ancora visto bene le porse un telefono. “Questa considerala la mia assicurazione personale sul tuo silenzio. Potrei usarla anche come ricatto per costringerti a diventare la mia schiava, ma a quanto vedo non ce n’è bisogno. La donna accennò alla fica di Monica che era evidentemente ricolma di umido desiderio e lasciva eccitazione mentre sul suo telefono in faccia a Monica scorreva un filmato chiaro e nitido di Monica e le sue indecenze del pomeriggio. La ragazza non si era mai vista in quelle condizioni dall’esterno. Si era immaginata ma mai realmente guardata. Nella sua ruvida inesperienza e frettolosa ninfomania non si era mai neanche immaginata in un video. E invece ora, su quello schermo, il suo corpo acerbo e pieno tremava sotto a un albero svergognato sotto i colpi delle sue mani e la presenza degli ovetti sui capezzoli dimostravano chiaramente la sua condizione di pervertita. Monica si sorprese a piacersi da morire in quell’immagine sporca e anche umiliante e dentro la sua testa un altro argine si ruppe impetuoso e l’ultimo scampolo di decenza si lacerò irrimediabilmente. “Accidenti sei proprio una ninfomane!” disse la Donna nel constatare lo sguardo lussurioso con cui Monica si guardava, spalancando le gambe più di quanto i legacci già non facessero. “Si” Disse la ragazza, rompendo il silenzio. “Ti prego, ti supplico Alessandra, farei qualunque cosa per godere adesso”. Nel sentirsi cedere in quel modo e lasciarsi preda altrui in quella condizione di inerte passività Monica si sentì pervadere da una scarica adrenalinica che le riempi ogni cellula, ma un altro ceffone colpi il suo viso. “Alla Padrona devi rivolgerti dandole del Lei. Ovviamente solo quando siamo in privato. Davanti agli altri ormai ci diamo del tu, ma per ogni “tu” riceverai uno sculaccione alla prima occasione possibile”. E il dolore dalla guancia cominciò a serpeggiare come un serpente a caccia, verso la sua fica.
A Monica si girarono gli occhi per l’emozione di un siffatto ricatto, per l’inevitabilità di quella punizione. Soprattutto la sola parola “Sculaccione” l’aveva subito travolta. Non era mai stata sculacciata, e sentiva il bisogno viscerale di provare quell’esperienza. “Tu, tu, tu, tu, tu, tu, tu, tu, tu..” Non fece a tempo a dirli tutti e dieci come aveva programmato istantaneamente che la donna la prese per il collo e le ringhiò che c’era poco da scherzare. Quell’irruenza provocò ancora di più la ragazza che già paonazza in volto si sforzò ancora di più di assumere un’aria di aperta e irriverente sfida, schioccando la lingua in ripetute “T” seguite da una “U” strozzata e silente. “Va bene puttanella che non sei altro” sbottò la donna lasciando la presa “ho capito il tipo e ti confesso che non aspettavo altro” Con un altro suo schiocco delle dita, la figura nascosta si fece finalmente avanti. Monica riconobbe la fisicità insulsa del marito di Alessandra, ma non lo riconobbe con certezza perché l’uomo era incappucciato. Il suo corpo gracile e smunto era corredato di una bardatura in cuoio e borchie che lo faceva sembrare un orrendo orchetto uscito da qualche brutto film fantasy di quarta caegoria, e al posto delle mutande aveva una gabbietta di castità . Mentre l’uomo la prendeva con sorprendente vigore per ribaltarla e metterla nella posizione idonea Monica lo fissava tra il curiosa e l’inorridita sospirando tra le sue mani, per trovarsi poi con la faccia sul cuscino e il culo tutto all’insù. “Le presentazioni le faremo dopo” disse la donna, “per adesso sappi che è così che una donna come me, e forse un giorno una come te, può ridurre un uomo”. L’uomo le teneva la nuca premuta verso il cuscino sul quale si era seduto, poggiando il suo pene ingabbiato sulla testa di Monica. Non le era mai neanche passato per la testa che esistessero cinture di castità per uomini, ma ora ne aveva una che le toccava la testa.
Monica si soffermò sulle parole della donna immaginandosi con poca convinzione come padrona di un uomo, ora che si era scoperta a bramare l’abuso anche da parte di una donna. Non aveva mai neanche avuto istinti bisessuali né tanto mano gay, ma in quel momento il suo corpo aveva bisogno di punizione e umiliazione. Monica aveva un assurdo desiderio di una correzione che non avrebbe mai voluto imparare. Uno schiocco sonoro e acuto segnò il primo dei tanti sculaccioni che avrebbe ricevuto. Il dolore fu intensissimo e travolgente. Mai avrebbe immaginato che sarebbero stati così forti. “Questi sono sculaccioni di punizione.” Disse la donna assestando subito il secondo, sulla stessa chiappa, questa volte con un rumore profondo e pieno. Il dolore fu ancora più intenso e Monica emise un grido che soffocò subito nel cuscino. “Quelli da addestramento sono diversi”. Monica non disse nulla e aspettava inerme il suo destino. “Diamine!” Disse la donna tirando due schiaffoni sull’altra chiappa della ragazza, che continuava a urlare nel cuscino senza opporre resistenza. “Mi sono dimenticata di dirti che gli sculaccioni da punizione vanno contati e.. …ringraziati.. ..uno per uno” Poi prese Monica per la collottola, che ancora non aveva finito di dimenarsi dal dolore e la sollevò verso di sé. “Quindi pochi strilli, solo numeri e grazie Padrona ogni volta” Monica girò la testa verso la Padrona e poi verso l’altro schiavo che sedeva molle appoggiato alla spalliera del letto e divertito la scrutava con occhi sudici di perversione attraverso il cappuccio. Le chiappe della ragazza erano già rosse come il fuoco e mostravano i segni delle quattro manate che la Donna le aveva già tirato senza clemenza. Al quinto schiocco che fece tremare le chiappe della ragazza Monica soffocò l’urlo dentro di sé emettendo un sibilo. “Più veloce a contare!” tuonò la donna ormai inebriata anche lei da quella situazione, tirando altri due schiaffoni al centro di ciascuna chiappa della sua vittima, che sempre trattenendo le sue orla nelle contorsioni del suo corpo riuscì a sibilare un sette e un otto che fecero scoppiare a ridere sia la donna che l’orribile orco nell’angolo della stanza.
“Puttanella che non sei altro! Devi essere proprio stupida per non aver capito che il conteggio va ricominciato ogni volta che sbagli.” E giù un altro sculaccione. “Ora prima della punizione facciamo un po’ di addestramento” Gli sculaccioni si fecero violenti e anche se le chiappe di Monica erano rosse e dolenti per la punizione subita, gli schiaffi da addestramento, meno forti e più secchi, le procuravano quasi piacere al confronto. “Ripeti” fece la donna con fare sornione e quasi materno: “Sono una stupida puttanella”. Monica ripeté l’umiliante ammissione al ritmo degli schiaffi sul suo culetto che la facevano scattare come una puledrina su un prato mentre le chiappe sferzate in quel modo le tremavano come sodi budini rossi come il lampone. Lo fece così a lungo da perdere il conto e finire per ripeterlo ancora durante la successiva punizione, quando gli schiaffoni duri e impietosi ricominciarono a colpirla. Monica prendeva i colpi sul suo culo ormai striato rosso scuro e li contava sempre più prontamente, imparando a sospirare per la sofferenza mentre pronunciava il numero e con sempre maggiore convinzione proseguiva poi con quel grazie Padrona. La donna si divertì a ricominciare altre parecchie volte inventandosi le scuse più insulse, come insegnarle a pronunciare la P di Padrona in maiuscolo, o insegnandole al millimetro la posizione da cagna. L’interminabile punizione fu interrotta altrettante volte dalle sessioni di addestramento in cui Monica pronunciava quel mantra umiliante, che ormai sussurrava tra se e se anche durante le sessioni di punizione, come se fosse una preghiera con cui affidarsi al suo santo in paradiso, sentendo la sua fica sussultare sempre di più sotto quegli schiaffi sempre decisi e duri ma meno violenti e la sua mente sciogliersi e colarle lentamente nello stomaco.
“50! Grazie Padrona!” Disse Monica al termine di una lunga tortura al termine del quale era ormai già più avvezza a quel dolore e, sotto l’epidermide, qualcosa stava serpeggiando per farlo diventare irrinunciabile piacere. “Bene, sei stata brava” Disse la donna accarezzando delicatezza il culo ormai ipersensibile di Monica, rosso come l’interno di un cocomero e destinato a dolere per molti giorni e a riportare i segni di quella lezione. “Vuoi godere adesso?” Chiese la donna subdolamente. “Si! Si!” Rispose indecorosamente Monica. “Con le buone o con le cattive?” “Con le cattive!” Rispose incautamente Monica che ancora non aveva certamente capito con chi aveva a che fare.
“Povera sciocca!” Rise la Padrona, che questa volta con un cenno del capo fece scattare in piedi il suo sgorbio il quale, visibilmente deluso, la rigirò nuovamente supina e si intrufolò tra Monica e il letto, sollevandosi con la schiena sulla parete e spingendo la ragazza in avanti in modo che, legata ancora mani e piedi, fosse inarcata all’indietro con seni al vento e gambe rudemente aperte.
Mentre ancora cercava di capire cosa stesse per succedere, nel disgusto di essere toccata da quell’uomo orrendo e spaventoso, sentì le sue caviglie liberarsi per un attimo e poi le mani dell’orco tirarle le ginocchia sulle spalle avvolgendole con le braccia. La sistemò con due scossoni per bloccarla e stringere con forza i suoi seni spremendoli tutto fino a strizzare i capezzoli senza ritegno. Nel frattempo la donna con una mano moscia come fosse una frusta tirava delle pacche decise sulla fica aperta e grondante della ragazza e poi velocemente strisciava all’insù stropicciando e tirando il clitoride. Continuarono così accelerando sempre di più e continuando a riempirle le orecchie di porcate, insulti, promesse e minacce che erano per lei come miele caldo nelle orecchie. Hai tutto l’interno coscia fradicio troia. Quanti orgasmi hai avuto troia? Basta sculacciarti per farti godere Troia. Sei la mia troia è la tua fica è mia proprietà mentre il culo è di chiunque lo vuole. Non avrai cazzo finché non lo avrai imparato. Ad ogni colpo sulla fica Monica sussultava per ritrovarsi tirata per i capezzoli dalle mani dell’orco, appena prima che si staccassero per riavvolgere le sue tettone dalla base e mungerle fino alla nuova strizzata di capezzoli. Più i colpi e le strizzate diventavano veloci più Monica sentiva l’orgasmo arrivarle da dietro la schiena, scendere sciogliendole reni e intorpidendole il ventre e le gambe. Vide che la donna stava nuovamente riprendendo quella scena e senza alcuna vergona fissò l’obbiettivo sorridendo spudoratamente.
“Vuoi imparare ad essere la più Troia di tutte.” La Padrona non domandava. Affermava.
“Si Padrona, grazie!” E gli schiaffi sulla fica si fecerò più veloci e precisi.
“Di che sei la mia troia o smetto!” La Padrona non concedeva. Esigeva.
“No vi prego fatemi godere! Sono la sua troia Padrona!” E la Padrona smise per dare uno schiaffo sulle tettone di Monica e due sul suo viso ormai deformato e sbrodolato di piacere animale.
“Ho detto di dire che sei la mia troia! Nient’altro!” La Padrona non perdonava. Puniva.
“Sono la sua Troia! Sono la sua Troia! Sono la sua Troia!” fece Monica guardando nella telecamera e tirando fuori la lingua insieme ai suoi sospiri più liberatori quando la mano della donna ricominciò a schiaffeggiarle la fica.
“Di che il tuo corpo di troia è mio e posso farci quello che voglio” La Padrona non lasciava scampo. Dominava.
“Il mio corpo di troia è suo e può farci quello che vuole” Dalla fica di monica ormai ad ogni schiaffo si lanciavano gocce e guizzi della sua indecente lussuria e ormai abbracciava l’orco con le mani dietro il suo collo per esporsi e aprirsi ancora di più a quell’orgasmo così inverecondo, svergognato e soprattutto in serbo dal pomeriggio precedente.
Sentì la donna improvvisamente infilarle quelle che dovevano essere almeno tre dita nella sua fica affamata e madida, e poi tra un movimento dell’uomo sotto di lei e la spinta di Alessandra esercitata sul suo punto G, si ritrovo ancora più scomoda, ridicola ed esposta. Vedeva la sua fica sopra la sua testa, lei appoggiata sul cuscino con la nuca e le sue gambe divaricate sbilenche a mezz’aria. La donna cominciò subito a stantuffarla freneticamente e profondamente, con una velocità e forza che Monica non sapeva di poter usare sulla sua carne di post-adolescente e la ragazza sentì che nella furia anche il suo culetto era stato invaso da qualcosa che ora allargava prepotentemente il suo sfintere. Sentì i suoi buchi tirarsi e scottare mentre fagocitavano forzatamente quell’impeto così irruento. La donna aveva messo il telefono sulla spalliera per riprendere tutto da un angolazione che mostrasse il viso, le tette e i buchi di Monica.
“Apri la bocca perché è il secchio dove finiscono tutti gli umori di porca che produci”.
E su quelle parole, con la luce che cominciava a scaldare l’alba attraverso le finestre, dopo una notte di tormento, Monica fu colta da un orgasmo così travolgente che costrinse a strozzarla per soffocare l’urlo e a tenerle la bocca ferma per riempirla degli schizzi del suo squirto che, dalla sua fica colma di desiderio come un vulcano, eruttava senza controllo spruzzando contro la mano della Padrona che, con ovvia esperienza, la indirizzava come un torrente nella bocca della sua schiava. Appena finito di tremare e urlarsi in gola, quasi persa nell’oblìo di quell’orgasmo a strozzo, ubbidì all’ultimo ordine di ingoiare la sua troiaggine e svenne esausta, per ritrovarsi al risveglio nuda e ancora madida dei suoi guizzanti umori. E con il culo piacevolmente in fiamme.
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