Mente aperta, cuore chiuso. Cerco di essere lucida, oggettiva. Niente mi scalfisce o mi ferisce. Uno scudo a forma umana, osservo ciò che mi circonda, senza interagire con essa. A volte è noioso, ma almeno sono al sicuro. Alcuni si avvicinano, ponendomi una domanda o due, rispondo fredda e cinica.
Uno di loro è carino ed ha un viso dolce, per un attimo arrossisco, poi mi riprendo ed indurisco lo sguardo. Lo vedo sussultare. E’ il suo amico a parlare per lo più, dicendo una marea di robe alla quale non sono interessata. Cerca di far colpo su di me con scarso successo. E invece lui sta proprio lì, dietro al suo amico, timido e silenzioso.
Ha catturato la mia attenzione, nonostante il suo essere una comparsa. Schiarisco la gola, dicendo di dover andare, di non aver tempo da perdere in chiacchiere. Mi volto per andarmene, ma non prima di lanciare un’occhiata verso quel ragazzo, che penetrante ed intenso, guarda la mia figura; facendo scomparire tutta l’aria da introverso che sembrava aleggiargli attorno poco prima.
Ho un brivido lungo la schiena, allungo il passo per fuggire dai suoi occhi e dalla curiositĂ del mio cuore, che sembra aver aperto uno spiraglio. Torno a lavoro e non penso ad altro. Mi tocco le labbra e penso che tipo di espressione avessi avuto se lui si fosse avvicinato per parlarmi. Lo immagino con una voce gentile, con un sorriso rassicurante. E questo mi fa perdere la testa. Ritorno in me quando una collega mi coglie di sorpresa con un energetica pacca sulla spalla.
All’improvviso mi vergogno dei miei pensieri e torno a lavoro, focalizzandomi su coloro che avevano il totale diritto di essere al centro della mia attenzione: numeri e script di una bellezza imbarazzante. E di nuovo, un brivido su per la schiena; sorrido, loro sì che riuscivano ad aprire le porte del mio cuore. Mi immergo nei miei compiti, dimenticandomi lo sguardo intenso di quello sconosciuto.
E’ tardi, come al solito non ho potuto resistere e mi sono soffermata anche dopo l’orario di lavoro. Quando mi veniva assegnato un qualcosa di così affascinante, era difficile per me resistergli. Mi butto all’indietro, rilassandomi sulla sedia da scrivania. Molte delle mie colleghe erano terrificate all’idea di rimanere fino a tardi in ufficio, l’aria buia e i bisbigli del silenzio erano un qualcosa che non le faceva dormire la notte.
Io invece lo amavo, mi rilassava così tanto che a volte mi ritrovavo perfino a fare un pisolino, per poi svegliarmi circa venti minuti dopo e tornare a casa. Ed anche quel giorno fu così, mi addormentai e caddi in sonno profondo come non mi accadeva da tempo. E lo sentivo ancora sussurrare nel dormiveglia, il silenzio. Solo che adesso sembravano parole reali, come una poesia d’amore.
Mi sentivo sfiorare ed accarezzare, con una tenerezza che mi spezzò. Le lacrime iniziarono a scivolarmi lungo le guance, per poi sentirle subito dopo, portate via da un bacio. Aprii gli occhi e vidi una figura nera chinata su di me.
Non ne fui spaventata, forse per il sonno che ancora offuscava i miei pensieri, o forse a causa del piacere che mi provocavano le sue mani che percorrevano lentamente la mia chioma scura, focalizzandosi sul retro del mio capo e sul mio collo, provocandomi una leggera pelle d’oca.
Era da tempo che non mi sentivo così al sicuro. Glielo sussurrai con totale naturalezza : “baciami”. E lui non si fece pregare, mi baciò intensamente, rendendomi inerme. Afferrai forte i braccianti della sedia, stringendoli. Lui si fece largo tra le mie gambe. Vicino, volevo sentirlo più vicino. Abbandonai irrequieta la presa sulla sedia per scaraventarla sul suo collo e capo, avvicinandolo significatamene a me.
La mia testa era in subbuglio, non riuscivo a ragionare, un po’ come quando iniziavo a leggere i miei amati numeri, la stessa passione, lo stesso amore. Che fine ha fatto il cuore? Dove incomincia la testa? Entrambi erano stati cancellati, disintegrati. Adesso vi erano solo in nostri corpi che aderivano l’uno con l’altro, muovendo il bacino, facendo sfregare i nostri sessi sotto i lembi dei nostri abiti.
Un calore che partiva dal basso e s’impadroniva della mente, inebriandomi i sensi. Mi toccava il seno, stimolando il capezzolo tra le dita gelide. Ebbi un sussulto, uno spasmo proveniente dal mio sesso. Mi staccai dalle sue labbra e col una mano sotto al suo mento, gli portai la testa all’indietro, baciandogli il collo; mentre l’altra mano vagava tra la sua schiena i suoi glutei.
Fece per dire qualcosa, ma lo zittii, intrufolandogli le dita tra le labbra, catturando la lingua tra di esse, giocandoci. Per poi raggiungerla con la bocca, succhiandogliela. Col ginocchio presi a massaggiargli lo scroto e lo sentii gemere.
La mano dalla schiena passò al membro, che si ergeva duro contro il mio ventre. Gli sbottonai abilmente i jeans e lo feci finalmente fuoriuscire dai suoi boxer. Era caldo ed umido, lo sentivo pulsare tra le mie dita. E iniziai a fare su e giù, su e giù, col ginocchio ancora sullo scroto, la bocca a fare l’amore con le labbra e la mano restante a stringergli la natica, aiutandolo nei movimenti e nel frattempo stuzzicandogli la pelle d’oca.
Lo vedevo inerme, cercava anche lui di toccarmi, ma non glielo permettevo, andavo più veloce sul suo membro, stringendo la presa, concentrandomi sul glande, massaggiandoglielo con mosse circolari. Non riuscivo a vederlo in viso, ma il suo respiro si smorzò, slanciò la testa all’indietro e le natiche si strinsero tra di loro.
Sapevo che stava per venire, così velocemente glielo presi in bocca, avvolgendolo con la lingua e succhiandolo come se fosse il nettare più delizioso. Ed è lì che lo sentì cedere in preda agli spasmi, con il corpo che diveniva più bollente che mai e il suo orgasmo, che si propagò nell’aria come una melodia e nella mia bocca denso e afrodisiaco.
Una volta ripreso, lo vidi scagliarsi su me con violenza, colmo di lussuria, voglioso di me. Ma lo fermai, togliendo velocemente la scarpa e poggiando il piede sulla virilità ancora sensibile. Si piegò dal piacere e dal dolore. Gli risi in faccia. Lo spinsi all’indietro, facendolo cadere sulla sedia della collega della scrivania accanto. Mi rimisi la scarpa, presi la mia borsa e mi avvicinai a lui, come per baciarlo.
Ma rimasi immobile, poco distante dal suo viso, che ansimava ancora preso da ciò che era appena accaduto. Fece per avvicinarsi con disperazione, catturando le mie labbra. Ma io gliele morsi, facendolo indietreggiare dal dolore, facendolo sanguinare. Lo guardai, nella sua figura nera e ignota, e me ne andai, lasciando da solo come lui trovò me, nell’oscurità più assoluta.
Il giorno dopo tornai in ufficio, tutto nella norma, io tranquilla e concentrata sulle mie mansioni. Finché il duo di ieri non mi si avvicinò nuovamente: il tipo esuberante e pieno di energia, voglioso di chiacchierare. E il suo amico taciturno, che più di ieri, mi guardava come a volermi ipnotizzare.
Gli sorrisi con fare ammiccante e tirai il tipo logorroico per la cravatta, avvicinandogli le labbra all’orecchio senza staccare lo sguardo dall’altro. “La prossima volta” gli sussurrai “Fai venire il tuo amico, da lui mi farei toccare volentieri”. E lo allontanai con violenza, lasciandolo rosso in viso e gli occhi spalancati.
Gli porsi un cerotto per il labbro ferito e mi dileguai, facendo un occhiolino ad entrambi. Il mio cuore non era ancora pronto per aprirsi, ne aveva passate troppe, ed io non ero pronta per cedere. Eppure il mio corpo cercava calore. Alla testa i numeri, al corpo, lussurioso piacere che cicatrici non lascia ed al cuore non pesa. Mi sarei divertita ancora per un po’, ed era amore quello, amore per me stessa.
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