“«Allora, Luca, che coincidenza che tu abbia conosciuto mio marito in palestra, avete legato in fretta poi, mi ha parlato di te ma non pensavo sarebbe…”
La mia ragazza fece delle storie quando le dissi che non sarei
andato a cena da lei, ma fortunatamente è abbastanza propensa a perdonarmi e a stare a ciò che decido. L’aria della sera soffiava fresca sul mio viso mentre cercavo di immaginare come fosse la donna che aveva sposato quell’uomo che mi aveva scopato, sverginandomi.
L’indirizzo era scritto sulle note del mio telefono, per sicurezza lo estrassi nuovamente dalla tasca e lo rilessi. Il cancello con il numero 23 era proprio davanti a me. Il citofono era singolo, senza nome, così lo premetti, un po’ titubante. Sentii che dall’altra parte avevano tirato su la cornetta per rispondere ma, ad eccezione del ronzio metallico dell’apparecchio, non riuscii ad udire alcuna voce. Il cancello si aprì con uno scatto rumoroso.
Lo attraversai e proseguii il mio cammino per il sentiero, circondato da due file di sassi che ne delimitavano l’inizio del giardino, il quale si allungava fino ad un portone rosso scuro. Era chiuso. Bussai con le nocche sulle dure assi di legno verniciate. La porta si aprì lentamente, cigolando, dall’altra parte vidi l’uomo. Alla sola vista sentii il mio sesso indurirsi leggermente e divenire più grande. La persona davanti a me era vestita con camicia e pantaloni eleganti, tutt’altra maniera rispetto a come ero ormai abituato a vederlo. I pantaloni gli stringevano leggermente sul cavallo, evidenziando la grande protuberanza che nascondeva in mezzo alle muscolose cosce. Non riuscivo più a trattenere la curiosità, fremevo all’idea di scoprire chi fosse quella donna fortunata che ogni notte poteva sentire quell’enorme membro dentro di lei. Mi accolse con un sorriso.
«Ciao. Non ci siamo ancora presentati in tutto ciò che è successo. Io mi chiamo Gabriele.»
Gabriele, un nome che in qualche modo mi eccitava. Non saprei spiegare il perché.
«Io sono Luca.»
Mi fece accomodare su una poltrona di pelle nera e mi offrì da bere.
«Tua moglie dov’è?» chiesi curioso e un po’ spaventato.
«Sta tornando da lavoro, dovrebbe essere qui da un momento all’altro.
Proprio in quell’istante la porta si aprì dietro di me, alle spalle della poltrona.
«Scusa amore, ho fatto tardi, il mio studente ha voluto allungare di un’ora la lezione di recupero.» disse la voce della persona che non potevo vedere.
In quel momento mi si gelò il sangue nelle vene ed un brivido mi scosse tutto il corpo. La conoscevo quella voce. Mi girai sapendo perfettamente chi avrei trovato davanti a me.
«Professoressa, ma che sorpresa, non sapevo fosse lei la moglie di Gabriele.»
La donna, la mia professoressa di diritto privato all’università, fu sorpresa quasi quanto me nel vedermi.
«Lei è Luca, vero?» disse socchiudendo gli occhi come per inquadrarmi meglio.
«Si, prof, ma mi dia del tu.» le dissi sorridendo.
«Va bene Luca, ad una condizione, che anche tu mi dia del tu.»
«Con piacere Giulia.» in tutto questo tempo Gabriele era rimasto immobile, con il bicchiere di birra in mano e la bocca spalancata, a guardare la scena.
«Ho fatto tardi, sarà meglio chiamare la pizzeria a questo punto, no Gabri?» lui annuì in silenzio e rispose al bacio che lei gli posò sulle labbra circondate da una barba ispida.
La donna si assentò per un attimo e scomparve in una delle loro stanze. Gabriele mi guardò, sembrava arrabbiato.
«È la tua professoressa? Non lo sapevo.»
«Neanche io, non sapevo nemmeno come ti chiamassi prima di mezz’ora fa.»
Gli afferrai il pacco in preda ad un momento di eccitamento totale, il suo alito alcolico mi avevano stuzzicato gli ormoni, mi lasciò per qualche secondo la mano sul suo cazzo per poi toglierla quando sentì i tacchi della moglie muoversi nella nostra direzione.
«Allora, Luca, che coincidenza che tu abbia conosciuto mio marito in palestra, avete legato in fretta poi, mi ha parlato di te ma non pensavo sarebbe addirittura culminata in un cena insieme.»
«Nemmeno io prof, scusa, Giulia. Ma mi fa molto piacere, siamo due caratteri simili.»
«Vado ad ordinare le pizze, come la vuoi Luca?»
«Diavola, mi piacciono le cose piccanti.» nel pronunciare questa frase guardai l’uomo ed il suo pacco, Giulia era impegnata al telefono. Si spostò in cucina per parlare.
«Io intanto gli mostro la casa!» urlò il gigante per farsi sentire dalla moglie.
Il tempo di entrare nella prima stanza e mi aveva già messo in ginocchio, con il suo enorme cazzo duro davanti al mio naso, emanava un forte odore che mi eccitava tantissimo.
«Fai presto che potrebbe arrivare» mi suggerì, succhiai come una troia ma non venne, sentimmo dei passi, così ci risistemammo.
«Scusa se ti ho messo le mani addosso in palestra.»
«Scherzi? L’ho amato, papi, mi ha eccitato da morire, voglio essere la tua troia.» dissi passandomi la lingua sulle labbra. Sorrise e ci mettemmo a tavola.
Parlammo del più e del meno per qualche minuto prima che arrivasse la pizza.
Io ero a capotavola, la prof alla mia sinistra e l’uomo alla mia destra. Conversammo per tutta la cena, quando poi la prof si alzò per gettare i cartoni delle pizze colsi l’occasione e posai la mano sul grande cazzo. Non so se fosse rimasto duro per tutto il tempo o si fosse indurito poco prima, fatto sta che al primo tocco già era duro come una roccia. Mossi la mano per fargli una sega da sopra i pantaloni ma non era soddisfacente.
«Scusate, devo andare un attimo in bagno.» disse Giulia con un velo di imbarazzo a coprirle il viso.
Appena sentimmo la porta chiudersi mi inginocchiai e glielo presi in bocca finché potevo.
Non potevo fare a meno di quel cazzo. Lo sentii godere sommessamente per non farsi sentire, poi vidi la sua mano trattenersi, lo volevo.
«Fallo, ti prego.» lo supplicai guardandolo dal basso e sputandogli sul cazzo per lubrificarlo. Con una grande violenza la sua mano andò a colpirmi il viso, proprio sulla guancia che avvolgeva il suo enorme uccello.
«Ancora, papi, ancora.» mi afferrò i capelli e mi scopò la testa come una troia. La moglie non aveva ancora finito, così approfittai il più possibile.
Mi abbassai i pantaloni fino alle ginocchia e gli salii sulle gambe, guardandolo negli occhi, il mio cazzo sfregava contro la sua pancia mentre gli saltavo sul cazzo e il respiro mi mancava ogni volta che quella bestia mi penetrava. Venni prima di lui, mi schiaffeggiò e mi tappò la mano con la bocca per non farmi urlare. Avvicinò la sua bocca al mio cazzo e succhiò ogni goccia di liquido. Mi schiaffeggiò di nuovo, godetti ancora di più. Mi strinse il collo con la mano destra, le enormi dita avvolsero la mia trachea e lo vidi aprire la bocca e chiudere gli occhi. Sentii il getto caldo che mi inondava il culo e contemporaneamente il rumore dello scarico che veniva dal bagno, la prof stava per uscire. Rimasi a cavalcarlo per un paio di secondi ancora per avere tutto il latte che voleva darmi. Poi mi riallaccia velocemente i pantaloni e lui fece ugualmente.
Per il resto della serata parlammo normalmente, mentre sentivo la sborra che mi usciva ancora calda dal culo e andava a bagnare le mutande. Alla fine ci salutammo come amici di vecchia data.
«La prossima volta porta anche al tua ragazza.» mi disse Gabriele prima che mi allontanassi.
Così ho fatto.
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