Lì per lì non avevo dato molto peso al luogo dell’appuntamento, sul retro di questo minimarket che stava chiudendo i battenti. Ero in macchina ad aspettare i miei “aguzzini” e avevo notato quel magazziniere di colore che, mentre portava dentro i contenitori del cartone, mi guardava sospettoso. Probabilmente –chissà- pensava che fossi un delinquente venuto lì ad osservare il negozio per pianificare un colpo.
Quando il negozio aveva già chiuso da qualche minuto, vidi arrivare i tre. Scesi dalla macchina e li salutai come vecchi amici pensando, tra me, come fosse strano accogliere in quel modo tre persone che, in fondo, sono lì per sottoporti a chissà quali abbietti trattamenti.
Uno dei tre prese il telefono e chiamò qualcuno, annunciandogli il nostro arrivo. Di lì a pochi secondi, la porta sul retro del minimarket si aprì rivelandomi che il destinatario di quella misteriosa chiamata altri non era se non il magazziniere di colore che avevo visto poco prima.
Ci fece entrare alla spicciolata, indugiando un momento a squadrarmi dalla testa ai piedi. Sapeva chi fossi, e sicuramente gli sembrava difficile, se non impossibile, che quell’uomo elegante e posato fosse in realtà la sgualdrina affamata di cazzi che i tre, sicuramente, gli avevano descritto.
Io, da parte mia, ero in un mix di emozioni contrastanti. Da una parte la paura, la vergogna, di esibirmi davanti a uno sconosciuto, al quale certamente erano state già raccontate le mie prestazioni. Dall’altra parte l’eccitazione di poter essere usata, scopata da quel bel ragazzo di cui, in onore ai noti luoghi comuni, immaginavo il bel cazzo color ebano.
Il bagno del personale mi permise di compiere la solita trasformazione, mentre di là sentivo arrivare le risa dei quattro.
Uscii ancheggiando da quel gabinetto di dimensioni non certo generose, e in un attimo di vanità cercai subito gli occhi del nero, che mi stavano di nuovo squadrando ma questa volta con ammirazione e desiderio; l’avevo indubbiamente fatto ricredere…
“Allora, che ci facciamo qui?” dissi, sedendomi su una sedia del magazzino e accavallando le gambe. Volevo ricordare ai tre e al nuovo arrivato che ero la loro schiava, certamente, ma solo ed esclusivamente perché IO avevo accettato… anzi, proposto di esserlo.
“Oggi ti faremo fare un bell’allenamento al culo… “disse uno dei tre, sventolandomi davanti al viso un cetriolo di dimensioni ragguardevoli.
Io, per non perdere comunque quella piccola posizione di controllo che avevo assunto fin dall’inizio di quel gioco, risposi maliziosa: “Beh certo, se dovessi accontentarmi dei vostri cazzetti da bambini sarei messa male”
I tre sorrisero, ma si vedeva che avevano incassato il colpo. “Sì, non la penserai più tanto così, dopo che ti avrà fatto lui il culo” rispose Paolo indicandomi il magazziniere, e ammetto che ebbi un piccolo brivido, di timore misto ad eccitazione, immaginando il membro dell’uomo di colore.
I tre si avvicinarono a me, invitando anche il nostro occasionale anfitrione ad unirsi a loro: in un attimo avevo tre cazzi bianchi e un cazzo nero intorno al mio viso, e devo ammettere che il nuovo venuto teneva alta la nomea degli uomini di colore in quanto a dimensioni della virilità.
Iniziai a succhiare i cazzi che di volta in volta mi porgevano, mentre con le mani ne tenevo sempre occupati altri due. Quando poi fu la volta del nero, lo succhiai guardandolo fisso negli occhi, e non vi trovai assolutamente più alcuna traccia dello sguardo altero e dubbioso di pochi minuti prima.
Succhiavo quei quattro cazzi i cui proprietari si litigavano la mia bocca insultandomi con il consueto florilegio di epiteti.
Zoccola, puttana, succhiacazzi, rottainculo…
E ogni parola, anziché umiliarmi, era per me il più dolce dei complimenti. “Sì, sono la vostra zoccola, la vostra puttana. Il vostro buco da riempire di cazzi e di sborra” sibilai, mentre con la bocca passavo da un cazzo all’altro.
Mi fecero alzare, e mi porsero il cetriolo: “Ora infilati da sola questo nel culo”
Nascondendo un po’ di timore per il calibro dell’ortaggio, lo leccai depositandovi un po’ di saliva, e lo appuntai allo sfintere, spingendo per provare – vanamente – ad infilarlo.
“Non ce la faccio, ragazzi, non mi sono prepAAAAAAAAH!”
Un dolore fortissimo, la sensazione di essere squarciata analmente.
Uno dei miei aguzzini aveva preso la mia mano nella sua e aveva spinto violentemente il cetriolo dentro di me.
Le lacrime mi solcavano le guance, mentre il mio sfintere faticava ad adeguarsi alle misure dell’intruso. Una cosa è prendere calibri anche maggiori con la dovuta preparazione, ma la penetrazione improvvisa di quel cetriolo doveva sicuramente avermi strappato qualche vaso capillare e immaginavo quel fallo vegetale, che ora veniva mosso nel mio culo, uscirne striato di sangue.
Non mi fu dato tempo né modo di verificarlo: mi fecero sedere di nuovo sulla sedia, e nonostante cercassi di non appoggiarmici con tutto il peso, il cetriolo spinto dalla seduta in legno mi si conficcava sempre più nelle budella.
Ero nuovamente intenta a succhiare quei quattro cazzi, quando sentii una voce che diceva: “Visto? Ci ha già preso gusto”
Solo allora mi accorsi che, infatti, avevo inconsciamente iniziato a sollevarmi leggermente sulle gambe per poi riappoggiarmi sulla sedia, inculandomi così da sola con il cetriolo.
Proprio in quel momento, uno dei quattro, forse Gianni, mi afferrò la testa con le mani e mi affondò in gola il suo arnese, eiaculando copiosamente.
Ingoiai la semenza maschile, e ripresi fiato non appena la bocca mi fu liberata da quel cazzo che, come avevo immaginato, apparteneva a Gianni.
Mi fecero alzare, e mi fecero appoggiare a quattro zampe alla sedia, per poi sfilarmi il cetriolo dal culo.
“Guarda com’è sfondata, la vacca!” li sentii sghignazzare alle mie spalle, e poco dopo il posto del cetriolo fu preso da un cazzo in carne ed ossa, che affondò in me senza quasi trovare resistenza.
Davanti a me, intanto, il ragazzo di colore mi invitava a succhiargli l’arnese, come se per me fosse un obbligo spiacevole. Leccavo, ingoiavo quel bastone di liquirizia immaginando tra me il momento in cui l’avrei avuto dentro, e nel mio delirio mi accorsi appena delle urla di Paolo che, nel frattempo, mi riempiva il culo con la sua sborra.
Non rimasi a lungo a culo vuoto: appena Paolo si fu sfilato, Derek ne prese il posto, mentre il quarto ragazzo mi continuava a scopare la bocca.
Con la coda dell’occhio vidi il cetriolo a terra, e fui sollevata nel vedere che non era ricoperto di sangue come temevo, quasi fosse l’arma del delitto di un film pulp, ma era verde e lucido di umori, forse un po’ sporco sulla punta, a ricordo di dove era stato fino a poco prima.
Derek mi stava inculando a fondo, ma iniziai a sentire una strana sensazione. Era come se il cetriolo, poi la prima inculata e ora la seconda stessero provocandomi dei disturbi all’intestino, come se avessi il bisogno incontrollato di liberarmi dell’aria, ma ciò non era chiaramente possibile con una ventina di centimetri di carne maschia infilati su per il culo.
Sentii che anche Derek se ne veniva dentro di me, e dopo un attimo iniziò a sfilarsi per poi lasciare il posto al nuovo ragazzo, quando avvenne l’irreparabile.
“No, no, non uscire!” gridai disperata, ma fu inutile.
Schizzi di sperma marrone spruzzarono fuori dal mio ano dilatato, colarono lungo il solco fino ai testicoli e poi giù a terra.
Sentii i tre ridere, mentre il quarto mi aveva infilato nuovamente il suo bastone nero in bocca e, inaspettatamente, mi venne in gola con quattro, cinque schizzi di sperma caldo.
E altrettanto inaspettatamente, anche io me ne venivo… umiliata, sfondata, seviziata… ma godevo…